Roma – Zte è una società cinese di telecomunicazioni, rivale numero di Huawei. Il 22 dicembre ha siglato un accordo per sviluppare la rete mobile di Wind-3Italia. Un investimento di 900 milioni di euro. Zte vuole aprire un centro per la ricerca e lo sviluppo nel Mezzogiorno, e promette di assumere 2.500 persone. La multinazionale di Shenzhen, metropoli del sud-est della Cina su cui il governo centrale punta per farne un polo dell’innovazione a livello nazionale, è quotata in Borsa e fattura 15 miliardi di dollari. E’ tra i primi 10 produttori di smartphone al mondo. In Italia, è sbarcato quest’anno su Media World con i prodotti di punta: Blade V7 e Blade V7 lite. L’ultimo modello punta sulla musica e si chiama Axon 7 mini. Il testimonial è il famoso pianista cinese Lang Lang.
Gli albori dell'avventura
La storia inizia nel 1985 a Shenzhen, quando il quarantenne Hou Weigui si mette insieme a un gruppo di investitori e fonda la Zhongxing Semiconductor Co. Ltd. Equipment Corporation. Ci troviamo nella provincia del Guangdong, spina dorsale dello sviluppo cinese: il governo, sotto la guida di Deng Xiaoping, ha da qualche anno avviato le riforme di apertura, e ha creato a Shenzhen la prima Zona Economica Speciale. E’ boom di fabbriche. La Cina è un cantiere e offre mille strade per raggiungere il successo: “Arricchirsi è glorioso”, recita il mantra di Deng. Lo Stato guida il mercato. Il pubblico si sovrappone al privato. E anche Zte nasce su volontà di un ministero: quello della difesa aerospaziale. Hou Weigui non è neanche un imprenditore: è un ricercatore universitario. Dirige un istituto di ricerca a Xi’an, nella provincia dello Shaanxi, dentro la Fabbrica 691 controllata dal ministero dell’industria Aerospaziale (MAI), che oggi non esiste più. Poi, la decisione di spostarsi a Shenzhen, dove il centro studi si trasforma in una fabbrica che produce le prime apparecchiature per le telecomunicazioni.
E’ la preistoria della telefonia mobile. L’azienda fattura due milioni di yuan, nel 1993 cambia nome e diventa Zhongxing New Telecommunications. Nessuno poteva pensare che nel giro di 20 anni, Hou sarebbe stato a capo di un impero che dà lavoro a oltre 84mila persone in Cina e nel mondo. A Hou l’ambizione non manca: nel 1997 Zte debutta sulla Borsa di Shenzhen, segue nel 2004 la quotazione alla borsa di Hong Kong. E con tutti i soldi guadagnati dalla quotazione, Zte va alla conquista del mercato internazionale: investe sui centri di ricerca e di sviluppo, inizia a vendere ai paesi sviluppati e a produrre all’estero.
L’antica passione di Hou si trasforma così nella chiave di successo per Zte: la ricerca, al quale il management destina il 10% del fatturato. Il 40% della forza lavoro è composta da ricercatori. Non solo. Zte ha creato laboratori di ricerca in joint ventures con le più importanti aziende occidentale, come Motorola e Texas Instruments. Oggi si contano 10 di questi lab in Cina, Usa, Svezia, e Corea del Sud.
Il 'matrimonio' con i colossi della telefonia cinese
In Cina Zte rifornisce i tre maggiori gruppi di telefonia: China Mobile, China Telecom, e China Unicom. A livello globale, tra i suoi partner si contano British Telecom, France Telecom, Vodafone e Telecom Italia, solo per citare i più noti. Sul mercato europeo, Zte è presente fin dal 2000, con sedi a Parigi e Istanbul, e uffici in altri venticinque Paesi, tra cui l’Italia, con uffici a Roma e Milano e un presidio a Torino.
Fino al 2010 Hou Weiguiresta al timone dell’azienda. Nel marzo di quell’anno avviene il primo ricambio ai vertici: entra in squadra Shi Lirong come amministratore delegato. Hou mantiene la carica di presidente fino al 2014, quando va in pensione (Hou ha oggi 73 anni, in fabbrica gli impiegati lo chiamano ancora “vecchio amico”. Li ha trattati come figli). Quest’anno, ad aprile, Shi Lirong ha ceduto il posto al nuovo presidente, l’ingegnere Zhao Xianming. Zhao ha conseguito il dottorato di ricerca al prestigioso Harbin Institute of Technology nel 1997. Ed è entrato a Zte, dove ha fatto carriera fino ad assumerne il comando.
Per Zhao la strada è tracciata. Zte continua l’espansione diversificando il business. Solo poche settimane fa, il 6 dicembre, il colosso annuncia l’acquisizione del 48% del gruppo di telecomunicazioni turco Netas per 101 milioni di dollari. Si tratta di un’operazione compiuta in un mercato chiave sulla “one Belt, one Road”, l’iniziativa di sviluppo infrastrutturale voluta da Xi Jinping nei Paesi che si stendono lungo l’antica Via della Seta. E’ di qualche giorno fa, invece, la notizia dell’acquisizione di una quota di controllo del gruppo Granton Automobile, con cui la divisione Smart Auto di Zte punta a espandersi nel settore delle auto alimentate a energia pulita. Il settore è in forte crescita in Cina: Granton vende ogni anno circa mille bus a energia pulita e ha un miliardo di yuan in ricavi annuali. Zte sta poi pensando anche a un fondo d’investimenti congiunto con il gruppo GF Securities, da cinque miliardi di yuan (quasi settecento milioni di euro) per lo sviluppo delle smart cities.
Una leggera delusione
Gli ultimi risultati del gruppo sono stati, però, al di sotto delle aspettative. I dati del terzo trimestre 2016 hanno deluso gli analisti che prevedevano ricavi superiori ai 26 miliardi di yuan, mentre la cifra finale si è fermata a quota 23,8 miliardi di yuan (3,29 miliardi di euro, al cambio attuale), con un aumento del 5,23% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il risultato è trainato soprattutto dal mercato interno cinese, nonostante il graduale declino della spesa per il 4G da parte dei tre grandi operatori di telefonia cinese.
A pesare - anche se limitatamente - sullo sviluppo del colosso cinese, ci sono le restrizioni all’export di tecnologie made in Usa verso Zte. Si tratta di misure imposte da Washington per presunte violazioni di Zte alle sanzioni nei confronti dell'Iran. La questione si trascina dall’inizio del 2016: il Ministero del Commercio cinese, il 7 marzo scorso, aveva espresso la propria “risoluta opposizione” a queste misure, ma aveva affermato la volontà di continuare a negoziare con gli Stati Uniti sulla questione. Su questo versante, sono emerse il mese scorso buone notizie: l’Ufficio per l’Industria e la Sicurezza del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha deciso di prorogare per la terza volta l’esenzione dal bando fino al prossimo 27 febbraio, una dilazione che “può servire a entrambe le parti per risolvere il problema”, ha affermato il portavoce del gruppo cinese, David Dai Shu.