C’è una mappa molto efficace elaborata da VisualCapitalist che racconta bene quali sono i Paesi che comandano nel tech oggi. Si vede un mondo disegnato da sfere e ognuna di queste sfere è una startup, di dimensioni tanto più grande quanto più alta è la sua valutazione di mercato. Il mondo rappresentato in questa mappa (anno 2017) è una partita a due tra Usa e Cina. Il resto se proprio non possiamo dire che non c’è, poco ci manca.
Certo, il peso della Silicon Valley (e più in generale degli Usa) è ancora ‘enorme’ in questa mappa. E saldo ancora (per ora) è il suo primato grazie ad aziende come Uber, SpaceX, Aribnb, Pinterest, Stripe nate e cresciute in questa culla dell’innovazione che dagli anni Sessanta in poi ha insegnato al mondo intero cosa vuol dire il business delle startup. Ma la Cina, che fino a qualche anno fa non poteva nemmeno essere mappata, oggi è il suo principale competitor. E a questo ritmo di crescita nel mercato delle startup è destinata a superare gli Usa.
I nomi delle startup cinesi a capitalizzazione più grossa forse non diranno molto ai lettori occidentali. Didi Chuxing, la Uber cinese, nata nel 2012 ad esempio vale 50 miliardi (Uber 68miliardi). Xiaomi, il quinto produttore di smartphone a livello globale, vale 48 miliardi ed è nata solo nel 2010. Lu.com, un marketplace finanziario nato nel 2011, vale 18,5 miliardi. E così via. Il mondo dell’innovazione chiama queste aziende unicorni: animali rari del tech, mitologici, in grado di raggiungere in poco tempo una valutazione di un miliardo. Sono rarissimi. In Europa se ne contano meno di una decina, tra cui i più famosi sono Spotify (Svezia) e Blablacar (Francia). Ovviamente l'Italia, che paga annose debolezze strutturali nel mercato degli investimenti, di unicorni non ce ne sono. Né sembrano essercene all'orizzonte.
La strategia cinese: startup nei piani quinquennali
Ma come ha fatto la Cina a diventare il principale sfidante della Silicon Valley nella corsa alle startup? Come è stato possibile che una nazione ad economia di mercato ma pianificata abbia intaccato il primato dei globalisti di San Francisco e New York?
Anno 2014. Il governo cinese si occupa per la prima volta in maniera strutturata di startup. Pechino capisce che le neoimprese ad alto potenziale di crescita grazie agli strumenti offerti dal digitale sarebbero dovute diventare una risorsa fondamentale per lo sviluppo della nuova industria. Il premier Li Keqiang, parlando al Summer Davos a Tianjin, in Cina, annuncia un piano denominato “Imprenditoria e Innovazione di Massa” ( in cinese, per i curiosi 大众创业ã€Â�万众创新) dettando le linee guida per la nascita di una cultura per le startup ‘made in China’.
“Gli obiettivi fino ad oggi sono stati di creare un ecosistema incentivando la nascita di centri d’innovazione e imprese ad alto contenuto tecnologico, in tutto il Paese”, spiega all’AGI Tommaso Ferruccio Camponeschi, socio fondatore di TechSilu. “Nascono così i “ChuangKe”, che potremmo tradurre come innovatori. Pare quindi che il governo abbia messo loro al centro della politica per le startup, capendo che sarebbero diventati una risorsa economica enorme. Per raggiungere questo obiettivo come prima cosa è stata creata una consistente flotta di fondi venture capital: “avrebbero operato esclusivamente a questo nuovo ecosistema”, aggiunge Camponeschi.
Altro punto fondamentale, complementare a iniziative di più ampio respiro come MiC2025 (il piano Made in China 2025) e OBOR (Nuova via della Seta), sono gli incentivi per le startup e talenti imprenditoriali esteri che decidono di andare a fare business in Cina. “Nelle nuove linee guida presentate lo scorso 12 luglio, la Cina ha delineato procedure più snelle per imprenditori e business stranieri altamente specializzati che vanno dai permessi di residenza (anche per studenti fuorisede in Cina) alle assicurazioni sanitarie ad hoc”, ha continuato Camponeschi.
Effetto: dal 2014 ad oggi nate 13 milioni di nuove imprese
Secondo le statistiche del SAIC (State Administration for Industry and Commerce), 13 milioni di nuove imprese sono nate dal marzo del 2014 ad oggi. Di queste, il 94,6% sono private: il tasso di crescita parla di 15,600 nuove imprese al mese (2017). “I benefici di tale strategia a supporto delle startup in Cina sono tanti – aggiunge Camponeschi - e passano dall’occupazione e la creazione di nuovi posti di lavoro, al trasferimento di tecnologie e talenti, fino allo sviluppo del primato tecnologico in diversi settori. Nell’immediato futuro la Cina punta a garantire una corridoio privilegiato per le startup straniere che decidono di registrare il proprio business in Cina, tramite speciali Digital Business License”.
Made in China 2025 è il programma di innovazione del settore manifatturiero, che punta a investire sulle tecnologie avanzate, dall’intelligenza artificiale alla robotica. Proprio prima dell'apertura del Congresso del PCC in corso a Pechinp (18-24 ottobre), il Ministero per l’Industria e l’Information Technology ha comunicato che stanzierà altri 1,5 miliardi di dollari (10 miliardi di yuan) nei prossimi tre anni a sostegno dello sviluppo di progetti che rientrano negli obiettivi del piano. Il governo cinese aveva già annunciato investimenti per 1 trilione di dollari ogni anno nelle tecnologie e aziende straniere. I dieci settori chiave del piano sono:
- IT,
- robotica,
- aerospazio,
- ingegneria navale,
- auto elettriche,
- energia,
- agricoltura,
- nuovi materiale,
- biofarmaceutica.
La Cina vuole diventare leader nelle tecnologie del futuro, e risolvere - per esempio - il problema dell’inquinamento che da anni compromette la qualità dell’aria. Le startup danno grande impulso al piano perché operano in settori che rientrano negli obiettivi strategici di Pechino, apportando tecnologia e innovazione ‘disruptive’, dalle smart cities alla robotica, dall’agritecnologia alla fashiontech.
Una rivoluzione che quindi non sta accadendo per caso ma che fa parte di un piano industriale. L’espansione delle piccole e medie imprese (Pmi) rientra tra gli obiettivi del Tredicesimo Piano quinquennale (2016-2020), spiega ad Agi Marco Mistretta, amministratore delegato della filiale italiana di IngDan, internet company cinese per la raccolta di progetti dell’Internet of things:
“Le startup cinesi stanno conquistando l’innovazione”.
Come questo sta avvenendo? Il meccanismo è semplice: “Il surplus della bilancia commerciale gestito da Exim bank (una delle maggiori policy bank) serve a creare fondi di investimento che allocano ai privati i quali li fanno arrivare alle startup”, spiega Mistretta.
Gli effetti della politica di Pechino: seconda nazione al mondo
I numeri fotografano bene i risultati. Stando ai dati Crunchbase, se in media una startup statunitense oggi raccoglie round di investimento di 40-60 milioni, in Cina un finanziamento in media è di oltre 100 milioni.
The Information, uno dei magazine online più autorevoli al mondo sulla digital economy, in un report di agosto aveva raccontato le società che avevano raccolto più finanziamenti in Cina nel 2017. Un esempio di mega round cinese? I microchip di Tsinghua hanno raccolto 22 miliardi. Didi Chunxing, l’Uber cinese, 5,5 miliardi. Yixin Group, automobile, 3,57 miliardi.
Per avere un metro di paragone, se contassimo tutti i round di investimento fatti in Italia in tutte le startup negli ultimi 10 anni non arriveremmo al miliardo di euro. Se prendiamo i primi 20 round di investimento cinesi nel 2017 arriviamo a 43 miliardi (52 negli Usa). Lo scorso anno in tutto il 2016 si era arrivati a 31 (negli Usa 69 miliardi).
Cina, unico caso al mondo di crescita così rapida
Un cambio di passo così rapido e così netto è impensabile altrove. La Cina è un caso unico al mondo. Dietro c’è una forte politica industriale capace di trasformare il le proprie industria tradizionali con i tre tre pilastri fondamentali dell’innovazione oggi: Internet of Thing, intelligenza artificiale, ma anche il sistema di pagamenti. Lo ha fatto nei campi della mobilità, della finanza, delle app per gli smartphone. È stata capace di creare ‘unicorni’ in ogni settore ritenuto centrale. Partendo dalla materia prima disponibile: le competenze tecniche dei propri talenti, finanziandone i progetti comprendendo le dinamiche del venture capital proprio degli Stati Uniti, e finendo per far leva su un mercato interno enorme (1,5 miliardi di persone) per far crescere e strutturare queste aziende. Possiamo essere certi che la mappa 2017 di VisualCapitalist il prossimo anno sarà molto diversa.