È tregua nella guerra commerciale tra Pechino e Washington, che venerdì hanno raggiunto l'atteso 'deal' ed evitato una nuova escalation. Wall Street ha già brindato, con un nuovo record del Nasdaq, ma le incertezze non sono svanite e le ostilità appaiono solo rimandate.
L'accordo preliminare che verrà siglato ai primi di gennaio, blocca i nuovi aumenti tariffari del 15% che avrebbero dovuto entrare in vigore domani su 156 miliardi di dollari di beni cinesi, tra cui smartphone, laptop e giocattoli.
Inoltre dimezza le vecchie tariffe del 15%, scattate a settembre, su 156 miliardi di dollari di made in China, che includono abbigliamento, scarpe e accessori. Restano invece in vigore gli aumenti tariffari del 25%, scattati l'anno scorso, su 250 miliardi di dollari di beni cinesi, tra cui materie plastiche, prodotti chimici e macchinari. Washington si impegna ad abbassare "gradualmente" queste tariffe, ma senza aver fornito una tempistica al riguardo. Pechino invece promette di acquistare 200 miliardi di dollari di beni e servizi in più dagli Stati Uniti nell'arco di 2 anni.
Si tratta di un aumento significativo. Nel 2017 la Cina ha importato beni e servizi per 190 miliardi di dollari dagli Usa e con questi 200 miliardi aggiuntivi, il deficit commerciale degli Stati Uniti verrebbe ridotto di un terzo. Tuttavia ci sono molti dubbi sull'effettiva volontà di Pechino di realizzare tutti questi acquisti, specie riguardo ai beni alimentari, cioè nel settore, quello agricolo Usa, che più ha sofferto per questa guerra commerciale.
"I cinesi - spiega sul Wall Street Journal Dave Marshall, consulente di marketing agricolo alla First Choise Commodities - hanno bisogno del maiale e della soia degli Stati Uniti, ma non per 50 miliardi di dollari. Per acquistare 50 miliardi di dollari di beni Usa in più (come Trump aveva chiesto per firmare l'accordo Fase 1, ndr) i cinesi dovrebbero acquistare molto gas naturale".
Sempre secondo il Wsj le tariffe Usa già in atto sui beni cinesi pesano per almeno 400 dollari l'anno sulle famiglie americane e i nuovi aumentati tariffari, appena bloccati, avrebbero fatto lievitare questi costi a oltre 550 dollari l'anno. Con la tregua, "le famiglie americane hanno solo schivato un proiettile", sostiene l'economista Mary Lovely, ma ce ne sono altri in arrivo.
E poi ci sono i contraccolpi sull'economia Usa. Il Wsj nota che la produzione Usa aumenterà del 2,2% quest'anno e del 2% il prossimo. Finora la guerra dei dazi non l'ha rallentata più di tanto. Tuttavia gli investimenti a lungo termine delle aziende Usa, attrezzature incluse, sono cresciuti solo dell'1,3% quest'anno, il livello più basso da un anno a questa parte.
Il motivo? Secondo il Wsj la guerra commerciale ha frenato queste decisioni, in particolare quelle relative al numero di persone da assumere e a dove localizzare gli impianti. Questa incertezza, spiega il giornale Usa, è una delle ragioni per cui la Fed ha tagliato tre volte i tassi quest'anno.
Ora ha deciso una pausa in questo senso e il 'deal' di ieri rafforzerà questa scelta, ma la disputa tra Usa e Cina, che finora è andata avanti a singhiozzo, è stata solo rimandata e Trump ha già detto che le tariffe ancora in vigore verranno utilizzate come 'leva' per la prossima fase dei colloqui con la Cina, quella più difficile, che riguarderà i trasferimenti tecnologici e la proprietà intellettuale.
Insomma, molte incertezze sulla guerra commerciale restano ancora in campo, la Fase 1 rappresenta una boccata d'ossigeno ma non la fine delle ostilità. "Scusatemi se non stappo lo champagne - confida a France Presse, Scott Kennedy esperto di Cina di Wellington Management - abbiamo evitato l'escalation ma non c'è troppo da esultare: i costi sono stati notevoli e restano di vasta portata, mentre i benefici appaiono ridotti ed effimeri".