La Cina accelera la corsa per diventare leader delle tecnologie più avanzate: entro due anni lancerà il primo computer exascale al mondo, una macchina capace di elaborare un miliardo di miliardi di calcoli al secondo. Si tratta del terzo prototipo denominato Sunway, in fase di realizzazione presso il National Research Center of Parallel Computer Engineering and Technology (NRCPC) e il National Supercomputing Center in Jinan, nella provincia orientale dello Shandong. L’obiettivo? Accrescere l’influenza della Cina sui mari. A scriverlo il South China Morning Post, che riporta le dichiarazioni di An Hong, docente di informatica presso l’Università di Scienza e Tecnologia di Hefei, capoluogo della provincia orientale di Anhui. Il professore cinese, che è anche consulente informatico del governo centrale, ha detto che la nuova generazione di supercomputer avrebbe una precisa missione: “Aiutare l’espansione marittima della Cina”.
Espansione che procede spedita. Entro il 2020, il dominio cinese sui mari potrà contare su un supercomputer circa otto volte più potente del Sunway Taihulight, attualmente il prototipo più veloce al mondo, fabbricato con chip cinesi che hanno sostituito i microprocessori statunitensi (di cui Intel aveva bloccato l’esportazione in Cina nel 2015 su richiesta del governo per il timore che lo sviluppo di nuovi prototipi avesse un’applicazione nucleare), installato presso il National supercomputing center di Wuxi, nella provincia dello Jiangsu: 93 quadrilioni di calcoli al secondo, il triplo del record precedente detenuto dal Tianhe-2 (anch’esso cinese). È la terza volta che un supercomputer cinese si aggiudica il podio nella classifica dei più veloci al mondo: il predecessore del Tianhe-2, il Tianhe-1A, ha ricoperto il primo posto dal novembre del 2010 al giugno del 2011, quando è stato sorpassato dal giapponese K.
Usa e Giappone, per ora, rincorrono
Oggi la Cina vuole di più: il nuovo computer exascale avrà una potenza di calcolo pari a quella dei 500 computer più veloci al mondo. Messi insieme. Secondo le previsioni cinesi, sarà pronto entro l’anno ma le prime macchine sbarcheranno nel mercato entro il 2020. La Cina non è sola in questa gara di velocità. Ma è senza dubbio la prima. La concorrenza è massima da parte di Stati Uniti e Giappone: gli Usa, per esempio, hanno pianificato la realizzazione di un computer exascale entro il 2023. I cinesi in velocità sono imbattibili: secondo il sito di tecnologia Hardware Upgrade, nella classifica dei 500 supercomputer più potenti del giugno dello scorso anno, la Cina deteneva un numero di prototipi superiore a quello degli USA (167 contro 165). I supercomputer cinesi trovano applicazione in vari ambiti, dalla ricerca biologica alla difesa nazionale.“Sicuramente la realizzazione dei supercomputer ha scatenato una gara tra le varie nazioni, ma non è questa la nostra priorità”, ha detto An Hong, che ha aggiunto: “Il nostro interesse è l’oceano”.
La promessa di Xi Jinping
Quando ascese alla leadership del Partito Comunista Cinese nel 2012, Xi Jinping fece alla Nazione una promessa solenne: avrebbe trasformato la Cina in una potenza marittima (Haishang Qiangguo,海上强国). I media cinesi crearono un immediato nesso tra i piani di espansione della nuova leadership con la potenza navale raggiunta sotto la dinastia Ming quando “fra il 1405 e il 1433, l’allestimento di una grande squadra navale al comando dell’ammiraglio musulmano Zheng He (1371-1434), fruttava ai Ming prestigiose spedizioni nell’oceano Indiano” (Tamburello, AgiChina), dando misura dell’effettiva grandezza della Cina. Grandezza a cui la Cina vuole tornare. Il controllo delle rotte marine è di strategica importanza politica, militare ed economica. Diversi i fronti in cui il Paese rivendica i suoi interessi: le dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale e Orientale; l’apertura di basi militari; le rotte commerciali lungo la Nuova Via della Seta (Obor).
Ed ecco come i supercomputer possono essere di supporto strategico. Sensori e satelliti generano una enorme quantità di dati al secondo che – secondo i ricercatori marini - contengono una varietà di informazioni, dal bollettino dei mari alle tracce chimiche e alla variazione della densità dell’acqua, che possono aiutare i sottomarini, per esempio, ad evitare turbolenze o a negoziare tagli nelle emissioni. Feng Liqiang, direttore operativo del Marine Science Data Centre di Qingdao, nella provincia dello Shandong, ha detto che il computer exascale avrebbe la capacità di elaborare tutti questi dati contemporaneamente e fornire così l’analisi più vasta che si possa ottenere. “Nella simulazione degli oceani, ad esempio, maggiore la precisione delle previsioni, maggiore la possibilità di affrontare fenomeni come El Nino e i cambiamenti climatici”, ha detto Feng. Ovviamente – conclude Feng . il supercomputer darà un grande forza alla Cina anche negli affari internazionali.
Nessun compromesso sul dominio dei mari
Mentre nel pieno delle manovre militari congiunte tra Usa e Corea del Sud, il regime di Kim Jong-un lancia tre nuovi missili a corto raggio – diversi da un potente missile balistico intercontinentale in grado di colpire gli Usa come quelli testati il 4 ed il 28 luglio – e la Cina ammonisce che le nuove sanzioni decise dagli Usa contro aziende e personalità di Pechino legate da rapporti di affari con la Corea del Nord non aiutano ad affrontare la crisi missilistico-nucleare in atto con Pyongyang, Pechino è sempre più ago della bilancia nello scacchiere geopolitico asiatico e nel complesso gioco diplomatico con l’America di Trump, rispetto al quale la leadership cinese è alla ricerca di una stabilità mentre si prepara al Congresso in autunno. Sulle acque, la Cina mostra sempre più la sua assertività. Prevale su tutti un principio insindacabile: il predominio sui mari non si discute, la Cina vuole la pace ma non è disposta a scendere a compromessi sulle questioni di sovranità. Lo ha detto il 1 agosto il presidente cinese, Xi Jinping, nella veste di presidente della Commissione Militare Centrale, massimo organo decisionale delle Forze Armate cinesi, nel discorso pronunciato alla Grande Sala del Popolo in occasione dei novanta anni dalla fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA), ribadendo la leadership del Partito sull’esercito.
Giorni prima, nella base di Zhurihe, in Mongolia interna, sotto gli occhi di Xi erano sfilati dodici mila soldati, oltre cento mezzi aerei e cinquecento diversi armamenti; il 40% di questi - secondo le stime ufficiali - venivano mostrati al pubblico per la prima volta. Non poco per un esercito che non combatte una guerra da circa 40 anni (l’ultimo fu il conflitto armato con il Vietnam nel 1979). In mostra, a Zhurihe, non solo gli equipaggiamenti militari di ultima generazione, ma anche i risultati della riforma in atto delle Forze Armate, iniziata nel 2015 con la riduzione di trecentomila unità per snellire l’esercito e renderlo più operativo in battaglia. “Per realizzare il sogno della grande rinascita della nazione cinese, dobbiamo accelerare la trasformazione del PLA in un esercito all’avanguardia”, ha detto Xi, che si prepara al prossimo Congresso del PCC, l’attesissimo appuntamento politico quinquennale, che quest’anno sancirà il ricambio ai vertici e l’ingresso dell’attuale presidente nel suo secondo mandato, con l’enigma della successione. “Abbiamo la fiducia di sconfiggere tutte le invasioni” ha sottolineato Xi.
Una spesa militare in crescita
Secondo quanto annunciato dal Ministero delle Finanze cinesi durante i lavori dall’Assemblea Nazionale del Popolo nel marzo scorso, le spese militari cinesi cresceranno del 7% nel 2017: al ritmo più basso dal 1991, ma per la prima volta oltre quota mille miliardi di yuan (1044 miliardi di yuan, equivalenti a 151 miliardi di dollari). Nel 2017, le spese militari cinesi conteranno per l'1,3% del prodotto interno lordo, e cresceranno per il secondo anno consecutivo con un incremento percentuale a una sola cifra. Lo scorso anno, secondo le stime cinesi, le spese militari erano cresciute del 7,6%, a quota 954,3 miliardi di yuan (138,4 miliardi di dollari), mentre nel 2015, ultimo anno di aumento a due cifre, l'incremento era stato del 10,1%[13]. Una potenza in crescita. Secondo il Sipri, che elabora dati diversi, la Cina è al secondo posto dopo Usa per spese militari al mondo. Le spese cinesi nel 2016, secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto di Stoccolma, sono aumentate del 5,4% a 215 miliardi di dollari, facendo della Cina il secondo Paese che spende di più per difendersi. Al primo posto Usa - +1,7% a 611 milioni di dollari -, al terzo la Russia - +5,9% a 69,2 miliardi di dollari.
"Il pericolo di guerra è grande"
Mentre Trump a marzo scorso annunciava l’aumento del budget del 10% per il 2017, Pechino commissionava la realizzazione di 18 navi da guerra. Gli Stati Uniti dispongono attualmente di 10 portaerei e ne stanno costruendo altre due. La Cina ha varato di recente la seconda, interamente prodotta in Cina, nei cantieri navali di Dalian, diversamente dalla prima nave da guerra - Liaoning – di fabbricazione sovietica. Il varo della prima portaerei cinesi avveniva all’indomani delle dichiarazioni del ministro degli Esteri, Wang Yi tese ad allentare le tensioni tra Usa, Seul e Pyongyang. “Il pericolo di guerra è grande” aveva ammonito il ministro. Non si conoscono le cifre esatte che Pechino destina all’ammodernamento della sua flotta. Ma in Cina la difesa dei mari e dei cieli ha assunto negli ultimi trenta anni, via via che il Paese si apriva a nuove rotte commerciali, una nuova centralità rispetto alla tradizionale difesa terrestre. Nei piani cinesi, marina e aviazione saranno destinati a contare molti uomini e risorse in più rispetto alle forze armate di terra (oggi l’esercito conta un milioni e 600 mila soldati).
Nessuna esplicita menzione delle dispute territoriali, ma è difficile non cogliere nelle parole del presidente pronunciate il 1 agosto un chiaro riferimento alla questione del Mar Cinese Meridionale, dove la Cina sta portando avanti diversi lavori di ampliamento delle isole contese con altri Paesi, come il Vietnam e le Filippine. Proprio lo stesso giorno la Cina ha inaugurato la prima base navale all’estero a Gibuti, in Africa orientale, ufficialmente per motivi di sicurezza e con l’obiettivo di compiere missioni di pace e umanitarie. Il Corno d’Africa si trova in una posizione strategica per il controllo delle vie commerciali tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo. Oltre al Mar Cinese Meridionale, gli interessi di Pechino si estendono a Taiwan, alle isole Senkaku/Diaoyu contese con il Giappone nel Mar Cinese Orientale. Ma le dispute sulla sovranità non sono l’unico cruccio per Pechino che da alcune settimane deve fare i conti con la ripresa di quelli che Washington definisce “esercizi di libertà di navigazione” nel Mare Cinese Meridionale, e che prevedono incursioni compiute da cacciatorpedinieri Usa nelle acque delle isole che Pechino rivendica come proprie, alla ricerca di una collaborazione con Pechino per risolvere la questione nord-coreana. Il terzo episodio è avvenuto il 10 agosto scorso quando la Uss John. S. McCain ha condotto l’operazione al largo del Mischief Reef, nell’arcipelago Spratly, mettendo a dura prova i nervi di Pechino. Lo stesso cacciatorpediniere si è reso protagonista giorni fa di una collisione con una petroliera al largo di Singapore, che ha provocato la morte di dieci marinai americani. Dopo la seconda collisione in due mesi di modernissime navi da guerra Usa con vittime, la US Navy ha diramato un ordine per una "pausa operativa" a tutte le unità delle diverse flotte sparse nel mondo. Agli esercizi di questo tipo sulle acque si aggiungono quelli nei cieli, con rischi, forse, ancora maggiori.