“Ci hanno polverizzato”. Il complemento oggetto è l’Italia. Il soggetto è la Cina. A parlare è Alberto Forchielli, managing partner del Fondo Mandarin.
Da quando il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha annunciato la sua missione in Cina, e il Corriere della Sera ha scritto che lo scopo della visita era piazzare i titoli di stato, Tria non ha fatto in tempo a smentire la notizia sulle pagine del Guangming Daily (per la verità ha fatto passare più di una settimana) che Forchielli ha bollato l’idea del governo come impraticabile, mentre si diffondeva su alcuni quotidiani l’immagine dell’Italia sovranista con il cappello in mano alla corte di Pechino. Quando lo intervistiamo esordisce nel modo tranchant che più gli è congeniale: “Alla Cina non importa niente dell’Italia”.
Un tantino pessimista...
Siamo un paese di serie B. Non abbiamo tecnologia. Non siamo ubicati in modo strategico. Non abbiamo risorse strategiche. Non siamo un mercato grande. Siamo un sistema con cui è difficile dialogare perché ogni sei mesi cambia interlocutore. Non esiste un desk Italia all’interno del ministero degli Esteri cinese, ci hanno raggruppato all’interno di un unico dipartimento con i Paesi dell’Est per una serie di caratteristiche congenite e patologiche. Insomma, siamo la solita merda secca. Per la Cina i paesi che contano sono altri.
Quali?
I grandi mercati (come gli Usa); i Paesi produttori di materie prime (Africa, America Latina); i Paesi limitrofi (Asia e in particolare il Sud Est asiatico). Ai cinesi interessa il Pakistan perché gli dà sbocco sull’Oceano indiano; Israele perché ha la tecnologia; la Grecia perché è da lì che passa la penetrazione verso l’Europa centrale.
Ma come, il governo italiano sta promuovendo l’Italia nell’ambito della Nuova Via della Seta proprio perché la posizione strategica nel Mediterraneo ci rende lo sbocco ideale e più veloce verso il resto d’Europa…
I cinesi hanno già deciso di passare per il Pireo. La strada per arrivare in Europa attraverso l’Italia è lunga, come notava Napoleone Bonaparte. Gli alleati ancora oggi sono pentiti di essere sbarcati in Sicilia.
Addirittura...
Non siamo neanche un Paese che stimano perché siamo all’antitesi: non organizziamo niente, abbiamo una mentalità non pragmatica, non siamo moderni.
Però il turismo cinese in Italia è in aumento
Come no. Vengono a Venezia, vedono le gondole, comprano un paio di scarpe griffate, poi arrivano a Roma e si fanno borseggiare dai centurioni. E la vacanza è bella che finita.
Le due missioni parallele del governo italiano in Cina hanno l’obiettivo di rafforzare la cooperazione economica, commerciale e finanziaria.
E’ un grande errore credere nell’abbraccio benefico e rivitalizzante della Cina. È un tranello in cui sono caduti tutti, a partire dal sottoscritto. Tutto già fatto, tutto già visto.
Può essere più preciso?
Abbiamo ricevuto diversi investimenti cinesi. Hanno comprato Pirelli, pezzi di Cdp Reti, Inter e Milan, sono entrati con quote importanti nelle principali società italiane. Tutto bene, niente di male. Però non si legano i cani con le salsicce.
Mi sembra di capire che la strategia del governo di attrarre investimenti greenfield sui porti e sulle infrastrutture non la convince molto
La strategia è giusta in teoria, ma irrealizzabile in pratica.
Perché?
L’Europa è un continente che cresce poco, non si presta a investimenti incrementali greenfield, ma se mai a investimenti di consolidamento. Se un investitore pensa di fare greenfield, va in Europa dell’est: l’Italia è ultimo Paese che prende in considerazione. Perché qualcuno dovrebbe investire in Italia se sono gli italiani i primi a non farlo?
Dell’Italia butta via proprio tutto?
Se vuole le faccio un rapido elenco delle nostre pecche.
Prego
Alta tassazione, alta burocrazia, incertezza del diritto, costo del lavoro rigido (l’ultimo libro di Forchielli è un appello ai giovani ad andarsene, e il titolo la dice lunga: “Muovete il culo”, Baldini+Castoldi, ndr), criminalità accentuata in diverse zone, cattiva qualità di infrastrutture.
Altro?
Culo appoggiato.
Non le sembra di esagerare?
Ma ci pensi, mentre tutto il mondo sta uscendo dal debito italiano, per quale motivo i cinesi dovrebbero farsi infinocchiare da noi? Mica sono scemi, sanno tutto. I cinesi dell’alta finanza che conosco e con cui ho parlato, di fronte alle notizie in arrivo dall’Italia sulla vendita dei titoli del debito, mi hanno guardato increduli, con un sospiro di disperazione.
L’acquisto di Btp è un segreto di stato, nel 2011 Pechino comprò una fetta del nostro debito, ma non sappiamo l’ammontare.
Posso dirle che la partecipazione cinese al debito italiano è andata calando.
Come lo sa?
Sono mie stime.
Però non può negare che i rapporti bilaterali hanno registrato una notevole evoluzione, sia sul versante istituzionale sia sul versante commerciale. Ci sarà almeno un elemento positivo?
L’unico aspetto positivo è che Pechino ha ricevuto una grossa porta in faccia da Washington e sta quindi rivalutando il rapporto con l’Europa.
A proposito, come vede la marcata oscillazione dello yuan nei confronti del dollaro?
La Cina sta uscendo male dal confronto commerciale con gli Stati Uniti: la Borsa si è fermata, i profitti delle aziende sono in calo; crolla la fiducia; è in calo lo yuan. Si dice che la Cina abbia abbassato apposta il valore della moneta. La verità è che Pechino non ha nessun interesse a farlo.
Nell’ultima mossa la banca centrale ha incrementato il renminbi (+0,6%)
Lo yuan che si svaluta incentiva i cinesi a portare fuori i soldi. E quando 150 milioni di cinesi si mettono in marcia con la valigia pieni di soli, è impossibile fermarli. Il controllo delle masse è la maggiore preoccupazione dei leader cinesi. Nel 2015, quando esplose la crisi della delle borse, le riserve traballarono. Hanno dovuto introdurre controlli draconiani per scongiurare nuove bolle.
Xi Jinping è un leader indebolito?
Trump ha assestato un gran colpo alla Cina; non sono sicuro che lo abbia capito, forse lo ha fatto apposta, ma di sicuro gli è venuto bene. Con la nuova legge, quella inglobata nel pacchetto di spese da 800 miliardi per la difesa, di fatto gli Usa stanno per bloccare gli investimenti tecnologici e le start up cinesi (la nuova legge Firrma, che rottama il vecchio Cfius, è passata alla Camera e attende l’approvazione del Senato). È un grande smacco per Xi Jinping: un leader che non garantisce alle maggiori società uno sbocco in America, è un leader mutilato.
I problemi della Cina però non sono solo con i dazi di Trump
I cinesi stanno ricevendo un sacco di schiaffi. Il premier malesiano Mahathir li ha accusati di praticare una nuova forma di colonialismo; hanno problemi in Pakistan; l’Australia ha bandito Huawei e Zte dal 5G; non possono entrare in Messico dopo il nuovo accordo stipulato con gli americani che manda in pensione il Nafta. Tutto questo si traduce in un vantaggio per l’Europa.
Anche per l’Italia?
Tria ha ottenuto una serie di incontri che generalmente sono riservati a un primo ministro, con il premier Li Keqiang e con i vertici di People’s Bank of China. Ma ripeto, è infantile pensare che questa predisposizione maturi nell’acquisto di fette del debito italiano.
Una compagnia aerea cinese potrebbe essere interessata a entrare in Alitalia?
Mai dire mai, del resto le linee aeree cinesi sono in espansione. Ma diciamoci la verità: comprare Alitalia è sadomaso; prendere una quota di minoranza è buttare i soldi nello sciacquone, peggio che comprare il Milan.
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