Lotta dura al denaro “occulto” e anche occultato. Parola d’ordine: far emergere il contante (a anche altri beni di valore) chiusi nelle cassette di sicurezza per destinare gli importi recuperati all’economia reale. È questo il senso della proposta e della nuova battaglia ingaggiata dal vicepremier leghista Matteo Salvini da alcuni giorni.
Ma cosa si cela davvero nelle cassette di sicurezza? Nei caveau sotterranei delle banche c’è di tutto, dai gioielli alle carte personali e riservate, dalle foto alle lettere alle scritture ereditarie. E, ovviamente anche denaro contante, ma “nessuno sa” con precisione, come si evince dalla lettura dei quotidiani. E men che meno a quanto ammonti. Il procuratore capo di Milano, Francesco Greco aveva anche azzardato una stima: nel 2016, in un’audizione parlamentare, aveva parlato di 150 miliardi; un anno dopo in un convegno aveva alzato la cifra a 200 miliardi, tra le cassette di sicurezza in Italia e all’estero facenti capo a cittadini italiani. Denaro “di provenienza illecita”, aveva spiegato con forza. “Frutto di reati, in attesa di essere riciclato; nella migliore delle ipotesi proveniente da evasione fiscale” si legge in una cronaca sull’edizione cartacea de la Repubblica.
Ma secondo cifre bancarie si tratterebbe di una cifra “molto sovrastimata”. “Le stesse fonti parlano di appena qualche miliardo che potrebbe essere custodito nei caveau bancari; in caso contrario dovrebbe esserci un vorticoso giro di valige piene di banconote”. E le motivazioni per possedere una cassetta di sicurezza, va da sé, sono la sicurezza: “Dai ladri, dagli occhi indiscreti dei parenti e, nel caso dei contanti, dal Fisco e dalla giustizia”. Così, “da tempo si dice che trovare una cassetta di sicurezza disponibile nelle banche italiane e svizzere sia molto difficile, ma forse è solo una leggenda metropolitana”, osserva il Corriere della Sera. Secondo La Stampa in edicola, ad esempio, “gli italiani possessori di una cassetta di sicurezza oscillano fra il milione e il milione e mezzo”.
Sempre il procuratore Greco aveva avanzato una soluzione: una voluntary disclosure sul contante, “che avrebbe anche l’effetto, per nulla secondario in momenti come quelli che sta attraversando l’Italia, di far entrare nelle esangui casse dello Stato qualche miliardo di euro”. Del resto, secondo i dati forniti dall’Abi, l’Associazione che raggruppa le banche, “gli italiani sono agli ultimi posti in Europa nell’uso di mezzi di pagamento elettronici (tracciabili) con 30 operazioni pro-capite, mentre la media continentale si attesta ad oltre 200, con gli svedesi che arrivano a più di 400” come si può leggere ancora sul Corriere.
E proprio oggi su tutti i giornali e, in particolare sul Sole 24 Ore, si scrive che le transazioni sono per l’86% in contati, tanto che l’Italia è il Paese primo in classifica per questo tipo di pratica. Preferendola di gran lunga all’uso di bancomat, prepagate e carte di credito. Meglio essere economicamente e fiscalmente irrintracciabili che tracciabili, dunque.
In realtà la sicurezza, e la riservatezza non sono totali neanche in banca. Dal 2013, i dati anagrafici di chi affitta una cassetta di sicurezza, insieme alle volte in cui ha avuto accesso alla medesima, racconta la Repubblica, “vengono segnalati all’Agenzia delle entrate, che inserisce questa mole enorme di informazioni in un ‘Archivio dei rapporti’ che ogni cittadino intrattiene con le istituzioni finanziarie.”
Non basta, dal 2017 la quinta Direttiva comunitaria antiriciclaggio ha poi imposto “la nominatività delle cassette di sicurezza”. Nel senso che il Fisco può conoscere, indirettamente, anche il valore dei beni contenuti nella cassetta; o per meglio dire, il valore dichiarato dal titolare se c’è un’extra-assicurazione. Il contratto di locazione della cassetta, infatti, è accompagnato da una assicurazione di base sul valore — dichiarato — dei beni in custodia. “La copertura inclusa nella polizza standard varia da banca a banca ma in genere copre 5-10 mila euro. Poi si possono stipulare polizze aggiuntive, in genere con un massimale di 100 mila euro e chi fa una scelta del genere viene segnalato, anche per questo aspetto, all’Agenzia delle entrate”.
Il Giornale definisce quella delle cassette di sicurezza una “trappola”, stretta “tra patrimoniale e riciclaggio di Stato”. Sia nell’ipotesi condono, sanatoria, “scudo penale” o lo si voglia chiamare nel tentativo di far emergere il cosiddetto “nero”. “Ma la banca non è tenuta a fare la ‘spia’” titola il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti una scheda sul funzionamento delle piccole casseforti “tornate di moda con il bail-in”, che così commenta il progetto Salvini di sanatoria o altro: “Perché un simile progetto possa stare in piedi, lo Stato dovrebbe essere in grado di distinguere tra i soldi custoditi legalmente (quindi non tassabili), quelli provenienti da evasione (condonabili) e quelli da spaccio di droga (sequestrabili). Se Salvini pensa che in Italia sia possibile fare questo tipo di selezione o che ci si possa fidare di un’autocertificazione, si accomodi”.
La battaglia è ora tutta politica. Su La Stampa si può leggere che . “La ‘pace fiscale’ è un’ipotesi senza fondamento, non esiste nulla di scritto” insistono i grillini. Il Pd attacca e parla di “patrimoniale”, “condono” e di “enorme regalo alla criminalità organizzata”.
“Nessuna patrimoniale né una tassa sulle cassette di sicurezza: non siamo qui a fare Monti”, ha assicurato il vicepremier Salvini nello studio televisivo di Bruno Vespa due sere fa su Raiuno. Ma la polemica non si esaurisce.