Robin Hood (quello con arco e calzamaglia) rubava ai ricchi per dare ai poveri. Robinhood (una startup) non arriva a tanto, ma almeno non farà pagare le commissioni sulla compravendita di criptovalute. La società, fondata a Palo Alto nel 2013, permette agli utenti di gestire azioni ed Etf (fondi che si possono scambiare come titoli) senza commissione sulle transazioni.
Da febbraio farà lo stesso con Bitcoin ed Ether. Presto – promette – allargherà il servizio ad altre criptovalute. Che intanto potranno essere monitorate. Robinhood si propone quindi come unica porta d'accesso alla compravendita di diverse monete digitali.
La novità però sta proprio nell'assenza di commissioni, che pesano non poco su altre piattaforme. Su Coinbase (la più famosa e frequentata), le tariffe variano da Paese a Paese: in Europa c'è una commissione dell'1,49% sulle compravendite che sale al 3,99 se si usa una carta di credito o di debito. Su 1.000 euro sborsati, quelli usati realmente per compare bitcoin sono tra i 960 gli i 985.
Come guadagna la startup?
Ma allora come guadagna Robinhood? Per ora, ha spiegato il co-founder Vlad Tenev a TechCrunch, l'obiettivo non è fare profitti, ma allargare la base utenti. Per poi iniziare a incassare seguendo lo stesso modello usato oggi con chi usa la piattaforma per investire in azioni. Robinhood ha alcune versioni premium a pagamento, che forniscono servizi aggiuntivi e consentono di trasferire istantaneamente dal proprio conto corrente più di mille dollari (limite per la versione base). E poi incassa una piccola percentuale sui depositi.
Cioè sulle somme parcheggiate sull'app in attesa che vengano investite. Ecco allora il perché dell'apertura alle criptovalute: è un modo per conquistare un pubblico nuovo, con caratteristiche diverse rispetto all'investitore tradizionale. Una volta messo piede sulla piattaforma, ci sono più probabilità che continuino a usarla per investire (non solo per bitcoin ed ether) e come deposito.