La multinazionale belga Bekaert ha deciso di chiudere il suo stabilimento toscano per spostarne la produzione in Romania, una delocalizzazione che costerà il posto di lavoro a 318 persone. Rabbiosa la reazione dei sindacati e del ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, che, dopo un incontro inconcludente con i rappresentanti dell'azienda, afferma di non aver "mai visto un'azienda così arrogante" e promette di trovare strumenti di "moral suasion" per risolvere la vertenza.
"Perdite strutturali e irreversibili"
La società ha confermato l'intenzione di chiudere il sito di produzione di Figline e Incisa Valdarno (Firenze), dedicato alla produzione di rinforzi in acciaio per pneumatici, decisione che comporterà il licenziamento di 318 dipendenti. Nell'incontro coi sindacati che si è tenuto ieri a Roma, al Mise, la delegazione della società ha spiegato le ragioni della scelta: negli ultimi anni il sito di Figline non ha generato "una performance finanziariamente sostenibile". Secondo Bekaert, "le perdite degli ultimi anni sono strutturali e irreversibili e hanno portato alla decisione di cessare tutte le attività".
Il management si è impegnato ad avviare un confronto per "attenuare l'impatto sociale per i dipendenti interessati e collaborerà a possibili soluzioni di reindustrializzazione che potrebbero delinearsi", si legge in una nota diffusa da Bekaert dopo l'incontro, confermando la posizione già espressa mercoledì a Firenze durante un incontro coi sindacati negli uffici di Confindustria.
"In trent'anni di attività sindacale non ho mai visto un atteggiamento cosi' arrogante da parte di un'azienda, alla presenza dei lavoratori, delle organizzazioni sindacali, degli enti locali e dello stesso Stato italiano, rappresentato a quel tavolo dal ministro", commenta il segretario generale della Cisl Toscana, Riccardo Cerza, al termine dell'incontro al Mise.
"L'azienda non è disponibile a sospendere la procedura, ha detto che per loro si può trattare, ma entro 75 giorni, ben sapendo che 14 se ne sono già andati. Non ha voluto prendere in considerazione alternative", aggiunge Cerza, "pur con la disponibilità del ministro di mettere a disposizione tutti gli ammortizzatori possibili e con la nostra disponibilità di cercare una soluzione con l'azienda". "La posizione del governo", riferisce l'esponente della Cisl, "è stata esemplare. Ha detto chiaramente che in Italia c'è un'etica del lavoro e che una multinazionale non può solo prendere. Ha ribadito che questo atteggiamento da parte loro non viene certo preso bene dallo Stato, che lo porterà a conoscenza degli altri partner europei e che questa cosa non si fermerà in Italia".
Gli operai a rischio sono "per lo più di mezza età"
Nel Paese Bekaert, leader mondiale nel mercato e nelle tecnologie di rivestimento e trasformazione dei fili d'acciaio, impiega 600 dipendenti nelle tre distinte società di Figline e Incisa Valdarno, Assemini (Cagliari) e Milano. L'attività del gruppo in Italia comprende la produzione di rinforzi in acciaio per pneumatici, oltre alla vendita e distribuzione degli stessi, di prodotti per l'edilizia e di altro tipo con fili d'acciaio per l'industria italiana. Il sito di Figline Valdarno è attivo nella produzione e nello sviluppo di prodotti con rinforzi in acciaio, tra cui corde, trafilati per il rinforzo di tubi ad alta pressione e cerchietti e semilavorati da fornire ad altri stabilimenti di rinforzi in acciaio di Bekaert nell'area Emea.
I 318 che rischiano di perdere il lavoro nello stabilimento toscano - evidenzia Paolo Capone, segretario generale dell'Ugl, "sono per lo più operai di mezza età che se licenziati, avranno grosse difficoltà per trovare un altro impiego". "Oltre il danno anche la beffa: grazie al Jobs Act se un'impresa cessa la sua attività, i dipendenti non hanno diritto alla cassa integrazione", accusa Capone. "Molti di loro sono anche prossimi alla pensione. Si tratta di 318 famiglie che rischiano di finire sulla strada, soprattutto perché l'azienda dimostra di non avere alcun vincolo di responsabilità sociale nei confronti dei suoi dipendenti. Bisogna, quindi, scoraggiare le multinazionali a delocalizzare la propria produzione all'estero per fini economici, affinché siano tutelati i diritti dei dipendenti. Speriamo che il governo proceda in tal senso per salvare, in qualche modo, la forza lavoro".
Di Maio: "Contatti con Pirelli per fare pressione"
"Non ho mai visto tanta arroganza da una azienda come questa e ho assicurato al vice presidente europeo che è venuto al tavolo che, siccome loro non hanno dato nessuna disponibilità neanche a bloccare per un giorno il piano di mobilità, questo governo si premurerà di andare in giro per il mondo a raccontare la poca attendibilità di questa multinazionale", ha detto Di Maio, al termine del tavolo, ribadendo che "loro avranno un primo sponsor negativo nel mondo che sarà il governo italiano". "Purtroppo - ha spiegato il ministro - su questo tavolo devo incassare l'arroganza di una multinazionale che crede di passarla liscia venendo qui, si fa 3 anni, utilizza i nostri lavoratori e poi se ne va dicendo: 'Scusate ma i piani finanziari non andavano bene'".
"Abbiamo un contatto con Pirelli - ha proseguito Di Maio - per cercare di fare una moral suasion e loro ci hanno detto di no, non sospendono neanche per un giorno la procedura di mobilità che potevano poi ricominciare se andava male l'accordo. E allora c'è una volontà di non collaborare con noi di cui terremo conto e lo racconteremo al mondo intero sperando che vengano a più miti consigli".Secondo il ministro, questa è "un'operazione internazionale finanziaria che, come al solito, manca di rispetto a questo paese. Io ho fatto una legge sulle delocalizzazione, il problema è che non è retroattiva e quindi non vale per questi signori qui, altrimenti stavamo già agendo con nuovi strumenti".
"Un insulto allo Stato Italiano"
"Il menefreghismo di Bekaert è un insulto a 318 famiglie e allo Stato italiano. Personalmente scrivero' al Ceo di Bekaert Matthew Taylor. Mi auguro che a strettissimo giro l'azienda cambi atteggiamento e decida di incanalarsi in un percorso istituzionale di confronto nell'interesse sia loro che dei lavoratori. Ma l'era in cui lo Stato si lasciava prendere in giro impunemente da chiunque è finita", ha proseguito il ministro Di Maio scrivendo sul suo profilo Facebook un lungo post dedicato alla vertenza.
Il consiglio di Calenda
Sulla vicenda interviene, con una serie di tweet, l'ex ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che invita Di Maio a utilizzare il fondo antidelocalizzazioni. "Luigi Di Maio, se invece di fare il decreto dignità che impedisce le reindustrializzazioni avessi preso la bozza del decreto già pronta al Mise (cfr. passaggio di consegne virtuale) = obbligo di reindustrializzazione per chi delocalizza, avresti un problema in meno. Usa almeno il fondo!", scrive l'esponente del Pd.
Caro @luigidimaio , il fondo antidelocalizzazioni non serve a “dare i soldi a imprenditore” come da te dichiarato ma a far intervenire Invitalia per curare la reindustrializzazione quando c’è delocalizzazione senza subentro. Volentieri ti spiego come funziona se utile x #Bekaert
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 5 luglio 2018