Il 'quantitative easing' senza limiti di tempo prefissati che Mario Draghi lascia in eredità a Christine Lagarde, prossima a prendere le redini della Bce, nasconde una trappola. Secondo le regole attuali, l'istituto di Francoforte acquista ogni mese titoli di Stato di Paesi dell'Eurozona in proporzione alla quota che ogni banca nazionale detiene (la cosiddetta 'capital key') e, in ogni caso, non può acquistare più del 33% di una singola emissione di buoni del Tesoro e non può detenere più del 33% dell'intero stock di debito di uno Stato membro.
Ora, sulla base di queste regole, riferiscono alla Reuters fonti ben informate, tra poco più di un anno la Bce non avrà più abbastanza Bund tedeschi da acquistare (per i titoli di Stato olandesi, il limite potrebbe essere superato ancora prima). Per poter proseguire in maniera indefinita quello che è stato battezzato 'Qe infinity', la banca centrale dovrà quindi cambiare le regole, in maniera tale da aumentare gli acquisti di titoli dei Paesi con i debiti più elevati, come l'Italia e la Spagna. Questo non potrà che scatenare una levata di scudi a Berlino e ad Amsterdam, giacché rafforzerà la percezione del 'Qe' come uno strumento che aiuta le nazioni spendaccione a spese delle economie più disciplinate in materia di bilancio.
Questo è il motivo per cui il varo della nuova tornata di 'Qe', che procede al ritmo di 20 miliardi di euro al mese (non solo buoni del Tesoro ma anche titoli di agenzie governative e corporate bond), ha causato una frattura all'interno del Consiglio dei Governatori della Bce, con la Francia, non certo un guardiano dell'austerità, schierata con la Germania nel sottolineare come i programmi di acquisto dovrebbero essere una misura di emergenza e non la normalità. E ora a Francoforte il dibattito si concentra su come bisognerà piegare le regole per consentire al programma di sopravvivere.
Tre vie d'uscita. Nessuna è comoda
Sulla carta la strada più semplice sarebbe ridurre gli acquisti di titoli di Stato in favore dei corporate bond, ovvero obbligazioni di aziende. Ciò significherebbe però acquistare attività più rischiose e, dopo le perdite incassate lo scorso anno a causa del crollo della catena di negozi di arredamenti sudafricana Steinhoff, nei cui titoli la Bce aveva investito, la prospettiva non è vista con entusiasmo. Cambiare il limite del 33% significherebbe quasi sicuramente incorrere in cause legali dall'esito incerto (è già accaduto in passato che gli accademici tedeschi chiedessero alla Corte Costituzionale teutonica di esprimersi sul 'Qe').
Resta quindi l'intervento sulla 'capital key', ovvero chiedere ai Paesi che beneficerebbero di acquisti più consistenti di sottoscrivere quote maggiori del capitale della Bce. Si tratterebbe nondimeno di una decisione arbitraria: le quote sono state già cambiate l'anno scorso per il lustro successivo ed esse dipendono dalla popolazione e dal Pil di una nazione in proporzione al resto dell'area euro. E sappiamo come l'Italia non brilli né dal punto di vista della crescita che da quello della demografia.
Rimettere mano alle quote, pur non avendo implicazioni legali dirette, aprirebbe poi un problema politico enorme. La Germania, che già era contraria alla prosecuzione del 'Qe', si troverebbe ulteriormente penalizzata rispetto a una situazione che la vede fin da ora in svantaggio. Il 'Qe', ricorda Reuters, ha di fatto già sforato le proporzioni con il capitale sottoscritto: i bond di Berlino detenuti dalla Bce sono inferiori dell'1,3% a quanto previsto dal sistema delle quote, laddove gli acquisti a favore di Italia, Spagna e Francia sono superiori dell'8,4%, del 7,4% e del 3,9% alla rispettiva 'capital key'. Il problema, quindi, c'è già. E Lagarde ha pochi mesi di tempo per trovare una soluzione.