Tra i banchieri centrali, specie quelli della Fed, e i mercati finanziari è iniziato un braccio di ferro che probabilmente durerà per l'intero febbraio e che rischia di farsi pericoloso. La posta in gioco è la stretta monetaria, ovvero il rialzo dei tassi di interesse dopo anni di denaro a costo zero. I mercati la vorrebbero soft ma i banchieri centrali non hanno alcuna intenzione di farsi imbrigliare e lasciano intravedere l'ipotesi di rivedere la politica monetaria in modo deciso. La conseguenza di questo braccio di ferro sotterraneo è stata l'entrata in fibrillazione dei mercati, sia quelli azionari che quelli dei bond, con un calo vertiginoso dei corsi. I più ottimisti parlano di una correzione salutare, i pessimisti invece paventano una vera e propria inversione di tendenza, con possibili ricadute negative sull'economia. Secondo gli esperti, per il momento stiamo assistendo a una correzione ribassista più profonda del previsto, ma nessuno è in grado di dire come andrà a finire.
Wall Street contro la Fed
Tutto è iniziato con l'arrivo, all'inizio di febbraio, di Jerome Powell alla guida della Fed, che è stato 'salutato' dai mercati con un pesante tonfo a Wall Street, un'ondata di 'selloff' (vendite a pioggia) a cui hanno fatto seguito altri tracolli, culminati giovedì con con il Dow Jones a picco del 4,6%, lo S&P a -3,8% e il Nasdaq a -3,9%. Anche i rendimenti dei Treasury, i titoli del debito pubblico Usa, sono schizzati verso l'alto: il decennale è salito al 2,6%, vicino al massimo da tre anni, e le aste sui bond Usa, negli ultimi due giorni, sono andate molto male, sia quella sui decennali, che quella sui trentennali. Un brutto segnale in vista dell'approvazione del budget biennale Usa, che prevede 300 miliardi di dollari di spesa federale aggiuntiva rispetto a quella già prevista, per la difesa, il finanziamento della riforma fiscale e gli investimenti infrastrutturali. Si tratta di soldi che andranno ad aumentare il deficit Usa e che dovranno essere rastrellati sui mercati, in gran parte con emissioni di bond, cioè proprio attraverso quelle aste che negli ultimi due giorni hanno fatto flop.
È, insomma, iniziato sulle piazze finanziarie un gioco pericoloso. Chi opera sui mercati sta chiedendo ai banchieri centrali, in particolare alla new entry Powell, di venirgli incontro sul rialzo dei tassi e finora è stato snobbato. Secondo gli esperti, è improbabile che la Fed freni sulla stretta monetaria. Finora ha realizzato tre rialzi dei tassi da un quarto di punto nel 2017 e per il 2018 tutti scommettono su tre nuovi ritocchi verso l'alto, a partire da marzo. Anche la Bce e la Boe hanno innestato la freccia e si apprestano a svoltare e a rivedere la politiche ultra-accomodanti degli ultimi anni. Giovedì la Boe ha preannunciato che procederà alle future strette in modo più deciso.
Il governatore della Fed di New York, Robert Dudley, ha detto la sua e lo ha fatto quasi irridendo i mercati. In un'intervista a Bloomberg tv, Dudley ha assicurato che la correzione in atto sul mercato azionario non metterà in pericolo l'espansione economica e ha definito i recenti tracolli di Wall Street "patatine" (noi italiani avremmo detto "bruscolini"), ma il senso non cambia: per Dudley, i tonfi in Borsa non contano niente e i tre rialzi dei tassi previsti per il 2018 li ha definiti una "previsione ragionevole". Parole suonate come una sfida per i mercati, che hanno reagito sfidando, a loro volta, la banche centrali con una pioggia di vendite su bond e azioni.
Il gioco rischioso degli investitori
Andrew Milligan, responsabile del global strategy di Aberdeen Standard Investments, sul Financial Times, fotografa la situazione confermando che gli investitori hanno ormai capito che i mercati sono entrati in una nuova fase. "D'ora in poi - spiega - i mercati saranno estremamente sensibili ai rapporti sull'inflazione, mentre si verificheranno ulteriori analisi sulle posizioni estese che potrebbero portare a vendite forzate". Tradotto significa che i rapporti sull'inflazione, da cui dipenderà l'entità e la frequenza delle strette monetarie, saranno quelli più monitorati dagli investitori. Gli ordini elettronici si attivano automaticamente su bond e azioni al di sopra o al di sotto di certe soglie e questo meccanismo finisce per moltiplicare i trend di mercato. Ebbene, gli investitori hanno calibrato tali meccanismo in modo tale da farli scattare più sul versante delle vendite che su quello degli acquisti. Forzando un po', ma neanche tanto, il senso delle parole di Milligan, significa che gli investitori hanno preso atto che il trend dell'economia mondiale va nel senso di un aumento del costo del denaro e che, per far capire ai banchieri centrali che fanno sul serio e che sul rialzo dei tassi la Fed deve andarci cauta, sono pronti a vendere bond e azioni, rafforzando la fase ribassista dei mercati. Appare, dunque, chiaro che il gioco si è fatto pericoloso e potrebbe sfuggire di mano agli stessi investitori.