L’innovazione spaventa, e sembra inarrestabile. Ma la buona notizia, per il Washington Post, è che l’automazione, numeri alla mano, crea più posti di lavoro di quanti ne distrugga. E sono meglio pagati. La sfida, dati alla mano, è quella della trasformazione del lavoro e quindi delle competenze richieste, perché raramente chi perde il lavoro a causa dell’automatizzazione viene ricollocato con le stesse mansioni.
Un esempio: gli sportelli automatici nelle banche
Secondo James Bessen, economista alla Boston University School of Law, sono molteplici i casi in cui l’automazione ha stimolato la creazione di nuovi posti di lavoro, invece che la distruzione degli stessi. Un esempio su tutti è quello dell’introduzione di sportelli automatici nelle banche. Negli anni ‘70 i dirigenti della Wells Fargo & Co erano convinti che l’automazione avrebbe portato alla riduzione di filiali e conseguentemente di posti di lavoro. Successe esattamente il contrario: la possibilità per ciascuna filiale di operare con meno personale ha fatto sì che si aprissero nuovi sportelli e che venissero assunti complessivamente più dipendenti, necessari per svolgere mansioni per le quali non possono essere impiegati i bancomat, come i rapporti con la clientela.
L'automazione potrebbe favorire nuova domanda. Il caso Uber
A emergere, secondo le ricerche, è il fatto che l’automazione non impatta sulla domanda, ma ne favorisce una nuova che fino a quel momento era rimasta inespressa. Un esempio pratico è quello di Uber. Tra il 2005 e il 2017 infatti le corse in taxi nella città di New York sono state 75mila in meno. Eppure le corse in car sharing sono state 210mila, evidenziando come la domanda invece che spostarsi, si è espansa. È il mercato a evolvere, di fronte a Internet, e alla possibilità di comprare o offrire servizi sempre più personalizzati sulle esigenze del singolo utente.
Amazon, effetti negativi sui piccoli esercenti, ma crea più posti di quanti ne distrugge
Uno dei casi più discussi è quello dell’impatto che ha avuto Amazon sui piccoli commercianti. Grazie alla robotica è stato possibile ottimizzare enormemente la gestione dei magazzini, riducendo i costi e incrementando il commercio. Secondo le stime il 42% di proprietari di case negli Stati Uniti ha un account Prime, che consente di fare acquisti con consegna immediata. Nel processo di vendita però Amazon impiega lavoratori in carne e ossa che supervisionano tutte le operazioni. La tecnologia impiegata ha assestato un duro colpo ai venditori al dettaglio, ma in termini di produzione di posti di lavoro, grazie alla continua apertura di nuovi centri in tutto il mondo, sembra dimostrare di poter creare altrettanti posti di lavoro.
Il futuro è roseo, per i ricercatori
I casi studio analizzati da Bessen sono numerosi e si concentrano sull’impatto che l’automazione ha avuto sulla vendita al dettaglio. Da Amazon a Uber, in tutti i contesti analizzati, l’impatto sul territorio delle compagnie che basano la loro fortuna sull’ottimizzazione delle fasi del lavoro ha generato più assunzioni di quanti non fossero i posti persi. Anche se lo studio di Bessen sembra confermare prospettive rosee per il futuro, ma non mancano le perplessità di economisti e imprenditori che sulla tecnologia hanno basato la loro fortuna. Come nel caso di Bill Gates, co-fondatore di Microsoft, che suggerisce di applicare una tassazione sui robot. Quali cambiamenti ci aspettino è difficile prevederlo. Ma anche se nell’immediato siamo istintivamente portati a pensare che i robot si sostituiranno a noi, gli indizi sembrano suggerire che l’apocalisse dei robot è ancora lontana.