È bastata la scintilla innescata ieri da La Stampa con l’intervista a Matteo Salvini, critico verso il Di Maio “anti-industriale” che con i suoi giudizi reca danni all’economia, e la sottolineatura polemica fatta dal Corriere della Sera per avvivare il dibattito il cui quesito o filo conduttore è: le aziende sono sotto ricatto? E da parte di chi?
La lettura dei giornali in edicola offre una lettura piuttosto univoca e un fronte molto compatto. “Imprese e sindacati contro Di Maio: danni all’economia”, titola l’apertura della prima pagina il confindustriale Sole 24 Ore; “Il governo blocca l’Italia: è ora di reagire” riporta, tra virgolette, Il Foglio le parole del segretario della Cgil Maurizio Landini, al quale il quotidiano diretto da Claudio Cerasa si affida per ragionare di lavoro, industria ed emergenze varie; “Di Maio? Un danno al Paese” apre la prima pagina Il Gazzettino di Venezia, che mette anche lui tra virgolette il giudizio del Governatore veneto Zaia; Il Giornale mette in campo un editoriale il cui titolo è più che esplicito: “Il Governo che devasta l’industria”, dal caso Ilva al Caso Atlantia-Autostrade.
Il Fatto Quotidiano invece si smarca (“Cacciare Atlantia ora si può” il titolo d’apertura) e mette in campo nientemeno che la firma di Beppe Grillo per discutere del tema in oggetto e lanciare una provocazione: “Un’idea per zittire Salvini: quotare in Borsa Sea Watch”; la mette diversamente Libero, che titola: “Il Ministro anti-sviluppo Di Maio fa arrabbiare perfino i sindacati”, mentre la Repubblica pone l’accento su Di Maio che attacca ancora Atlantia “ma la revoca costa 20 miliardi”, con Il Messaggero che su Autostrade segnala la “frenata del Mit, i tecnici divisi sulla revoca” e La Stampa, infine, che al caso Atlantia-Di Maio dedica un editoriale dal titolo: “Il populismo alimenta l’incertezza”.
Il Corriere, edizione su carta, dà voce a Carlo Bonomi per dire “adesso basta” e titolare così l’intervista al Presidente di Assolombarda: “Le aziende non possono più subire i ricatti di chi governa”. Ma Basta a cosa? “a questo atteggiamento nei confronti dell’industria. Basta attacchi: chiediamo rispetto”, risponde Bonomi che sottolinea come “dal decreto Dignità in poi l’esecutivo giallo-verde non abbia perso occasione per attaccare il mondo del dell’impresa. Abbiamo visto susseguirsi una serie di provvedimenti animati da uno spirito anti-industriale. Ma adesso con i casi Ilva e Atlantia abbiamo superato il segno”.
Mentre sulle stesse colonne Dario Di Vico analizza il fato che “noi ci troviamo dentro la tenaglia dei vicepremier che blocca le imprese”, perché da un lato c’è un vicepremier pentastellato che si propone “in politica come una sorta di giustiziere del popolo vessato dai datori di lavoro”, dall’altro il suo omologo leghista che “al momento di definire gli incarichi di governo non ha rivendicato per i suoi nessun dicastero economico”. Ha preferito, invece, che Di Maio “facesse il pieno di Industria e Lavoro”. Nel suo schema iniziale evidentemente “il consenso della constituency dell’impresa non era una priorità, bisognava conquistare il Sud per fare della Lega un vero partito nazionale. Le manifestazioni torinesi pro Tav hanno però indotto il leader leghista a cambiare direzione, ha percepito che si stava aprendo una crepa e avuto timore che si operasse una sorta di divorzio del Nord”. Ecco, dunque, la tenaglia in cui siamo stretti.
E mentre Il Messaggero calcola in 70 mila i posti di lavoro in pericolo per la guerra alle imprese, al Gazzettino di Venezia, attaccando a testa bassa Di Maio, dichiara che “farei causa anch’io se mi dicessero decotto”, usando la stessa espressione utilizzata dal vicepremier pentastellato contro Atlantia. E per Nicola Porro su Il Giornale quella appena trascorsa “è la peggiore settimana economica del governo gialloverde” perché “in un paio di giorni il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha fatto fuori un paio di punti di Pil”.
Di tutt’altro tono l’articolo firmato su Il Fatto da “Beppe Grillo e il suo neurologo”, che attacca il presidente di Confindustria Boccia “pienamente armonizzato con le tre sigle sindacali” e “nell’oscurità del cono d’ombra che formano questi resti della storia si minacciano tranquillamente i governi!” E se poi “qualcosa va storto con una concessionaria di un servizio pubblico fondamentale del paese, fatevi i cazzi vostri, sono quotati in Borsa” scrive Grillo. Poi aggiunge: “Sono morti in 43, uno in più dei poveracci che sono bloccati sulla nave di fronte a Lampedusa. Per il primo gruppo il mondo civile è contento se facciamo finta di niente, se non sbarcano quelli del secondo gruppo invece siamo dei criminali. Non importa a nessuno come la pensi, la vera questione è che la Sea Watch non è quotata in Borsa!”.