Ora lo scontro diretto tra Luigi Di Maio e Atlantia intorno al futuro di Alitalia sta innescando una serie di reazioni a catena. Non solo quello della famiglia Benetton che si riserva la possibilità di azioni legali nei confronti del vicepremier per danno economico, ma anche quella dell’altro vicepremier, Matteo Salvini, che in un’intervista a La Stampa, nella sua versione cartacea, dà un altolà al collega di governo dicendogli: “Stiamo parlando di una società che dà migliaia di posti di lavoro – ragiona Salvini – è quotata in borsa e fattura decine di miliardi di euro. Prima di dare giudizi sommari, quando ci sono di mezzo posti di lavoro io sono sempre molto attento. Ripeto: un conto sono gli aspetti legali, i processi penali, civili e i risarcimenti danni. Altro conto è dire che un’azienda è decotta o fallita mettendo a rischio posti di lavoro. Prima di dirlo bisogna stare attenti”.
E sul futuro di Alitalia poi aggiunge: “Entro venti giorni Alitalia o trova finanziatori o gli aerei per metà luglio non decollano più. Sarebbe un disastro. Non sottraggo lavoro agli altri, so che l’amico Luigi ci sta lavorando da mesi e sono convinto che gli aerei il 16 luglio decolleranno. Chi sarà il socio non mi compete, basta che sia serio. Non ho pregiudizi”. Poi una frecciata ai 5Stelle: “Leggevo che Di Battista sospetta amicizie con i Benetton e finanziamenti alla Lega: non ho mai conosciuto i Benetton né mai siamo stati amici. Ma i processi non si fanno sul giornale”.
Tuttavia l’uscita di Di Maio su Atlantia, Alitalia ma anche Ilva fa titolare al Corriere della Sera così: “Ilva e Atlantia, l’attacco di Di Maio. Nel mirino le grandi imprese”. E a Dario Di Vico, firma economica del quotidiano, di porre un quesito: “Ma a chi conviene lo scontro continuo con le aziende?” Nell’articolo si può leggere che “nella cultura politica del ministro Luigi Di Maio è facile riscontrare un pregiudizio di fondo nei confronti dell’impresa e della libera iniziativa” ciò che gli ha consentito “di raggranellare qualche applauso di platee disattente”.
“E dunque - prosegue Di Vico – se al momento della definizione degli incarichi Di Maio ha voluto intestarsi anche il ministero dello Sviluppo economico uno psicologo potrebbe spiegarci che l’ha fatto proprio per punire l’impresa, per far sentire agli industriali quanto può far male il nodoso bastone della politica”.
E cita il caso di Foodora, la società tedesca di consegna del cibo a domicilio, che “dopo le prime e inconcludenti riunioni ministeriali sul tema dei rider i manager del gruppo hanno capito con chi avevano a che fare e hanno fatto la scelta più tranchant, hanno venduto le loro attività e se ne sono andati dall’Italia” anche se nessuno s’è strappato le vesti. Però “i problemi dei rider sono ancora irrisolti e forse tutti abbiamo sottovalutato quell’indizio”.
Per Di Vico, dunque, sembra proprio che Di Maio “voglia ‘foodorizzare’ il sistema delle imprese, indurlo a mollare e se straniero a non investire più in Italia. Il ministro forse pensa che in una società a bassa presenza industriale e senza multinazionali il suo Movimento potrebbe pescare più voti grazie all’elargizione a pioggia di un reddito di esistenza (…) ma il sentimento anti-industriale che lo agita è evidentemente più forte delle normali cautele che un uomo di governo dovrebbe osservare”. Perché “ora del gruppo Atlantia tutto si può dire tranne che sia ‘decotto’ e comunque non si è mai visto un ministro di un paese del G7 puntare a buttare giù il titolo di un’azienda nazionale”.
Di “troppo livore e parole in libertà” scrive anche Il Sole 24 Ore, che in un commento sollecita Di Maio a dire “agli italiani in modo chiaro come vuole evitare che la società decotta diventi Alitalia (per non parlare della ex Ilva). Dovrebbe dire tutta la verità sulle carte che vuole giocare (se ne ha in mano) per il salvataggio di Alitalia dopo mesi di rinvii e sbandamenti. Anche l’ipotesi fatta trapelare ieri di una seconda compagnia americana interessata aspetta conferme solide alla luce delle alleanze internazionali”.
Di “folle piano” scrive anche Il Giornale, che nelle parole di Di Maio intravvede “un Italia senza acciaio e i Benetton sul lastrico”.