La crisi di Arcelor Mittal vista da quello che, nei racconti dei suoi manager, appare un precipizio affacciato sulla fine. Nell'atto con cui la Procura di Milano 'entra' nella causa civile promossa dai commissari straordinari dell'ex Ilva, l'immagine più drammatica è di un dirigente della multinazionale, sentito come testimone nell'inchiesta che ipotizza i reati di distrazione dei beni, aggiotaggio e omissione dei redditi: "Nonostante la sospensione del piano di fermata, l'azienda non ha tutto quello che serve per proseguire l'attività in quanto l'approvvigionamento delle materie prime è stato cancellato. Il piano prevedeva di lasciare una scorta minima di materie prime solo per un altoforno per un mese".
Spiegano il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e i pm Stefano Civardi e Mauro Clerici che "lo stato di crisi di AcrelorMittal, essendovi pericolo di diminuzione delle garanzie patrimoniali per il risarcimento di eventuali danni, rende ancor più necessaria e urgente una pronuncia giudiziale che imponga ad ArcelorMittal di astenersi dalla fermata degli impianti e di adempiere fedelmente in buona fede alle obbligazioni assunte".
Per convincere il giudice civile Claudio Marangoni, chiamato a decidere sul ricorso urgente dei commissari, che l'acciaieria sia allo stremo a causa del 'disimpegno' dei franco-indiani, i magistrati riportano le dichiarazioni di alcuni manager sentiti negli ultimi giorni. Ne emergono anche spaccati di discussioni all'interno dell'azienda, che coinvolgono i vertici della società.
"Ci fu detto dal Ceo del gruppo, Gert Van Poelvoorde - svela un dirigente - che analoghe misure di ridimensionamento degli impianti produttivi, in termini soprattutto di 'fermata degli stabilimenti', erano state prese in altri Paesi, ad esempio in Polonia nello stabilimento di Cracovia". In un passaggio della deposizione, il teste spiega che "con riferimento al personale, nella riunione di giugno-luglio, i manager esteri chiesero espressamente di ricorrere allo strumento della cassa integrazione ordinaria per circa 1300 persone, perché si stava delineando già da qualche mese un'evoluzione del mercato non favorevole".
Ha evidenziato poi nella sua deposizione il direttore generale dell'ex Ilva, Claudio Sforza: "Gli elementi sullo stato di crisi dell'affittuaria in mio possesso derivano anche dalla conoscenza personale. Infatti in più riunioni tenute da settembre a oggi, sia il precedente ad Mathieu Jehl, sia il nuovo ad Lucia Morselli, hanno dichiarato che la società aveva esaurito la finanza dedicata all'operazione". Morselli, dal canto suo, non ha mai parlato dall'apertura dell'indagine e non è indagata. "Non esiste forse oggi una sfida industriale più grande e più complessa di quella dell'ex Ilva - disse il giorno del suo insediamento - Sono molto motivata dall'opportunità di guidare ArcelorMittal Italia e faro del mio meglio per garantire il futuro dell'azienda".
Un altro dirigente di Mittal rivela i turbamenti dei manager esteri: "Nella prima riunione di febbraio del 2019, sostenevano che per l'attuale 'marcia degli impianti' (vale a dire la produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio), la qualità delle materie prime fosse troppo alta e occorresse utilizzarne di qualità inferiore per abbatterne i costi. I manager stranieri furono molto critici sulla gestione, in quanto ritenevano che i costi industriali fissi (manodopera, manutenzione) e variabili (materie prime) fossero molto alti. Le critiche erano indirizzate soprattutto all'ad Jehl e alla direzione dello stabilimento di Taranto (retto da Van Campe), entrambi uomini Arcelor Mittal'".
Fonti di Arcelor Mittal consultate dall'AGI, invitano alla prudenza nella lettura del documento "perché i pm non hanno riportato le domande, ma solo alcune risposte dei manager che vanno contestualizzate".