Le competenze contano più dei “pezzi di carta”, cioè di lauree, master e di un curriculum di studio infinito. Lo scrive Quartz segnalando un’inversione di rotta nei processi di assunzione di grandi società d’oltreoceano come Apple, Ibm e Google.
Fermi, però, prima di stracciare la vostra laurea o annullare la preiscrizione all’università: “I titoli di studio accademici continueranno a essere presi in considerazione al momento di valutare un candidato, ma non saranno più un requisito fondamentale” per provare a entrare nell’orbita di aziende molto importanti, ha spiegato Maggie Stilwell, consulente di Ernst and Young che si occupa di scovare nuovi potenziali assunti, all’Huffington Post.
Niente più barriere all’ingresso
Aver frequentato un college, cioè i quattro anni di scuola previsti dall’ordinamento statunitense dopo l’high school, per molte società non è più un requisito indispensabile per candidarsi alle posizioni aperte. Può aiutare, certo, ma sempre di più i colossi americani assumono le nuove leve sulla base delle competenze. Se il profilo è in linea con quanto richiesto, a prescindere dai titoli di studio, il candidato potrà concorrere al posto di lavoro offerto. Ci saranno pari opportunità, per dirlo in altri termini, tra chi ha frequentato il college e chi ha invece scelto altre strade, magari quella di imparare un mestiere direttamente sul campo.
Negli Stati Uniti il numero di aziende che hanno scelto di togliere la barriera d’accesso ai percorsi di assunzione è in crescita. Secondo Glassdoor, sito che si occupa di recensire e classificare le società sulla base delle condizioni di lavoro che offrono, oltre alle già citate Apple, Google e Ibm ci sono colossi come l’alberghiero Hilton, Starbucks, la catena di grande distribuzione Nordstrom, o addirittura la Bank of America. Ad aver confermato questa inversione di tendenza, fino a oggi, sono state quindici società a stelle e strisce.
Soft skills, ma anche un mercato del lavoro in espansione
Già quattro anni fa i vertici di Google avevano bocciato pubblicamente i meccanismi più in voga per valutare i candidati. Laszlo Bock, ex vice presidente della divisione People operations di Mountain View – l’equivalente delle nostre Risorse umane – aveva spiegato al New York Times che il calcolo della Grade Point Average (una sorta di media ponderata all’americana, dove i giudizi sono espressi in lettere dalla A alla D) è un indicatore che “non è in grado di predire nulla”.
Una bocciatura netta: per questo motivo già allora, spiegava Bock, Google non si limitava ad analizzare il curriculum scolastico. Il suo processo di assunzione era più articolato: prendeva in considerazione le competenze tecniche e non solo. Grande importanza avevano anche quelle che potremmo definire soft: doti, cioè, come la capacità di apprendimento e di gestione di diverse informazioni contemporaneamente, la leadership o l’umiltà.
A dettare il cambio di rotta nel mercato del lavoro statunitense, però, incide probabilmente anche una situazione generalmente più favorevole: la disoccupazione è attorno al 3%, quella giovanile sotto il 10%. Un panorama lontanissimo da quello italiano, dove peraltro il numero di laureati è uno dei più bassi d’Europa.