Il settore tecnologico statunitense ha chiuso il 2018 in affanno. Ecco perché la stagione delle trimestrali che sta per aprirsi sarà particolarmente significativa. C'è chi dovrà provare a contenere i danni, chi dovrà offrire conferme e chi garanzie per il futuro.
Ecco quali saranno i dati più sensibili per Apple, Facebook, Microsoft, Amazon e Alphabet.
Apple, osservata speciale
Con la lettera del 2 gennaio, in cui Tim Cook annunciava i dati preliminari e una correzione al ribasso del fatturato, Apple ha già anticipato ai mercato che non sarà un buon trimestre. Gli incassi della stagione più ricca dell'anno erano previsti tra gli 89 e i 93 miliardi di dollari (già sotto le attese), ma saranno "approssimativamente di 84 miliardi". Gli investitori sono quindi già preparati. E, come annunciato dalla Mela, nel 2019 non sarà più diffuso il numero delle unità vendute: per avere indicazioni sull'iPhone si dovrà guardare il fatturato generato e fare qualche calcolo a spanne.
Non per questo la trimestrale, che sarà diffusa il 29 gennaio alle 23 ora italiana, sarà priva d'interesse: tutt'altro. Il dato più importante sarà probabilmente quello legato alle stime per il trimestre in corso: dirà quanto le difficoltà di Apple peseranno anche all'inizio del nuovo anno.
Il riferimento da prendere in considerazione è 61,1 miliardi di dollari, il fatturato registrato tra gennaio e marzo 2018. Andare sotto o rimanere lontani da questa cifra non sarebbe certo un bel segnale. Vista la stagionalità del mercato, dopo l'abbuffata di Natale il trimestre è tradizionalmente debole per gli smartphone, che pesano meno sul totale del fatturato (nel secondo trimestre fiscale 2018, poco più del 60% contro quasi il 70% del periodo precedente).
Sarà quindi una sorta di test per capire quanto i servizi (che non hanno stagionalità) possano ammortizzare il bilancio in uno scenario nel quale gli iPhone continuino a soffrire. La performance dei servizi sarà l'altro dato da cerchiare in rosso. Essendo, al momento, l'unico strumento per dare equilibrio al bilancio, non dovranno solo crescere (come pare scontato): dovranno dimostrare di non rallentare. Conteranno quindi le vendite, ma anche il ritmo con cui progrediscono, che non dovrà essere inferiore ai periodi precedenti.
Tra luglio e settembre, i servizi sono cresciuti del 17% anno su anno e del 5% rispetto al trimestre precedente. Per offrire un segnale positivo, dovranno fare meglio in entrambi i dati. Sì, in entrambi. Perché, non essendo soggetti a picchi stagionali, anche il confronto nel brevissimo periodo ha un peso.
Facebook, utenti e margini
Il 30 gennaio, alle 23 ora italiana, sarà il turno di Facebook. Zuckerberg non ha lanciato allarme sui profitti, ma viene da una trimestrale sanguinosa (quella diffusa a luglio) e da una grigia, con fatturato cresciuto ma in frenata, utile oltre le attese ma pochi nuovi utenti. Il Ceo sembra però aver convinto gli investitori ad abbassare le loro attese (sempre molto elevate) su ritmi di crescita (saranno più vicini al 20 che al 40%) e i margini (che anche nel 2019 saranno più sottili rispetto al passato).
La pressione su Facebook non è però certo finita. I dati più importanti riguarderanno fatturato, costi e utenti. Il primo dovrebbe obbedire alle prospettive del gruppo, che stima un incremento tra il 24 e il 28%. A proposito del secondo, Zuckerberg ha già detto più volte che il 2019 sarà un anno di salati investimenti, soprattutto per tenere a bada le derive del social network. Vedremo se saranno giudicati eccessivi.
Infine gli utenti: Facebook dovrà dimostrare di riuscire ad attirare nuovi iscritti, in tutto il mondo. Ma non solo: nelle ultime due trimestrali ha attratto grande attenzione la nuova metrica aggregata che indica quanti utenti utilizzano le app del gruppo (cioé, oltre a Facebook, WhatsApp, Instagram e Messenger): 2,6 miliardi di persone. Viste le recenti notizia che vogliono una maggiore integrazione tra le piattaforme, è un dato che guadagnera' sempre maggiore importanza. Già da questo trimestre.
Microsoft, la conferma del cloud
Il 30 gennaio alle 23.30 tocca a chi ha fatto meglio i compiti nella scorsa trimestrale: Microsoft. Utili e fatturato erano stati oltre le attese: 8,8 miliardi di risultato netto e 29,08 miliardi di giro d'affari. Tanto che il titolo ha retto meglio di altri alla buriana di fine anno. Si attendono conferme dal cloud, il settore che ha consentito a Microsoft di trasformarsi in una società di servizi: +47% anno su anno tra luglio e settembre, ben oltre il +19% dell'intero gruppo.
Al contrario dei servizi Apple, che sono una promessa (anche se già in parte mantenuta), nel caso del cloud non si parla solo di ritmo di crescita, ma anche di peso consistente sul bilancio: quasi un terzo del fatturato arriva dalla nuvola. Atteso alla conferma è anche LinkedIn, il social controllato da Microsoft. Lo scorso trimestre, ha incassato il 33% in più dell'anno precedente.
La frenata di Amazon
Il 31 gennaio, ore 23.30 italiane, davanti ai mercati si presenterà Jeff Bezos. Amazon viene da un trimestre record, eppure poco soddisfacente. Gli utili tra luglio e settembre hanno sfiorato i 3 miliardi di dollari. Il fatturato è arrivato a 56,6 miliardi, ma ha deluso le attese per il secondo periodo consecutivo. Così come meno brillanti del previsto sono state le stime di ottobre-dicembre: vendite tra i 66,5 e i 72,5 miliardi. Se i dati saranno confermati, si tratterebbe di un progresso anno su anno tra il 10 e il 20%.
Amazon sta quindi rallentando: il fatturato è cresciuto del 39% nel secondo trimestre e del 29% nel terzo. E' questo, quindi, il primo numero su cui puntare gli occhi: più Bezos si avvicinerà alla soglia massima stimata (72,5 miliardi) e migliore sarà l'accoglienza. Specie se gli investitori potranno barattare un rallentamento del fatturato con un forte miglioramento del risultato operativo. In quest'ottica, sono attese conferme da Amazon Web Services. I servizi in cloud di Amazon crescono e, soprattutto, sono più redditizi rispetto all'e-commerce. La loro corsa, quindi, potrebbe essere l'altro ammortizzatore nel caso in cui il fatturato non dovesse brillare.
Alphabet, ossia Google
Alla diffusione della scorsa trimestrale, anche Alphabet, la holding che controlla Google, era stata punita. Eppure il fatturato era cresciuto del 22%, a 33,7 miliardi, ed era sostanzialmente in linea con le stime degli analisti (34 miliardi).
Brillanti erano stati anche gli utili (+37%). L'impressione è che Alphabet si sia trovata in mezzo alla tempesta perfetta: in quei giorni, oltre al forte ribasso dei titoli tecnologici, il gruppo era al centro delle discussioni sulla privacy e sulla manomissione dei risultati delle ricerche. La trimestrale che sarà diffusa il 4 febbraio dirà se i mercati hanno penalizzato il titolo anche oltre i suoi demeriti.
Alphabet dovrà dimostrare di saper crescere, provando a migliorare quel +22% che, pur positivo, segnava un lievissimo rallentamento rispetto al +23% del trimestre precedente. Al momento le stime di Wall Street indicano un fatturato di 39,15 miliardi, che vorrebbe dire un incremento poco oltre il 21% anno su anno. Fare meglio delle attese vorrebbe dire tornare ad accelerare. Fare peggio significherebbe ridurre l'andatura (pur sostenuta) per il secondo periodo consecutivo, instillando qualche goccia di pessimismo.
Guardando alle singole voci di bilancio, Google rappresenta ancora la stragrande maggioranza degli incassi. Sono però da guardare anche gli altri business (hardware, cloud e Android). Non solo perché una maggiore diversificazione rappresenterebbe per Alphabet un ombrello in caso di maggiore regolamentazione sulla pubblicità online. Ma anche perché gli "altri prodotti" crescono piu' del gruppo nel complesso (+29%) e - di conseguenza - pesano sempre di più sul bilancio (13,8% contro 12,9% del trimestre precedente). Sapranno confermarsi?