Oltre alla lotta contro i cosiddetti "tax rulings", ovvero gli accordi fiscali che alcuni paesi, come Irlanda e Lussemburgo, hanno concesso alle multinazionali del web per attirarne l'attività sul proprio territorio, ci sono altri due settori in cui si ingaggia il confronto fra l'Unione europea e i giganti del web. L'antitrust europeo, guidato dal commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager, ha già cominciato a combattere contro la "posizione dominante" di Google nel settore dei motori di ricerca, mentre il terzo "campo di battaglia" è quello della "web tax". Si tratta del tentativo, avviato da tempo ma su cui si è recentemente accelerato il dibattito, di mettere a punto un'imposta comune sulle attività che le multinazionali di internet (Amazon, Apple, Google) realizzano in Europa pur non essendo fisicamente presenti in uno o nell'altro paese.
Gli accordi fiscali illegali
L'Antitrust comunitaria ha intimato al Lussemburgo di farsi restituire circa 250 milioni di "benefici fiscali illegali" da Amazon, che ha beneficiato di un trattamento fiscale favorevole che ha distorto la concorrenza con le altre società del settore. La richiesta mira a riportare la situazione alla normalità e non sono previste sanzioni per l'azienda o il Paese, ma semplicemente la restituzione di quanto illegalmente sottratto al fisco.
La Commissione ha inoltre deferito l'Irlanda alla Corte europea di giustizia per non aver provveduto a farsi restituire da Apple i 13 miliardi di "mancato gettito" che oltre un anno fa l'esecutivo di Bruxelles aveva bollato come "aiuti di stato illegali". Anche in questo caso, non è previsto ci siano multe ma semplicemente il ripristino di una situazione equa in termini di concorrenza.
La posizione dominante sui mercati
Il 27 giugno scorso, la Commissione ha inflitto a Google la multa record di 2,42 miliardi per abuso di posizione dominante sul mercato dei motori di ricerca, per avere favorito illegalmente il suo servizio di confronto fra i prezzi. L'effetto, secondo l'antitrust europeo, è quello di penalizzare la concorrenza in tale specifico segmento. Google, si diceva nella decisione, supera il 90% del mercato dei motori di ricerca nella maggior parte dei 31 paesi dello Spazio economico europeo almeno dal 2008.
Non era il primo provvedimento Ue nei confronti di Mountain View. Il 20 aprile del 2016, era stata avviata una procedura per abuso di posizione dominante nel sistema di utilizzo delle applicazioni per i telefoni Android: in quel caso, Google era accusata di imporre restrizioni ai produttori di smartphone e agli operatori delle reti mobili.
La web tax
L'Unione europea ha recentemente accelerato le discussioni per arrivare a imporre ai giganti del web un'equa imposizione fiscale, che permetterebbe, per dirla con le parole del presidente francese Emmanuel Macron, di avere le risorse finanziarie per affrontare la rivoluzione digitale in corso. Entro la fine della presidenza estone del Consiglio Ue i 28 dovrebbero riuscire a raggiungere una posizione comune sulla "web tax", mentre la Commissione europea si è già impegnata a presentare una proposta legislativa entro la prossima primavera.
Nazioni come la Francia, l'Italia, la Spagna e la Germania hanno proposto una soluzione "a breve termine" che prevede di considerare il fatturato e non i profitti delle multinazionali di internet come base imponibile. All'idea hanno dato il loro appoggio una ventina di paesi in tutto, ma alcuni, fra i quali naturalmente ci sono Irlanda e Lussemburgo, sono contrari. C'è poi l'idea di Bruxelles di procedere anche per i signori della Silicon Valley come per le altri multinazionali alla creazione di una "base imponibile unica", o Ccctb secondo l'acronimo inglese, ma questa potrebbe essere una soluzione a più lungo termine, mentre tutti concordano sulla necessità di agire con urgenza, e possibilmente a livello globale con Ocse e G20.