La ruspa, di questi tempi, va di moda. Ci è salito anche Jeff Bezos per dare il via ai lavori del suo aeroporto: un investimento da 1,5 miliardi di dollari che dovrebbe concentrare nelle mani di Amazon la filiera delle consegne e accelerare quelle di Prime.
Il cambiamento di Amazon (e di Bezos)
L'appuntamento battezza un progetto che conferma la mutazione genetica di Amazon, da intermediario ad autarchico. Mutazione nella mutazione, c'è quella di Bezos. L'uomo più ricco del mondo ha esteticamente cancellato il fondatore. Quel prototipo del nerd, diventato famoso anche per la sua risata sguaiata, ha fatto palestra e non indossa più giacche di una taglia più grande. Si è presentato in Kentucky con camicia, occhiali da sole, maniche arrotolate fino al gomito: “Andiamo a muovere un po' di terra”, ha detto prima di saltellare con slancio atletico verso la ruspa. “E se pensate sia stato divertente guidarla – ha scritto su Twitter – avete ragione”. Un nuovo Bezos per una nuova Amazon, che vuole essere più indipendente e più capillare per rafforzare il suo nucleo originario: l'e-commerce.
A cosa serve un aeroporto
L'hub dovrebbe essere operativo nel 2021, far decollare una cinquantina di aerei (con 200 voli al giorno) e dare lavoro a circa 2000 persone. Il progetto dell'aeroporto è nato formalmente nel 2017, quando Amazon ha firmato un contratto che per 50 anni assicura la gestione di 3 milioni di metri quadrati (300 ettari) di proprietà dell'aeroporto internazionale di Cincinnati.
Il gruppo ha già una propria compagnia aerea cargo (Amazon Air), che adesso accelera nella direzione già intrapresa: affrancarsi da più intermediari possibile e avere una distribuzione fatta in casa. Avere una flotta non basta: adesso serve ampliarla e farla viaggiare su proprie infrastrutture. Prime Air fa infatti saltare un anello nella catena, riducendo il coinvolgimento dei grandi corrieri come UPS e FedEx.
La strategia: dal primo all'ultimo miglio
È in questa logica che vanno osservate iniziative in apparenza lontane da un aeroporto. Consegne con i droni e con i robot via terra (iniziate con Scout a gennaio), ma anche nuovi centri di distribuzione e accordi con negozi fisici (in Italia appena siglati quelli con Sisalpay, Fermopoint e le librerie Giunti) sono tutte soluzioni per coprire il percorso dei pacchi dal primo all'ultimo miglio e arrivare ovunque, abbattere i costi di consegna e ampliare i margini dell'e-commerce.
Lo sono anche i negozi fisici su cui Bezos sta puntando, dai supermercati senza casse Go a WholeFoods: potranno anche essere propri punti di partenza e ritiro delle spedizioni. “L'aeroporto – ha affermato Bezos - ci consentirà di consegnare spedizioni ai clienti più rapidamente”. Il ceo ha ribadito quanto promesso ad aprile durante la pubblicazione della trimestrale: i pacchi di Prime (il servizio su abbonamento del gruppo) arriveranno entro 24 ore (cioè la metà dei tempi attuali). E l'hub, ha detto Bezos, “è una parte importante” di questo obiettivo.
Il ritorno all'origine
Il perché Amazon stia puntando così tanto sulla rete logistica è nei numeri. Il gruppo ha chiuso il primo trimestre 2019 con un fatturato di 59,7 miliardi, il 17% in più rispetto allo stesso periodo del 2018. Il ritmo è in calo, soprattutto perché tutto quello che non è cloud (prodotti ma soprattutto e-commerce) è cresciuto “solo” del 14%, contro il 41% di Aws. I servizi in cloud sono il 13% del fatturato, ma la metà dei profitti operativi.
Sono quindi più redditizi. L'altra metà arriva solo dagli affari negli Stati Uniti. Tradotto: tra prodotti e e-commerce, fuori dagli Usa Amazon ancora non guadagna e cresce meno (+9%). Il gruppo non sta certo annaspando (ed è quindi al lungo termine che guarda), ma Bezos deve consolidarsi proprio nel settore che lo ha fatto ricco: le vendite online.