Lo scorso anno il mercato del lavoro globale ha registrato un passo in avanti e uno indietro in tema di disuguaglianze di genere. La percentuale di imprese con almeno una donna dirigente è passata dal 66% al 75%.
Allo stesso tempo, però, il numero di donne nei ruoli senior è sceso dal 25 al 24%. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto stilato da Grant Thornton “Women in business: beyond policy to progress” che osserva come il mondo del lavoro si limiti a riempire una “scatola delle diversità” per evitare un ambiente a conduzione di soli uomini, ma senza creare una cultura inclusiva sana.
“Se da una parte è estremamente positivo vedere sempre più imprese guidate da donne, dall’altra delude il fatto che queste siano così poche. Significa che la maggior parte delle imprese non sanno mettere a frutto la diversità”, si legge nel rapporto. “Avere una sola donna in una posizione forte, non è molto utile. Lo è se ci sono donne e uomini, questo è quello che si dice un ambiente sano”.
I numeri della disuguaglianza
Numeri alla mano, l’Africa è passata dall’82% all’89% per quanto riguarda le imprese con almeno una donna in ruoli dirigenziali. L’Unione europea è passata dal 64% al 73%, l’America Latina da 52% al 65% e gli Stati Uniti dal 69% all’81%. Restano basse le percentuali di ruoli chiave con a capo le donne: in Europa dell’Est oggi sono il 36% e la regione vanta la quota più alta. In Africa e in America Latina sono ferme al 30%, l’Ue al 27% e l’America del Nord al 21%. Per quanto riguarda l’Europa, il rapporto segnala che il Regno Unito registra le performance migliori, seguito subito a ruota dalla Francia.
Nelle economie emergenti il minor divario
“Il panorama sta cambiando e non avere nessuna donna in ruoli dirigenti inizia a sembrare strano”, commenta Francesca Lagerberg, della Grant Thornton International Ltd. “Il mondo del business si ritroverà alla fine a imbarazzarsi se non riuscirà a migliorare la disparità di genere”. Negli ultimi anni i migliori risultati sono stati raggiunti nelle economie emergenti con Africa ed Europa dell’Est in testa. Fa bene anche l’America latina. Questo perché le nuove economie si muovono in modo dinamico, hanno un atteggiamento positivo nei confronti del cambiamento e anche gli affari si modellano sull’innovazione e creatività. Al contrario, nei Paesi sviluppati le dinamiche avvengono secondo un paradigma ben consolidato e ‘vecchio’.
Servono davvero politiche di sostegno?
Cosa si dovrebbe fare per invertire questa tendenza? Grant Thornton ha preso in esame le politiche sul tema di varie aree del mondo e ha scoperto che quelle che hanno ottime normative sulla parità di stipendio, orari flessibili, congedi parentali ecc. non sono necessariamente quelle in cui l’ambiente di lavoro vanta una buona armonizzazione della diversità di genere. Sono molti i leader di aziende che chiedono ai governi delle politiche ad hoc per migliorare il lavoro delle donne sul piano della lotta gli stereotipi. Ma anche in quei Paesi in cui governi e imprese collaborano non è detto che queste politiche funzionino. O almeno non portano a quel cambiamento su larga scala che ci si aspetta da loro. Perché? Perché è fondamentale credere nei vantaggi di cui tutti beneficiano in un ambiente misto. Questo non vuol dire che le politiche non servono, anzi, ma che da sole possono non essere sufficienti.
Tre ostacoli
Ma quali sono i principali ostacoli? Innanzitutto “il livello di complessità nella traduzione delle buone intenzioni nella messa in pratica”. Poi gli “stereotipi nei confronti delle donne”. E infine la “mancanza di prove sull’efficacia della messa a punto di tali politiche all’interno del contesto lavorativo”. “E’ terribile il fatto che stiamo ancora parlando di differenze di genere. Lo stereotipo secondo cui gli uomini vanno a lavoro e le donne restano a casa con i figli è una barriera enorme al progresso”, ha commentato Vibeke Hammer Madsen, direttore esecutivo di Virke. “C’è un collegamento tra quello che la società pensa della famiglia e la possibilità per una donna di fare carriera”.
Cosa funziona
Analizzando le politiche a sostegno della parità di genere sul lavoro messe in atto nel mondo viene fuori che le più comuni riguardano l’uguaglianza di stipendio per uno stesso ruolo (81%), seguite dal congedo parentale retribuito (59%), un orario flessibile (57%), dal part-time (54%) e dal lavoro agile (40%).
Le meno comuni invece riguardano le quote (15), bonus extra legati ai progressi nel campo della uguaglianza di genere (17%), i sussidi all’infanzia e la pubblicazione di dati sulla diversità di genere (entrambe le politiche al 20% circa). Molte delle aziende intervistate sostengono che “essendo la famiglia un elemento fondamentale nella vita delle persone, è importante adottare soluzioni che sostengano i lavoratori in questa direzione”, ha spiegato Claire Paisley, consulente finanziario alla Baringa Partners. Ma non basta solo prevedere queste strategie: “Le politiche vanno comunicate e incoraggiate perché le persone non le useranno automaticamente”.
Fondamentale è, infatti, l’ambiente in cui queste vengono calate. Secondo Jennifer Thorpe-Moscon, direttore di ricerca alla Catalyst: “E’ difficile che le politiche funzionino se non c’è una cultura aziendale pronta ad abbracciarle. E’ anche vero però che queste regole possono cambiare la cultura”. Le fa eco Francesca Lagerberg della Grant Thornton: “si possono fissare parametri e indicare direzioni ma se non cambi ia il modo di pensare è tutto inutile. Il modo in cui i leader considerano e affrontano il tema della disparità di genere è molto più importante delle politiche in sé”.
Perché combattere la disparità di genere
Al di là dell’etica e dei diritti, sponsorizzare l’uguaglianza tra uomini e donne conviene ai datori di lavoro. Tra le motivazioni più comuni fornite dagli intervistati c’è la volontà “di attrarre e fidelizzare i lavoratori” (65%), seguita da quella di “aderire ai valori aziendali” e di “migliorare le performance”.
10 consigli per i leader d’azienda
1 Perorate la causa
2 Fate della diversità e dell’inclusione un valore
3 Fissate gli obiettivi
4 Collegate il progresso alla paga
5 Evitate le concessioni simboliche
6 Non promuovete solo la stessa tipologia di persone
7 Introducete la sponsorizzazione
8 Studiate dei benefit che aiutino a raggiungere gli obiettivi
9 Gestite le difficoltà con apertura e onestà
10 Condividete la vostra storia
Cosa succede in Italia
L'Italia si conferma tra le prime 10 nazioni al mondo per presenza femminile negli organi decisionali, al di sopra della media europea. Lo ha dichiarato all'Agi Maurizio Finicelli presidente di Ria Grant Thornton.
In generale, “l'edizione 2018 del report mondiale rivela che le imprese che hanno almeno una donna in ruoli di senior leadership sono aumentate rispetto all’anno precedente passando dal 66% al 75% su scala mondiale, mentre la proporzione fra componenti maschili e femminili nei vertici aziendali permane intorno al 24%. Africa, Europa dell’Est e alcuni stati asiatici guidano la classifica delle aree più virtuose”.
Tra le iniziative lanciate in questi giorni sulla valorizzazione della donna in azienda, Ria Grant Thornton è partner tecnico di Winning Women Institute “per la valutazione e assegnazione del bollino rosa alle aziende con le politiche più virtuose e le azioni implementate per valorizzare il contributo femminile al successo delle organizzazioni e imprese nei mercati, nella società civile e in ambito lavorativo”. Quanto alla stessa RGT, spiega Finicelli, “in Italia il Gruppo conta oltre 300 professionisti presenti in 18 uffici, tra questi il 52% sono donne, con posizioni manageriali e con vari livelli responsabilità su progetti attività e settori strategici”.