Meno Trump e più Europa, meno conflitti e più mani tese. Da Strasburgo a Zurigo passando per Berlino, in questi giorni Huawei ha mandato un messaggio chiaro agli Stati Ue: abbiamo bisogno l'uno degli altri. Collaboriamo (in barba a Washington).
Europa, la terra di mezzo
Il tiro alla fune con la Casa Bianca continua, ma è un frammento di un più ampio conflitto tecnologico con Pechino. Il fronte americano si è rotto (con Microsoft che si è schierato con Huawei), ma il quadro è ancora liquido. Se il mercato statunitense è precluso a 5G e smartphone, la leadership in Cina non si discute. In mezzo c'è l'Europa. Trump, nonostante i suoi sforzi, non è riuscito a portare dalla propria parte gli alleati atlantici, anche perché Huawei è già incastonato in diversi Paesi e sarebbe complicato minarlo: secondo gli ultimi dati rivelati da Shenzhen, ci sono 3.700 società europee nella catena di fornitura globale del gruppo ed è europea circa la metà degli oltre 60 contratti commerciali 5G chiusi fino a ora. Da queste parti, il gruppo cinese c'è sia nel mercato dei dispositivi che in quello delle infrastrutture di rete. E al momento di bandi non c'è traccia. Ecco perché il gruppo sta portando avanti una politica di distensione con l'Europa sempre più chiara e piena.
Huawei: no a due sistemi paralleli
Il 16 ottobre, Abraham Liu, portavoce di Huawei nell'Unione Europea, è stato tra i protagonisti di un dibattito pubblico al Parlamento Ue proprio per parlare di 5G e sicurezza. Primo messaggio: Huawei è qui per restarci. La compagnia, ha affermato Liu, “è un partner di fiducia dell'Europa da vent'anni”. E nei prossimi cinque anni sono in arrivo 90 miliardi di euro in ricerca e sviluppo. Il dato (“Più di quanto investa la Nasa”, ha sottolineato Liu) è globale, ma è chiaro che una bella fetta arriverebbe in Europa.
Secondo messaggio: dialoghiamo. Il portavoce del gruppo cinese ha ammesso che “le nuove tecnologie portano novità e cambiamenti che possono essere accompagnati da incertezze. Lavoriamo insieme per rimuoverle”. L'intento di Huawei è “raggiungere gli obiettivi senza arrecare danno a nessuno e senza creare due sistemi paralleli”. No quindi a due blocchi tecnologici, uno orientale e l'altro occidentale. “La bicicletta funziona solo con due ruote – ha affermato Liu – e un monociclo non ha mai vinto il Tour de France”.
Più Gdpr per tutti
Sul piatto Huawei mette la propria forza tecnologica. Come a dire: l'Europa serve a noi e noi serviamo all'Europa. Sulle norme, invece – almeno a parole – non c'è negoziato: , ha affermato Liu. “L'Europa è un luogo aperto, dove lo stato di di diritto è motore di innovazione”.
E “il Gdpr è un'iniziativa eccellente”. Il regolamento europeo sulla protezione dei dati era stato lodato, qualche ora prima, da Chaobin Yang, presidente 5G di Huawei, durante il Global Mobile Broadband Forum di Zurigo: “Il Gdpr è una buona pratica, perché introduce uno standard unico sulla privacy. Ed è importante che ci sia un sistema condiviso nell'ecosistema” globale. Poche parole che sintetizzano la stessa idea portata da Huawei a Strasburgo: per non perdere il blocco occidentale, si deve passare dalle norme. Per questo Chaobin Yang si è detto favorevole all'ampliamento del modello Gdpr “in aree differenti”: “Sarebbe importante per la privacy e la sicurezza. È quello di cui si ha bisogno”.
L'appello ai regolatori
Dall'evento svizzero è arrivato anche l'appello di Ken Hu. Il deputy chairman di Huawei ha invocato “un costo ridotto delle spettro” e “il supporto dei regolatori”. Visto che “il 5G è un'infrastruttura critica” per il futuro, le frequenze necessarie al suo funzionamento “non dovrebbe essere così costose”.
L'appello non può essere accolto dall'Italia, tra i pochi Paesi ad aver già completato le aste. Ne ha ricavato 6,5 miliardi di euro: un bell'incasso per lo Stato, che potrebbe però essere un peso per gli operatori. “I governi dovrebbero aiutare di più”, ha continuato Hu, Anche a fronte di un incasso immediato inferiore, una gestione più efficiente dello spettro sarebbe una scelta “win win”.
Cioè conveniente per chi sviluppa il 5G ma anche per gli Stati, che beneficerebbero della spinta delle nuove tecnologie. Il deputy chairman di Huawei ha anche sottolineato la necessità di un maggiore “supporto regolatorio”. Come fatto ad esempio dalla Gran Bretagna (che ha allentato alcune restrizioni, consentendo ad esempio l'installazioni di antenne ad altezze maggiori) e dalla Germania (che ha redatto linee guida sulle infrastrutture).
Modello tedesco e destino comune
La citazione della Germania non è casuale. Oltre a Strasburgo e Zurigo, il “tour” europeo di Huawei ha lambito anche Berlino. Il Bundesnetzagentur (l’ente tedesco che si occupa, tra le altre cose, di sicurezza nazionale) ha pubblicato il Catalogo dei requisiti sulla sicurezza nazionale per gli operatori delle telecomunicazioni.
Huawei non viene citato, ma – ha sottolineato Reuters – le norme sono strutturate in modo da non escludere il gruppo cinese dalla lista dei fornitori. Se la permanenza di Shenzhen in molti Paesi Ue è stata determinata da una sorta di silenzio-assenso normativo (senza un bando esplicito, resta perché c'era già), il quadro tedesco è uno dei primi – chiari – “sì” a Huawei. Non a caso la compagnia cinese ha diffuso una nota per esprimere tutto il suo apprezzamento: il catalogo tedesco è “un passo determinante e un modello di riferimento”. “L’auspicio – continua Huawei - è che anche in Italia sia adottato un approccio simile e chiaro come in Germania, in modo da garantire agli operatori regole certe”.
Come al solito, ogni commento è accompagnato dalla consueto avvertimento: senza norme definite si rischia di “rallentare il processo di trasformazione digitale e le grandi opportunità offerte dal 5G”. Ancora una volta: l'Europa serve a noi e noi serviamo all'Europa.