L'attrattività degli investimenti è “una questione di scala”. La chiave, afferma Marco Salvadori, head of innovation di Fastweb, “è l'internazionalizzazione. Ma non s'inventa dall'oggi al domani”. Si parte dalla formazione (anche promossa dalle aziende). Perché le competenze digitali non sono un'opportunità solo per chi ce le ha, ma anche per le imprese. “Se gli utenti sono preparati, possono anche comprendere meglio il valore delle soluzioni che proponiamo”. Capirle, acquistarle e utilizzarle.
Partiamo dal tema dell'Italian Investment Showcase: perché l'innovazione italiana non riesce ancora ad attrarre investimenti?
Il perché è semplice. Gli investitori hanno bisogno di avere un ritorno. L'Italia è un mercato piccolo per avere una exit. La chiave per superare questo gap è l'internazionalizzazione, ma non s'inventa dall'oggi al domani. Le startup italiane non sono meglio o peggio di quelle francesi, tedesche o americane. Ma faccio un esempio: in Francia c'è un'organizzazione che si chiama 'La French Tech' che fa da volano.
È fattibile anche in Italia?
Me lo auguro. Anche perché se non si supera il confine nazionale non ci saranno mai le exit e il ritorno resterà comunque basso. Questo è il tema: è una questione di scala.
Dal forum è partito anche un appello ai grandi gruppi, che dovrebbero avere un ruolo più centrale nel sostegno alle startup...
Sono arrivato in Fastweb due anni e mezzo fa e abbiamo iniziato un percorso di open innovation, anche se a me non piace abusare di termini di moda. Quello che stiamo facendo è un lavoro con società piccole che ci offrono soluzioni più agili. Non hanno la capacità di implementazione dei grandi nomi, ma siamo molto contenti. Non è facile farlo, perché le società sono plasmate su una norma che non è esattamente il modo di lavorare delle startup.
Un altro tema emerso durante le conferenze: la ricerca italiana per troppo tempo è stata fine a se stessa...
È verissimo. Però è anche vero che le grandi società hi-tech sono nate da programmi di ricerca pura. Ultimamente, anche l'Italia si sta muovendo verso una ricerca applicata. Le collaborazioni con le aziende non sono ancora la norma, ma si sta facendo strada il tema della valorizzare della ricerca. Se le università avranno un ritorno (che non deve essere necessariamente profitto ma anche solo reinvestimento), allora questo ciclo potrà funzionare davvero.
Anche perché si parte sempre da lì: dalla formazione...
La formazione è fondamentale. È necessario partire a livello scolastico, con certi tipi di insegnamenti e con strumenti digitali. Che non significa formare solo programmatori ma riscoprire insegnamenti come logica e problem solving. Se non si inizia presto, si arriverà sempre tardi.
Fastweb ha varato una sua Digital Academy: cos'è?
È una unità organizzativa che punta a creare opportunità lavorative tramite la formazione sulle nuove professioni digitali. L'Italia ha un ritardo di competenze. E anche le imprese possono educare il mercato, dando gli strumenti per essere più preparati.
Ma perché deve farlo un'impresa?
Se mancano le competenze digitali, è difficile far capire, utilizzare e acquistare le nostre offerte evolute su connettività, cloud, servizi, software. Se gli utenti sono preparati, possono anche comprendere meglio il valore delle soluzioni che vanno oltre la velocità della linea.
Se le imprese fanno formazione sul digitale, non pensa sia una sconfitta per l'istruzione tradizionale?
Noi non vogliamo sostituirci all'istruzione tradizionale: non abbiamo le dimensioni né il mandato per farlo. Siamo un'azienda e dobbiamo avere una sostenibilità economica. Però possiamo dare degli esempi che ci auguriamo possano essere replicati e migliorati da altri. Per noi è un beneficio se le competenze digitali si diffondono. Aziende ed education hanno entrambi l'interesse a diventare motori di crescita. Adesso ci sono i prerequisiti per una collaborazione sistematica? No, ma ci stiamo avvicinando.