"Le politiche protezionistiche preannunciate dal neo presidente Usa Donald Trump costituiscono un forte rischio al ribasso per le prospettive del commercio globale". E' l'allarme lanciato dal Centro studi Confindustria, secondo cui comunque "la tendenza al protezionismo non è una novità, visto che costituisce una delle cause principali del rallentamento degli scambi mondiali". Ecco i pericoli:
- abbandono o la riformulazione dei grandi trattati commerciali (Ttp, Ttip e Nafta)
- l'introduzione di tassazione all'importazione di merci
- rischio ritorsioni da parte di altri paesi
- barriere tariffarie e svalutazioni competitive
- un effetto domino per l'intera economia globale
Dal 2008 al 2016, rileva una nota del Csc, i paesi del G20 hanno implementato più di 4 mila nuove misure protezionistiche. Secondo il rapporto Global Trade Alert, il ricorso a nuove misure è aumentato di più del 50% negli ultimi due anni, registrando i livelli massimi dall'inizio della rilevazione nel 2009. I paesi membri del G-20 sono responsabili di circa l'80% di queste restrizioni. Non stupisce quindi, afferma Confindustria, che negli ultimi cinque anni la crescita del commercio mondiale abbia fortemente decelerato e l'intensità degli scambi globali (definita come il rapporto tra scambi e Pil) abbia smesso di crescere, bloccandosi sotto il 25%.
La frenata del commercio, prosegue lo studio, oltre all'ondata neo-protezionista, è dovuta a fattori strutturali, persistenti e connessi tra loro, come la normalizzazione della crescita cinese e degli altri emergenti, lo stop all'espansione delle catene globali del valore, il calo degli investimenti nei paesi avanzati (che ora danno segnali di recupero); ai quali si è aggiunta la forte caduta dei prezzi delle commodity (in risalita). è inoltre stata accompagnata, nei paesi avanzati, da un crescente sentimento anti-globalizzazione, frutto della polarizzazione del tessuto economico e sociale.
All'origine di quest'ultima ci sono la globalizzazione stessa e, soprattutto, i cambiamenti tecnologici. "Forze che", osserva il Csc, "hanno creato vincitori e vinti sia tra i lavoratori sia tra le imprese. Dazi e altre barriere commerciali, però, non sono la soluzione, anzi aggravano il problema: lo insegna la storia della Grande Depressione negli anni '30. Occorre, invece, creare le condizioni per una crescita solida, inclusiva e sostenibile. Irrobustendo, su scala nazionale, gli strumenti di supporto per le classi medio-basse e le misure a favore dell'innovazione; riattivando, a livello globale, il circolo virtuoso tra commercio estero e Pil; rafforzando, nei paesi con minori vincoli di bilancio, la spesa pubblica in investimenti e infrastrutture. E riscoprendo il ruolo centrale del settore manifatturiero, propulsore degli scambi con l'estero e dell'innovazione e attivatore di posti di lavoro qualificati e ben remunerati".