Roma - Quasi la metà dei residenti nel Sud e nelle Isole (46,4%) è a rischio di povertà o esclusione sociale, contro il 24% del Centro e il 17,4% del Nord. E' quanto emerge dal rapporto su condizioni di vita e reddito dell'Istat. I livelli sono superiori alla media nazionale in tutte le regioni del Mezzogiorno, con valori più elevati in Sicilia, Puglia e Campania, mentre i valori più contenuti si riscontrano nella provincia autonoma di Bolzano , in Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna. La Sicilia è anche la regione con la massima diffusione di bassa intensità lavorativa, seguita da Campania e Sardegna.
A rischio un italiano su tre
Calcolato su tutto il territorio italiano il dato si attesta al 28,7%. La quota è sostanzialmente stabile rispetto al 2014 (era al 28,3%) a sintesi di un aumento degli individui a rischio di povertà (dal 19,4% a 19,9%) e del calo di quelli che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (da 12,1% a 11,7%); resta invece invariata la stima di chi vive in famiglie gravemente deprivate (11,5%).
Famiglie con tre figli più esposte a povertà
A fronte di una sostanziale stabilità della quota di popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale, si rilevano segnali di peggioramento tra chi vive in famiglie con almeno cinque componenti (la stima passa dal 40,2% al 43,7%) e, in particolare, tra chi vive in coppia con almeno tre figli (da 39,4% a 48,3%, pari a circa 2.200.000 individui). Tale peggioramento è associato ad un incremento sia del rischio di povertà (+7,1%) sia della grave deprivazione materiale (+3%). Per gli stessi individui si osserva, invece, un miglioramento per la bassa intensità lavorativa (che passa dal 14,6% al 12,4% tra gli individui delle famiglie numerose e dal 14,1% all'11,4% tra le coppie con almeno tre figli).Il peggioramento del rischio di povertà o esclusione sociale interessa soprattutto i residenti del Centro (da 22,1% a 24%) per i quali cresce la deprivazione materiale e, in misura minore, le persone che risiedono al Sud e nelle Isole (dal 45,6% al 46,4%), dove tale rischio rimane in generale più diffuso e prossimo a coinvolgere il 50% delle persone residenti. Si aggrava il rischio di povertà o esclusione sociale anche per coloro che vivono prevalentemente di reddito da lavoro, in concomitanza all'incremento della bassa intensità lavorativa (+0,6% per il reddito da lavoro dipendente e +0,7% per il reddito da lavoro autonomo). Più al riparo dai rischi le persone il cui reddito principale familiare è costituito da pensioni o trasferimenti pubblici l'esposizione al rischio di povertà o esclusione sociale rimane stabile, pur in presenza di una diminuzione dell'indicatore di bassa intensità lavorativa (da 50,7% a 47,1%).
Spese impreviste insostenibili per il 40% delle famiglie
Aumenta la quota di individui in famiglie che dichiarano di non poter sostenere una spesa imprevista di 800 euro (da 38,8% a 39,9%) e di avere avuto arretrati per mutuo, affitto, bollette o altri debiti (da 14,3% a 14,9%). Peggioramenti più marcati si osservano in particolare per gli individui in coppie con almeno tre figli: la quota di chi dichiara di non poter sostenere una spesa imprevista di 800 euro passa dal 48,1% al 52,8% e quella di chi ha avuto arretrati per mutuo, affitto, bollette o altri debiti dal 21,7% al 30,4%.
La metà delle famiglie vive con duemila euro al mese
Nel 2014 il reddito netto medio annuo delle famiglie italiane è rimasto stabile a 29.472 euro (circa 2.456 euro al mese), interrompendo una caduta in atto dal 2009 che ha comportato una riduzione complessiva di circa il 12% del potere d'acquisto delle famiglie, sia in media che in mediana. èquanto segnala l'Istat nel suo rapporto su condizioni di vita e reddito. La metà delle famiglie residenti in Italia percepisce un reddito netto non superiore a 24.190 euro l'anno (circa 2.016 euro al mese), sostanzialmente stabile rispetto al 2013; nel Mezzogiorno scende a 20.000 euro (circa 1.667 euro mensili). Fra le famiglie che hanno come fonte principale il reddito da lavoro, una su due dispone di circa 29.406 euro se si tratta di lavoro dipendente e di non più di 28.556 euro nel caso di lavoro autonomo. Per le famiglie che vivono prevalentemente di pensione o trasferimenti pubblici la somma scende a 19.487 euro.
Disuguaglianza tra redditi tra le maggiori in Europa
In Italia la diseguaglianza tra redditi e tra le maggiori in Europa. "Una delle misure principali utilizzate nel contesto europeo per valutare la disuguaglianza tra i redditi degli individui èl'indice di Gini. In Italia esso assume un valore pari a 0,324, sopra la media europea di 0,310, ma stabile rispetto all'anno precedente", si legge nel rapporto, "nella graduatoria dei Paesi dell'Ue l'Italia occupa la sedicesima posizione assieme al Regno Unito". Distribuzioni del reddito più diseguali rispetto all'Italia si rilevano in altri Paesi dell'area mediterranea quali Cipro (0,336), Portogallo (0,340), Grecia (0,342) e Spagna (0,346). Il campo di variazione dell'indice èmolto ampio: dai valori più alti di Lituania (0,379) e Romania (0,374) dove la distribuzione dei redditi èfortemente diseguale, a quelli più bassi di Slovenia (0,236) e Slovacchia (0,237), che invece hanno distribuzioni del reddito più equeIn Italia l'indice di Gini èpiù elevato nel Sud e nelle Isole (0,334) rispetto al Centro (0,311) e al Nord (0,293).