Roma - La crisi morde gli stranieri più degli italiani. Gli immigrati che arrivano in Italia principlamente per trovare lavoro e nella maggior parte dei casi si ritrovano a svolgere mansioni poco qualificate rispetto a titolo di studio e competenze maturate, soffrono la crisi con un tasso di disoccupazione raddoppiato. Lo dice l'Istat, secondo cui gli stranieri rappresentano l'8,6% della popolazione residente di 15-74 anni, i naturalizzati italiani l'1,3%. La ricerca di un lavoro è il motivo della migrazione in Italia per il 57% degli stranieri nati all'estero e per un terzo dei naturalizzati. Il rapporto dell'Istat aggiornato al secondo trimestre 2014, rivela che dal 2008 al 2014 il tasso di occupazione degli stranieri ha subito una contrazione di 6,3 punti, molto più accentuata dunque rispetto ai naturalizzati e agli italiani dalla nascita (-3,0 e -3,3 punti, rispettivamente). Al contempo, il tasso di disoccupazione degli stranieri è quasi raddoppiato rispetto a sei anni prima (+7,1 punti rispetto a +5,2 per gli italiani dalla nascita). Andando a snocciolare le cifre, viene fuori che il 59,5% degli stranieri ha trovato lavoro grazie al sostegno della rete informale di parenti, conoscenti e amici (38,1% i naturalizzati, 25% gli italiani), e il 29,9% degli occupati dichiara di svolgere un lavoro poco qualificato, percentuale che scende al 23,6 tra i naturalizzati e all'11,5 tra gli italiani. Più spesso degli uomini, le donne percepiscono di svolgere un lavoro poco adatto al proprio titolo di studio e alle competenze maturate, soprattutto quando si tratta di straniere (sono stimate circa quattro occupate su dieci). Polacche, ucraine, filippine, peruviane, moldave e romene sono le lavoratrici più penalizzate. Non essere italiano dalla nascita rappresenta un ostacolo per trovare lavoro, o un lavoro adeguato, per il 36,2% degli stranieri e il 22% dei naturalizzati. La scarsa conoscenza della lingua italiana (33,8%), il mancato riconoscimento del titolo di studio conseguito all'estero (22,3%) e i motivi socio-culturali (21,1%) sono i tre ostacoli maggiormente indicati. Gli uomini - rileva l'Istat - migrano più spesso per lavoro, le donne per motivi familiari.
Nel secondo trimestre 2014, spiega l'Istat, tra la popolazione di età compresa tra 15 e 74 anni (stimati in 45 milioni 648 mila) gli stranieri residenti in Italia rappresentano l'8,6%, in aumento del 58,8% sul secondo trimestre 2008 mentre i naturalizzati sono l'1,3% (+28,7%). La restante parte è costituita dagli italiani dalla nascita, in calo dell'1,9% rispetto a sei anni prima. La popolazione nata all'estero è stimata in 5 milioni 169mila individui nel secondo trimestre 2014. Ovviamente, la quota di nati all'estero è molto elevata per gli stranieri e i naturalizzati (rispettivamente 99,1% e 93,3%), mentre è appena l'1,7% (691 mila persone) per gli italiani dalla nascita. Il motivo principale che ha spinto a migrare in Italia differisce in modo significativo per collettivo e genere, senza subire importanti cambiamenti nel tempo. Il lavoro rappresenta il motivo principale della migrazione per il 57% degli stranieri, valore che scende al 32,4% per i naturalizzati e al 6,2% per gli italiani dalla nascita. Per questi ultimi due gruppi il motivo della migrazione indicato con maggior frequenza è il ricongiungimento familiare, coinvolgendo rispettivamente il 58,8% e il 90,9% delle popolazioni di riferimento; i motivi legati alla famiglia riguardano invece il 39,0% degli stranieri. Rispetto al 2008, quando la presenza dei nati all'estero era stimata a 3 milioni 494mila, non si riscontrano grandi differenze nelle motivazioni addotte nè per gli italiani dalla nascita nè per gli stranieri; per i naturalizzati si osserva, invece, un aumento di circa 15 punti del motivo legato al lavoro (dal 17,6% al 32,4%) e una riduzione di quasi 13 punti di quello familiare (dal 71,3% al 58,8%). Ciò è dovuto principalmente all'aumento della quota di naturalizzati che hanno acquisito la cittadinanza italiana dopo la prolungata presenza in Italia. Nel 2014, il lavoro come spinta principale della migrazione è la ragione più diffusa per gli uomini rispetto alle donne, per queste ultime prevalgono sempre gli aspetti familiari. Le differenze di genere sono particolarmente marcate: la migrazione per lavoro viene indicata dal 70,5% degli uomini e dal 45,1% delle donne; la notevole distanza (25,4 punti percentuali) è comunque diminuita rispetto ai 30,1 punti del 2008. In questo quadro, gli altri motivi alla base dell'immigrazione in Italia risultano meno importanti: lo studio, ad esempio, viene indicato da appena il 2,1% degli stranieri e raggiunge il valore più elevato tra gli uomini naturalizzati (7,1%).
Il motivo della presenza in Italia degli immigrati - rileva ancora il rapporto Istat - si differenzia notevolmente a seconda della cittadinanza. Il lavoro come motivo principale del progetto migratorio raggiunge percentuali più elevate tra gli uomini di cittadinanza romena (80,5%), indiana (76,8%), polacca (75,3%), marocchina (74,5%) e cinese (73,6%); mentre le straniere con valori molto superiori alla media sono le ucraine (79,8%), le filippine (75,6%) e le moldave (71,9%), per le quali il valore è anche più elevato di quello registrato per i i connazionali uomini. Lo squilibrio di genere maggiore riguarda le comunità indiana, albanese e marocchina: le immigrate in Italia per lavoro sono rispettivamente il 7,7%, il 12,8% e il 18,7% delle donne, per le quali il ricongiungimento è la ragione migratoria prevalente. Al contrario le donne romene sono venute in Italia principalmente per motivi di lavoro (59,5%), nonostante un divario di 21 punti con gli uomini. Tra il secondo trimestre 2008 e il secondo 2014, sebbene la quota di lavoratori stranieri sul totale degli occupati sia passata dal 7,0% al 10,4%, il tasso di occupazione ha subito una costante contrazione con un deterioramento più accentuato rispetto ai tassi riferiti agli italiani dalla nascita e ai naturalizzati. La caduta dell'occupazione, soprattutto nei settori a prevalenza maschile, ha comportato un maggiore calo per gli uomini, ma di diversa intensità nei tre collettivi.Il tasso di occupazione della popolazione straniera è diminuito nei sei anni di 6,3 punti, riduzione molto più ampia rispetto ai -3,3 punti rilevati per gli italiani dalla nascita e ai -3,0 punti per i naturalizzati. In relazione al genere, la diminuzione è di -11,7 punti per gli uomini stranieri (-5,7 gli italiani dalla nascita, -10,7 i naturalizzati) e di -1,1 punti per le donne (-0,9 le italiane, -0,7 le naturalizzate).
Nonostante la continua contrazione, il tasso di occupazione degli stranieri (59,3%) resta comunque più alto sia di quello dei naturalizzati (50,3%) sia degli italiani dalla nascita (55,4%). La maggiore quota di occupati tra gli stranieri dipende in misura rilevante dalla struttura della popolazione per età, concentrata nelle classi di età giovanili e centrali: oltre il 70% della popolazione straniera ha meno di 45 anni (46,2% gli italiani dalla nascita e 53% i naturalizzati). A parità di classe di età, difatti, gli stranieri presentano tassi di occupazione più elevati rispetto agli italiani dalla nascita soltanto tra i 15-24enni e, soprattutto, tra i 55-74enni. Il complessivo peggioramento della condizione lavorativa degli stranieri non ha riguardato con la stessa intensità tutte le comunità, in ragione della composizione di genere e dell'inserimento in specifici settori di attività. Sebbene nei sei anni tutte le principali comunità abbiano registrato un calo nel tasso di occupazione, la crisi ha avuto ripercussioni particolarmente pesanti sui marocchini, prevalentemente occupati nell'industria in senso stretto e nel commercio e il cui tasso di occupazione è sceso di oltre 17 punti, e sui bengalesi, impiegati soprattutto negli alberghi e ristorazione e il cui tasso è diminuito di oltre 10 punti. Significative riduzioni si sono registrate anche per indiani, albanesi e rumeni, occupati in prevalenza nell'industria. Una maggiore tenuta ha invece riguardato i cinesi, per lo più indipendenti e inseriti in attività commerciali, il cui tasso di occupazione è sceso di appena 1,2 punti, dovuto alla crescita della componente maschile. Anche filippini, peruviani e moldavi hanno subìto contrazioni di modesta entità nei tassi di occupazione, ma in questo caso la tenuta è stata appannaggio delle donne, collocate quasi sempre nei servizi alle famiglie.
Persistono - rileva l'Istat - elevate differenze nei tassi di occupazione tra le principali comunità: filippini in testa (81,1%) e, a seguire, peruviani, moldavi, ucraini, cinesi, rumeni e polacchi sono coloro che nel secondo trimestre 2014 vantano un tasso di occupazione superiore a quello medio degli stranieri (59,3%); agli ultimi posti della graduatoria per le principali cittadinanze, invece, si collocano marocchini e indiani con tassi di occupazione inferiori al 50%. Le differenze tra le comunità si accentuano per le donne, con tassi di occupazione che oscillano da quelli molto elevati di filippine e moldave (rispettivamente 84,4% e 72,0%) a quelli molto bassi di marocchine e indiane (22,3% e 20,0%). Peraltro, il diffuso calo del tasso di occupazione per tutte le principali comunità è stato accompagnato da un altrettanto diffuso aumento del tasso di disoccupazione. Gli incrementi più rilevanti, oltre 10 punti, hanno caratterizzato marocchini, indiani e albanesi. Un'eccezione è rappresentata dai cinesi, l'unica comunità per la quale nei sei anni il tasso di disoccupazione è sceso. I cinesi, insieme ai filippini, vantano un tasso di disoccupazione intorno al 5%, un valore molto al di sotto del valore medio; all'estremo opposto si collocano, invece, marocchini e albanesi con tassi di disoccupazione pari a 29,7% e 19,0% rispettivamente.
La comunità cinese è più dinamica dal punto di vista imprenditoriale e del lavoro non alle dipendenze: il 43,4% delle cinesi e il 45,4% dei cinesi occupati ha intrapreso un'attività autonoma. Valori così elevati - osserva l'Istat nel rapporto sugli immigrati e il lavoro - non sono riscontrabili per le altre cittadinanze, per le quali la prevalenza dei lavoratori autonomi uomini rispetto alle donne è generalizzata. In particolare sono gli uomini dei paesi con una storia migratoria di lungo corso nel nostro Paese che hanno maggiormente intrapreso un'attività autonoma, come i marocchini (18,7%) e gli albanesi (15,8%), rispettivamente la terza e la seconda cittadinanza straniera più presente sul territorio nazionale.Per gli stranieri il canale più utilizzato per trovare lavoro è l'intermediazione informale (59,5%). Due donne straniere su tre hanno trovato l'attuale lavoro grazie a parenti, conoscenti e amici. La rete informale, seppure il canale principale, è meno determinante per i naturalizzati italiani (38,1%) e soprattutto per gli italiani dalla nascita (25%). Tra gli stranieri, il 16,2% degli uomini e il 14,2% delle donne si è rivolto direttamente al datore di lavoro. Tra gli italiani dalla nascita il 16,8% ha trovato lavoro dopo aver superato un concorso pubblico - percentuale che varia dal 6,2% per chi lavora da non più di cinque anni al 31,4% per quanti vantano un'anzianità lavorativa di oltre 20 anni. L'inizio di un'attività autonoma è più diffuso tra gli uomini, sia per gli stranieri (13,1%) sia per italiani dalla nascita (22,8%). La comunità filippina beneficia maggiormente della rete informale: circa nove occupati su dieci sono stati aiutati da parenti, conoscenti e amici nel trovare lavoro. A eccezione di filippini e indiani, per le altre principali comunità la rete ha sostenuto più le donne, in particolare polacche e ucraine (impiegate soprattutto nei servizi alle famiglie) che hanno rispettivamente un valore superiore ai propri connazionali di 29,6 e 24,4 punti. (AGI)
(28 dicembre 2015)