Come sottolineato nell’analisi di una settimana fa firmata da Salvatore Borghese per AGI, il consenso di Trump ha subito un’erosione in questi primi sette mesi di governo. Il “job approval”, cioè l’indice di gradimento per l’operato del presidente, oscilla in questi giorni poco sotto il 40 per cento: per la media ponderata di FiveThirtyEight è al 37,8, con un 55,4 di giudizi negativi.
Ma come si inserisce in questo trend la vicenda che ha dominato il dibattito politico americano nell’ultima settimana, cioè gli scontri di Charlottesville e la reazione di Trump?
Per Gallup, che traccia quotidianamente la popolarità dei presidenti facendo una media dei valori registrati ogni tre giorni, nell’ultima settimana si è passati dal 34% al 37% di gradimento (il 34% è il livello più basso raggiunto da Trump dopo l’insediamento, ma anche un valore mai toccato da un presidente neo-eletto nella sua prima estate alla Casa Bianca e mai avvicinato da Obama in tutti i suoi 8 anni di mandato, come ricorda Frank Newport).
Ipsos per Reuters, che invece calcola una media su 5 giorni, registrava il 36% di fiducia una settimana fa, e il 34,6 nell’ultimo dato disponibile, pubblicato giovedì.
Insomma, in termini di consenso generale gli equilibri non si sono modificati in proporzioni significative, anche se si possono notare tre campanelli d’allarme per la Casa Bianca:
- In primis, anche se non si assiste a uno sgretolamento del gradimento nell’opinione pubblica (che del resto è già molto basso), la vicenda di Charlottesville rischia di produrre effetti significativi sulle relazioni fra Casa Bianca e Congresso, cioè il luogo dove si giocano tutte le partite legislative (dalla sanità alla riforma fiscale) e, se mai ci si arriverà, anche quella dell’impeachment. Il deterioramento dell’interlocuzione di Trump con la maggioranza repubblicana è dimostrato dalle prese di distanza di esponenti del Gop con solidissime credenziali di conservatori, come Orrin Hatch, Tim Scott, Ted Cruz, Marco Rubio e John Cornyn, tutti valutati con almeno 88 punti su 100 nella classifica della American Conservative Union:
- Il secondo fattore è il ruolo della “base” conservatrice. Fra gli elettori repubblicani, secondo CBS News il 67% approva la risposta di Trump agli eventi di Charlottesville, ma c’è un 22 per cento che non la approva.
Nella media di Pollster.com sull’operato del presidente, oggi poco meno dell’80% dei repubblicani esprime gradimento per l’operato del presidente. Rispetto a inizio mandato, il peggioramento in questo segmento, che votò Trump all’88% secondo gli exit poll, è di 13 punti. Questo generale raffreddamento non è dinamica di questi ultimi giorni, ed è perciò probabilmente dovuta ad altre ragioni più che alle violenze di Charlottesville, come sottolinea la responsabile dei sondaggi dell’Huffington Post Ariel Edwards-Levy:
If you're wondering what hurts Trump with his base: health care yes, Charlottesville no. (Most recent datapoint is Aug. 13-15.) pic.twitter.com/4kedC7qHJg
— Ariel Edwards-Levy (@aedwardslevy) 16 agosto 2017
- Sullo sfondo, la questione delle ‘race relations’ e della ‘identity politics’ negli Stati Uniti è molto più complessa di quanto si immagini.
Un interessante studio del Public Religion Research Institute per The Atlantic condotto prima e dopo le elezioni presidenziali di novembre 2016, per esempio, evidenziava che per la maggioranza (52%) degli americani bianchi della working class – un sottogruppo meno istruito e con minore partecipazione civica rispetto alla media degli americani bianchi – la discriminazione contro i bianchi è un problema equivalente alla discriminazione contro neri e altre minoranze:
Questa lunga analisi di FiveThirtyEight sul fenomeno della ‘white identity politics’, poi, include un’altra ricerca di PRRI che evidenzia una linea di cesura molto netta fra elettori democratici e repubblicani sulla questione delle discriminazioni percepite:
Il nodo alla base della prima manifestazione di suprematisti bianchi, la rimozione della statua del generale confederato Robert E. Lee da un parco di Charlottesville, segnala poi che gli orientamenti nell’opinione pubblica statunitense sono tendenzialmente assai scettici sull’eliminazione dei monumenti dedicati agli eroi sudisti. Un terzo degli intervistati da YouGov – percentuale che sale al 40% fra i bianchi, e al 55% fra i repubblicani – dice di essere “molto contrario”:
Più in generale, statue e bandiere che onorano la Confederazione e i suoi eroi di guerra, molto diffuse nel Sud degli Stati Uniti, sono viste da una larga fetta degli americani come simboli di orgoglio locale più che di razzismo
Questa percentuale sale addirittura al 71% fra i bianchi della classe lavoratrice, mentre l’80% dei neri la pensa all’opposto, secondo PRRI:
E per tornare ai fatti di Charlottesvile, due terzi dei repubblicani, e un quarto dei democratici, in questa rilevazione di SurveyMonkey si dicono sostanzialmente d’accordo con la controversa lettura di Trump, secondo cui il gruppo di neo-nazisti e nazionalisti bianchi e quello di contromanifestanti anti-razzisti sarebbero ugualmente responsabili delle violenze in Virginia. Una conferma che l’interpretazione dei fatti dell’ultima settimana è molto più complessa e stratificata, quando si guarda all’opinione pubblica americana.
Per quasi 2 Repubblicani su 3 (e 1 Dem su 4) suprematisti e antirazzisti sono egualmente responsabili per violenze di Charlottesville pic.twitter.com/jCpDvj2BTe
— YouTrend (@you_trend) 18 agosto 2017