È tempo di vendemmia per i viticoltori italiani. E lo sarà almeno fino alla fine di questo mese. Per questa annata 2019-20, infatti, la raccolta delle uve è iniziata con 10-15 giorni di ritardo a causa delle condizioni meteo non proprio favorevoli che hanno caratterizzato i primi sei mesi dell’anno. Non ci sarà, però, alcuna ricaduta sulla qualità come hanno ribadito le associazioni di categoria perché posticipando la raccolta si potrà comunque raggiungere un livello zuccherino ottimale. Anzi, questo ritardo segna involontariamente il ritorno ad annate non ancora così interessate dal cambiamento climatico, quando con temperature meno elevate la vendemmia veniva effettuata di norma proprio in questo periodo.
Le conseguenze si vedranno, invece, sul versante della quantità. Con una produzione stimata che si aggira tra i 45 e i 47 milioni di ettolitri, le previsioni indicano un calo del 16% rispetto alla passata stagione. Ma l’Italia dovrebbe comunque riuscire a rimanere sul primo gradino del podio mondiale conquistato quattro anni fa quale principale produttore. Francia e Spagna, al secondo e terzo posto, infatti, non sembrano rappresentare una minaccia, con una previsione ferma rispettivamente a 43,4 e 40 milioni di ettolitri.
I volumi del vino italiano in costante crescita da almeno venticinque anni trainano il settore. Ad aumentare, in particolare, sono i vini di qualità su cui si stanno concentrando gli sforzi del mercato. Tra Dop e Igp deteniamo ormai il numero più elevato in Europa di etichette controllate. Ma un terzo della produzione è ancora rappresentato dal vino da tavola con ricadute negative in termini di prezzi. La Francia, invece, potendo contare su bottiglie più costose, resta per il momento prima al mondo per valore delle esportazioni, nonostante venda all’estero meno vino di noi.
Le previsioni per la vendemmia del 2019
Quest’inverno si è dimostrato particolarmente mite e privo di piogge fino a maggio, quando l’arrivo improvviso del freddo, fuori stagione, ha completato un quadro già compromesso. Se le previsioni, quindi, dovessero essere confermate, quando tra poche settimane si faranno i conti per davvero, nelle botti dovrebbero mancare 9 milioni di ettolitri, ossia il 16% in meno rispetto alla passata stagione. Dopo una produzione fin troppo abbondante nel 2018, seguita a una scarseggiante nel 2017, con 46 milioni di ettolitri ci sarebbe finalmente un ritorno alla “normalità”. Almeno per Assoenologi, Unione Italiana Vini e Ismea che quest’anno hanno presentato per la prima volta di comune accordo un dossier unico sulle previsioni vendemmiali al Ministero delle politiche agricole.
Il calo di produzione riguarderà l’Italia intera con alcune regioni come Lombardia (-30%) e Umbria (-24%) più colpite di altre. L’unica a distinguersi potrebbe essere soltanto la Toscana (+10%). Tali riduzioni non dovrebbero comportare comunque un mutamento del panorama generale perché le varie regioni si tengono abbastanza a distanza tra di loro per numero di ettolitri prodotti all’anno. In questo quadro, che la vendemmia in atto difficilmente potrebbe mutare, quindi, la regione che produce più vino è il Veneto con più di 13 milioni di ettolitri, seguita dalla Puglia con 9,5 e dalla Sicilia con 4,7.
L’Italia, prima al mondo per la produzione di vino
Secondo i dati ISTAT la produzione è in costante crescita dal 1992, escludendo tuttavia le normali oscillazioni stagionali. Oscillazioni che, inoltre, non consentono al vino di essere una vera e propria commodity. In ogni caso, grazie a questo ritmo inarrestabile, quattro anni fa l’Italia si è conquistata il titolo di principale produttore di vino al mondo, strappandolo alla Francia, un primato che stando ai numeri anche degli ultimissimi tempi non pare disposta a lasciare.
A crescere, in particolare, sono soprattutto i vini di buona qualità, ossia quelli che rientrano nelle certificazioni di Denominazione di origine protetta (Dop), al cui interno come spieghiamo di seguito oggi ci sono le sigle Doc e Docg, e di Indicazione geografica protetta (Igp), corrispondente alla vecchia Igt. Tra il 2009 e il 2010 entrambe le etichette Dop e Igp hanno effettuato un sorpasso storico sul vino da tavola.
E da allora se l’Igp è un po’ calato, il Dop si tiene ancora al primo posto. Al punto che attualmente la produzione delle tre tipologie è così ripartita: il Dop al 42%, l’Igp al 25% e il vino da tavola al 33%. Quest’ultimo è ancora a livelli molto alti, consiste esattamente in un terzo dell’intera produzione. Al di là dei rialzi nelle stagioni abbondanti come quella appena passata, però, il vino da tavola sembra destinato a rimanere al secondo posto. Per il vinificatore, infatti, passare a una produzione di vino etichettato significa poter contare su introiti più alti e stabili perché il vino da tavola è maggiormente soggetto alle variazioni di prezzo dettate dalla stagionalità, oltre a essere pagato di meno.
Quali sono i vini di ottima qualità
Tra le menzioni, quella più datata è la Denominazione di Origine Controllata (Doc), che gli italiani hanno imparato a conoscere fin dagli anni ’60. Si ottiene se l’intera produzione del vino viene effettuata in una determinata area geografica, secondo un determinato disciplinare, ossia a condizioni specifiche che vengono attentamente verificate. La Denominazione di origine controllata e garantita (Docg) viene consegnata, invece, ai vini che detengono l’etichetta Doc da più di dieci anni, una volta superato l’esame di una commissione sia in fase di produzione che di imbottigliamento.
Dal 2010, con l’entrata in vigore di una nuova normativa europea, entrambe le sigle sono confluite nella Dop, che a differenza delle precedenti etichette viene applicata non solo ai vini ma a tutti gli altri prodotti agroalimentari che rispettano determinate prescrizioni.
Discorso del tutto simile per la vecchia sigla Indicazione geografica tipica (Igt), ora diventata Igp, che però viene concessa più facilmente dispetto a Doc e Docg, perché basta che almeno una fase della produzione sia condotta in una zona territoriale specifica a certe condizioni. Nonostante l’introduzione di queste nuove etichette la legge europea prevede comunque che Doc, Docg e Igt possano essere ancora utilizzate come menzioni tradizionali.
Le nuove nomenclature Dop e Igp, insieme vengono indicate come Ig, Indicazione geografica. In Italia in totale se ne contano 523, tutte elencate sul sito del Ministero delle politiche agricole e nella tabella qui sopra. Si tratta, per quanto riguarda il vino, del numero più alto in Europa. La Francia, infatti, si ferma in questo caso a 432 e la Spagna appena a 131, su una quota complessiva pari a 1582.
Se al posto del numero dei vini certificati si osservasse la quantità di terreno destinata a vitigni di questo genere, il quadro sarebbe diverso, con l’Italia in terza posizione grazie a 474 mila ettari, dietro alla Francia (677 mila) e alla Spagna (831 mila). Tra i tre paesi, la Francia, in particolare, conta tra l’altro meno ettari destinati al vino da tavola, appena 26 mila contro i nostri 170mila.
Quanto valgono le esportazioni di vino italiano
Su 55 milioni di ettolitri di produzione, l’Italia ne esporta circa 21, per un controvalore di 6,2 miliardi di euro. La maggior parte delle bottiglie varca l’Atlantico per approdare negli Stati Uniti che contano per il 24% dell’export. Arriva in America di solito vino di alta qualità e dal prezzo elevato. Lo stesso accade per l’Inghilterra (13%) che è la terza principale destinazione. I dazi di Trump sul vino e la Brexit, quindi, potrebbero creare non pochi problemi al settore, il cui export dipende al 37% proprio da questi due paesi. Al secondo posto, invece, c’è la Germania (17%), che a differenza di Regno Unito e Stati Uniti acquista dall’Italia anche molto vino sfuso.
Per quanto riguarda le esportazioni, la Francia fa ancora meglio di noi grazie a un export del valore di 9,5 miliardi di euro. Seguiamo al secondo al secondo posto con 6,2 e chiude il podio con 3,1 miliardi la Spagna. Quest’ultima è, invece, la prima esportatrice sulla base della quantità di ettolitri venduti all’estero sia all’interno che all’esterno dell’Unione Europea, in dettaglio 24 milioni. Ed è significativo che se sulla quantità noi confermiamo il secondo posto con 21 milioni, la Francia, invece, slitti al terzo con 14 appena milioni di ettolitri. Le due classifiche a confronto indicano, quindi, che il vino francese risulta di gran lunga più costoso di quello italiano e spagnolo.
Italia e Francia alla sfida del vino
La partita del vino contro la Francia non è ancora chiusa del tutto. Se ormai il primato italiano sulla quantità della produzione è assodato, i francesi la spuntano ancora sulle esportazioni, perché riescono a vendere a un prezzo più alto. La ragione è riconducibile alla qualità. La Francia, infatti, conta su 200 mila ettari in più di di vitigni a Indicazioni geografiche e soprattutto presenta 120 mila vitigni in meno dell’Italia di uve da tavola. E questo nonostante l’Italia detenga il numero più alto d’Europa di etichette certificate.
Ma il prezzo del vino non è più alto soltanto per i vini Dop e Igp: anche il vino da tavola francese risulta più costoso, in dettaglio di un 1,5 euro in media negli ultimi tre anni. Se in questo caso non c’entra la qualità, allora la ragione è da cercare in un sistema di produzione maggiormente organizzato, in grado di generare e migliorare la reputazione del prodotto. E questo è proprio il caso del sistema francese, caratterizzato da aziende vitivinicole strutturate e di grandi dimensioni: 10,5 ettari in media. Quello italiano invece è ancora costituito per la maggior parte da piccole aziende, di 1,8 ettari in media e da una produzione ancora piuttosto frammentata.