Una vera e propria galleria degli orrori a cui non manca nulla. L’elenco delle aggressioni, in gran parte di stampo mafioso, ai giornalisti italiani fa impallidire. E solo nel 2018, le nuove minacce e aggressioni denunciate sono già oltre 76.
I dati sono quelli del monitoraggio iniziato molti anni fa dall’Osservatorio Ossigeno per l’informazione gestito dalla Federazione Nazionale della Stampa assieme all’Ordine dei Giornalisti e diventato nel 2014 organo consulente della Commissione parlamentare antimafia e dell’OSCE.
E questi dati sono piuttosto eloquenti. Dal 2006, e quindi negli ultimi 12 anni, sono oltre 3000 i giornalisti italiani che hanno subito aggressioni a vario titolo o che sono stati fortemente ostacolati nel proprio lavoro.
I dati si riferiscono sia direttamente all’azione di associazioni mafiose e criminali sia a tutte quelle situazioni in cui i poteri politici, gli amministratori locali ma anche singoli privati cittadini talvolta operano anche attraverso strumenti di giustizia, come le querele o addirittura gli annunci di querele, le citazioni in giudizio con richieste enormi di danni economici fatte con l’unico obiettivo di fermare il lavoro dei giornalisti ed evitare che vengano a galla situazioni di abuso, truffa, utilizzo scorretto o addirittura illegale di fondi pubblici, gravi reati ambientali e via dicendo.
Capita naturalmente che queste azioni legali siano in qualche modo determinate dagli interessi mafiosi, come ad esempio la citazione in giudizio con richieste di danni economici spropositati da parte di sindaci o altri amministratori locali che poi si scoprono associati alla camorra o alla Sacra Corona Unita.
Le azioni della criminalità possono agire infatti su più fronti, da quello delle aggressioni dirette alla messa in campo di azioni legali anche tramite terzi, come appunto politici e amministratori corrotti. Non è sempre facile distinguere in modo preciso le azioni contro la stampa portate avanti per puri interessi politici o economici da quelle associate alla criminalità, e per questo l’Osservatorio fa un lavoro molto preciso di revisione e analisi di ogni singola denuncia.
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Anche con questi caveat, i numeri sono davvero impressionanti. La storia di Federica Angeli, sotto scorta dal 2013 per aver documentato e denunciato le attività criminali del clan Spada di Ostia, è una delle vicende più note degli ultimi tempi. Ma è ben lontana dall’essere isolata. Si somma a quella di Giovanni Tizian, finito sotto scorta nel 2011 per le sue inchieste sulle infiltrazioni camorristiche del clan dei Casalesi nel territorio di Modena.
Si somma a quella di Paolo Borrometi, siciliano, sotto scorta da quattro anni, che scrive anche qui su AGI. E a quelle di tanti tanti altri. Scorrendo la lista dei nomi, che abbiamo messo in mappa qui sotto (basta cliccare su ogni singolo punto della mappa per avere i nomi dei giornalisti coinvolti, le testate e la descrizione dei fatti), si trovano quelli di tanti colleghi attivi nelle redazioni locali che hanno subito una qualche forma di aggressione più o meno grave.
I dati italiani
La mappa mostra la distribuzione sul territorio italiano (ci sono anche alcuni casi registrati di intimidazioni avvenute all’estero nei confronti di giornalisti italiani) delle varie tipologie di intimidazione registrate dall’Osservatorio dal 2011 al 2018. Un sottoinsieme delle denunce totali, dunque. Dalle più leggere, che si manifestano sotto forma di striscioni o di insulti sia in presenza che su web, social media o a mezzo stampa, alle più gravi e preoccupanti, come le aggressioni personali, i furti di materiali e strumenti di lavori, gli incendi, le esplosioni e le minacce di morte.
Questa mappa presenta solo i casi di attacchi diretti ai giornalisti ma non quelli che si manifestano attraverso l’uso di vari strumenti di giustizia, che abbiamo scelto di tenere separato per chiarezza. E anche se naturalmente il maggior numero di casi si presenta in quelle regioni dove la stampa è più concentrata, dove ci sono più testate o gli interessi politici sono più forti, soprattutto nelle città più grandi, la distribuzione piuttosto omogenea di casi di minaccia e aggressione su tutto il territorio ci fa capire che non c’è un luogo davvero tranquillo dove un giornalista possa sentirsi al sicuro. Quando si indaga su questioni di corruzione, abuso e criminalità il rischio è comunque presente, nei piccoli centri come nelle grandi città.
Le regioni più pericolose per i giornalisti
A giudicare dal campione di dati puntuali (oltre 900 casi registrati in 7 anni, dal 2011 al 2018) messi a disposizione da Ossigeno rispetto alle denunce totali, la regione di gran lunga più pericolosa per chi fa cronaca e cerca di tenere aperti gli occhi dei lettori sulle vicende di mafia, potere e malaffare, è la Campania. Qui sono state registrate, da parte dei giornalisti, oltre 159 denunce in questi ultimi 7 anni relative a vari tipi di intimidazioni, minacce e vere e proprie aggressioni. A seguire, a stretto giro, il Lazio, con 168 denunce. Seguono Sicilia, Puglia e Lombardia, che registra 78 denunce. Ancora più di 70 denunce arrivano dalla Calabria e poi i numeri scendono, con le 37 denunce dell’Emilia-Romagna e poi via a scendere. I dati rendono molto chiara quella che è ormai una realtà conclamata.
Se è vero che le mafie agiscono ancora tanto e soprattutto al Sud, il Nord è ormai chiaramente altrettanto coinvolto. Il maxi processo Aemilia, avviato dopo l’arresto nel gennaio 2015 di 117 persone associate alla ‘ndrangheta nella più grande operazione antimafia fatta nel Nord Italia, ha portato alla luce il grado profondo di infiltrazione mafiosa del territorio emiliano-romagnolo coinvolgendo numerosi amministratori locali. Ma l’infiltrazione è molto nota anche in ampie parti del territorio lombardo.
Tuttavia, se andiamo ad analizzare le diverse tipologie di azioni intimidatorie, le aggressioni gravi sono state registrate prima di tutti in Campania, poi in Lazio, Lombardia ed Emilia-Romagna in numeri molto simili. Decisamente più diffuse le aggressioni lievi, dove a farla sempre da padrone è la Campania seguita dal Lazio (44 e 32 denunce rispettivamente) e poi più distaccate Sicilia (17) e Lombardia, Toscana e Calabria a pari merito con 12. Anche sugli avvertimenti le denunce più numerose arrivano dalla Campania mentre per quanto riguarda gli insulti a vario titolo, il Lazio non ha pari e registra oltre 30 insulti, mentre le altre regioni hanno un numero di denunce ben più limitato per questo tipo di attacco. La Campania è di gran lunga la prima regione anche per le minacce di morte e per le minacce personali più generiche.
Quando l’intimidazione passa dai social o dall’esclusione
Negli ultimi anni, alle lettere cartacee e alle telefonate intimidatorie si sono andati aggiungendo nuovi mezzi efficaci nel diffondere messaggi intimidatori e vari tipi di minaccia. In particolare, in Lazio, Sicilia e Campania sembrano molto popolari le minacce o i messaggi di insulto e di aggressione via social media (rispettivamente 19, 18 e 12 denunce nel periodo considerato dall’Osservatorio). Non mancano però anche mezzi più rozzi, come gli striscioni appesi in luoghi pubblici o altri più sofisticati, anche se entrambi sono piuttosto rari.
Una delle forme di ostacolo più diffuse al lavoro dei giornalisti è invece l’esclusione o la discriminazione, e cioè tutte quelle situazioni in cui a un giornalista viene vietato l’ingresso o la partecipazione a un evento, a un luogo, a una situazione dove la copertura giornalistica dovrebbe al contrario essere garantita per diritto di cronaca. L’uso di questi mezzi non varia molto da regione a regione, e anche se il Lazio è al primo posto con 9 denunce di discriminazione, la Lombardia segue con 8 assieme alla Campania che registra lo stesso numero. Il Lazio è al primo posto anche per denunce di generici ostacoli all’informazione, con 15 fatti registrati, ben lontano dalla seconda regione, la Puglia, dove le denunce sono 9. Le altre regioni registrano numeri ben meno significativi.
Uso distorto del diritto per ostacolare l’informazione libera
Di tutt’altra natura sono naturalmente le denunce che arrivano per la messa in campo di diversi mezzi, dall’utilizzo della querela ad altre forme di citazioni in giudizio praticate per impedire ai giornalisti di svolgere correttamente il proprio mestiere. Difficile qui distinguere i dati relativi a connessioni con le attività mafiose e quelli che invece si rifanno ad un uso e abuso del potere da parte di soggetti privati o pubblici che semplicemente agiscono per limitare la diffusione di inchieste e di indagini giornalistiche che possano svelare una cattiva gestione dei fondi pubblici, una vera e propria truffa e via dicendo che magari non hanno necessariamente legami con le varie cosche.
Tra le oltre 500 denunce raccolte nel database di Ossigeno per l’informazione vediamo che la parte del leone la fa l’uso della querela per diffamazione (in rosso, con icona a martello nella mappa) ritenuta pretestuosa dalle analisi dell’Osservatorio, con oltre 295 denunce. Uno strumento molto potente perché utilizzato spesso in malafede proprio per bloccare l’esercizio della libertà di cronaca.
Come vediamo dal grafico qui sopra, al primo posto c’è la regione Lazio (76 casi) seguita dalla Campania (42), Lombardia (37) e Sicilia (34). Lazio, Campania, Lombardia e Sicilia sono anche le prime regioni per più generici abusi del diritto, e cioè ancora una volta tutte quelle azioni in ambito giudiziario che hanno come unico scopo quello di ostacolare il lavoro dei giornalisti. Il Lazio domina la classifica anche per la citazione in giudizio per danni ritenuta strumentale.
Questo genere di denunce è particolarmente pesante quando i giornalisti coinvolti appartengono a testate locali, spesso meno forti dal punto di vista economico, o sono addirittura freelance privi di alcuna copertura legale da parte delle testate con cui collaborano. L’intento di zittire diventa molto chiaro quando si leggono le richieste di danni economici, spesso del tutto spropositate anche in riferimento all’azione denunciata.
I giornalisti uccisi dalla mafia, dal terrorismo e in guerra
Gli ultimi anni sono stati tremendi per i giornalisti in ampie regioni del pianeta. Il rapporto globale Unesco 2017/18 “Freedom of expression and media development” pubblicato nelle scorse settimane parla di oltre 530 giornalisti uccisi in tutto il mondo tra il 2012 e il 2016, di cui il 56% in zone di conflitto e quindi di una percentuale molto alta di omicidi e uccisioni anche in zone prive di conflitti. Nel quadriennio precedente, il numero era più basso e si attestava su 316. Il solo anno 2012 ha visto oltre 124 giornalisti uccisi. Afghanistan, Messico, Yemen, Iraq e poi Siria, Guatemala, Brasile e India i paesi con i numeri più tragici di omicidi di giornalisti.
I giornalisti italiani uccisi dalle mafie sono undici, quasi tutti in Sicilia, tranne Giancarlo Siani ucciso a Napoli nel 1985. Tra i giornalisti uccisi proprio a causa del loro lavoro, ci sono naturalmente anche le vittime del terrorismo, Walter Tobagi e Carlo Casalegno. Ci sono poi i giornalisti italiani uccisi all’estero, mentre lavoravano come corrispondenti o freelance in zone di conflitto, da Ilaria Alpi uccisa in Somalia nel 1994 ad Andrea Rocchelli in Ucraina nel 2014.
L’Italia, anche se lontana dai numeri di Messico, Guatemala e Brasile, dove i giornalisti sono target purtroppo spesso molto deboli sia delle reti criminali che di molti poteri politici ed economici corrotti, rimane un paese dove la libertà di stampa è spesso condizionata e ostacolata e i giornalisti possono subire attacchi e forti minacce semplicemente facendo il proprio lavoro. Un paese dove molto si deve ancora fare per garantire l’accesso a una informazione trasparente e corretta al pubblico.
Una preoccupazione condivisa dall’Osservatorio Ossigeno e da altre realtà altrettanto impegnate a monitorare questi fenomeni a livello locale, come ad esempio la Fondazione LiberaInformazione, che a sua volta ha un osservatorio sull’informazione per la legalità e contro le mafie. Iniziative che sono correlate anche in reti internazionali, come la Safety net for european journalists, un progetto europeo coordinato dall’Osservatorio Balcani e Caucaso, che lavora proprio per la sicurezza dei giornalisti nel Sud Europa e nei paesi del Mediterraneo, nella speranza che una maggiore consapevolezza possa portare ad adottare misure, sia a livello europeo che nazionale, che garantiscano una maggiore protezione del lavoro giornalistico.