"Nemmeno Donald Trump riesce a risollevare Twitter", avevano ironizzato in molti lo scorso febbraio, quando il social network aveva chiuso l'ennesimo bilancio in rosso nonostante il ritorno in auge legato al forte utilizzo da parte del neo presidente degli Stati Uniti. Anche ora che ha conquistato la Casa Bianca, l'immobiliarista newyorchese, come ai tempi della campagna elettorale, utilizza il proprio profilo Twitter @realdonaldtrump come un vero e proprio organo di stampa alternativo, alternativo persino al profilo ufficiale @POTUS, di certo non sufficiente ai giornalisti che vogliano seguire le esternazioni dell'irrequieto miliardario. Anche per questo non c'è modo di scindere le dichiarazioni fatte a mero titolo personale da quelle presidenziali. Cinguettii che non fanno solo discutere la stampa ma spostano anche milioni di dollari quando riguardano iniziative economiche, magari destinate a restare su carta, o meglio su pixel. Per comprendere le proporzioni del fenomeno basti solo pensare a una app come Trigger, che consente di ricevere notifiche ogni volta che Donald Trump scrive un tweet su un'azienda della quale si possiedono azioni. Eppure tanta iperattività su Twitter sta iniziando a ritorcersi contro il presidente. Subito dopo il blitz contro una base aerea siriana di inizio aprile, seguito all'attacco chimico di Idlib, del quale i Paesi Nato ritengono responsabile Bashar al-Assad, il social network si riempì di 'retweet' che mostravano l'apparente inversione a U operata da Trump nei confronti di Damasco (forse per compiacere l'area neo-con del Gop) rispetto a quanto 'cinguettava' in campagna elettorale. O ancora prima.
E a ricondividere questi tweet non erano stati solo i democratici pacifisti che avevano sostenuto Bernie Sanders ma anche, se non soprattutto, i duri e puri della cosiddetta alt-right che avevano sognato una luna di miele con Vladimir Putin e avevano attribuito la svolta all'emarginazione del loro presunto uomo alla Casa Bianca, il consigliere Steve Bannon, lanciando addirittura l'hashtag #freebannon.
Quel che Twitter ci dice sul Trump-pensiero
I dati stessi del “fenomeno Trump” aiutano a raccontare, attraverso l’account @realDonaldTrump, gli orientamenti e gli interessi prevalenti del nuovo presidente. Analizzando l’account a partire dal giorno dell’insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio fino al 25 aprile 2017 ci si è posti l’obiettivo di monitorare l’attività di Donald Trump sul social network, con un focus particolare sulle menzioni del profilo, cercando di capire sia il pensiero di Trump-che-twitta, sia quello degli utenti di Twitter sulla sua figura in questi ultimi mesi.
Prima ancora di scendere nel dettaglio dei contenuti, è interessante constatare le cifre che ruotano attorno al tycoon: forte di una fan base di oltre 28 milioni di follower, @realDonaldTrump totalizza il doppio dei follower della ex rivale @HillaryClinton, ferma a poco più di 14 milioni. Questo senza considerare l’altro canale Twitter che lo rappresenta come presidente americano, @POTUS, capace di totalizzare quasi 17 milioni di follower. Focalizzando l’attenzione sul solo @realDonalTrump, notiamo un costante aggiornamento del profilo con 494 tweet (escludendo i retweet) pubblicati di suo pugno dal leader repubblicano nell’arco del periodo a cui si sommano i 426.944 retweet da parte di terzi delle sue esternazioni. Il picco di conversazioni più rilevante coincide con la data dell’insediamento del presidente, 20 gennaio, quando vengono registrati 13 tweet. Il medesimo numero di tweet è stato rilevato il 3 marzo quando Trump, attraverso il suo profilo, aveva esortato l’apertura di indagini su Chuck Shumer, senatore per lo stato di New York, a seguito dei suoi presunti abboccamenti con Vladimir Putin.
Alla prima analisi quantitativa dei contenuti pubblicati da Donald Trump è possibile affiancare un’analisi qualitativa focalizzata sul sentiment delle conversazioni polarizzate tra contenuti negativi e positivi. È possibile ricondurre i tweet positivi alle promesse fatte al popolo americano a seguito dell’insediamento, all’appoggio a particolari gruppi, persone o a singole celebrazioni come, ad esempio, l’Earth Day del 22 aprile. Si denota anche una certa autocelebrazione per la propria politica, perpetrata attraverso lo slogan “Make America Great Again”, con le promesse elettorali di maggior impatto mediatico che vengono reiterate in modo ciclico, a partire dall'ormai celebre promessa di costruire un muro al confine tra Stati Uniti e Messico. Le criticità principali riguardano invece i rapporti con la stampa, uno dei maggiori crucci del nuovo Presidente, i contrasti con il Partito Democratico e la volontà di marcare fortemente la distanza dalla precedente amministrazione (con l'obiettivo di demolire l'Obamacare tra gli argomenti ricorrenti).
Il grafico dei cluster consente poi di isolare i singoli termini e come essi si relazionano tra loro. Le parole chiave più riprese sono “great”, in riferimento allo slogan già citato, “Whitehouse”, connessa ai ringraziamenti a seguito dell’elezione e infine “fake”, che racchiude la polemica di Trump nei confronti dei giornali e tv a lui avverse, considerate “fake news” e “fake media”. Si tratta questo di un importantissimo tentativo di riappropriazione e di ridefinizione di termini che, in campagna elettorale, erano stati usati contro di lui dalla stampa che lo accusava di diffondere bufale. Dopo l'insediamento, sarà Trump a rivolgere la stessa accusa ai media, che si erano schierati quasi all'unanimità con Hillary Clinton, stilando una vera e propria “lista nera” dove compaiono, tra le altre, testate quali il New York Times, la Cnn e la NBC News, citate con toni anche molto aggressivi. In concreto, come emerge dal nostro fact-checking, le notizie false sono state utilizzate sia da Trump che contro Trump.
Per comprendere le proporzioni del fenomeno mediatico legato all’account personale di Trump vanno inoltre presi in esame tutti i contenuti dove viene menzionato @realDonaldTrump. Se poche sono le centinaia di tweet scritti dal magnate e qualche centinaio di migliaia i retweet, nello stesso arco temporale le menzioni sono state quasi settanta milioni (69.896.071) comprendendo tweet e retweet. L’apice è ravvisabile nella giornata di insediamento del presidente, quando vengono registrati ben 1.604.431 contenuti. Il secondo picco, databile 29 gennaio, è legato al #Muslimban, l’hashtag coniato a seguito del divieto temporaneo di ammissione negli States dei rifugiati e delle persone provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana (Iran, Iraq, Sudan, Siria, Libia, Somalia e Yemen), argomento molto sentito che ha generato oltre un milione e mezzo di tweet. Un terzo picco, pari a 1.275.500 occorrenze, è ravvisabile il 4 marzo ed è riconducibile al cosiddetto Russiagate, ovvero la controversia che aveva investito Michael Flynn, nominato da Trump consigliere per la sicurezza nazionale e poi costretto alle dimissioni per aver nascosto i suoi contatti con la diplomazia russa.
Oltre a capire “quanto”, è poi interessante sapere “come” il popolo di Twitter si esprima sul neo presidente americano. È quindi utile avvalersi del grafico del sentiment, che vede una forte polarizzazione verso le criticità, che con il 32% del totale surclassano le positività, ferme al 19%. Le negatività riguardano diversi messaggi di aspra critica, se non di autentico odio, rivolti a Trump, alla sua politica e alle sue iniziative. Dall’altro lato, gli elementi positivi riguardano in buona parte i retweet degli stessi messaggi di Trump.
Nel bene o nel male è indubbio che Trump abbia ridefinito il concetto stesso di partecipazione ai social network dei politici americani e non solo: l’utilizzo diretto e spregiudicato di un canale di comunicazione non mediato in alcun modo da addetti, funzionari o organi statali ha prodotto una condizione di disintermediazione che forse mai era stata vista, per lo meno in tutta questa schiettezza, nel panorama internazionale. E che, comunque la si veda, ha già fatto la storia della rete.