Nel 2018 abbiamo perso 3,6 milioni di ettari di foresta tropicale pluviale primaria, una superficie grande quanto il Belgio. Questa stima è fornita dal World Resources Institute, che riporta i dati aggiornati del portale Global Forest Watch, la principale risorsa online sul monitoraggio delle foreste nel mondo. Sono 12 milioni gli ettari di foresta tropicale andati perduti: una superficie grande poco meno della Grecia.
Secondo il recente aggiornamento proposto dai nuovi dati studiati e sistematizzati dall’Università del Maryland, infatti, oggi è più semplice capire e quantificare con maggiore precisione non solo il fenomeno della perdita di superficie alberata, ma anche quello più stringente delle foreste tropicali primarie. Esse sono le foreste più vecchie e la cui vita finora non è stata modificata dall’attività antropica e che hanno un ruolo fondamentale sia nella preservazione della biodiversità sia nel limitare le emissioni di gas climalteranti.
Perdere queste foreste pluviali primarie, afferma Global Forest Watch (GFW), non significa quindi solo mettere a rischio specie animali, vegetali e delicati meccanismi evolutivi selezionati in migliaia e migliaia di anni, ma anche liberare in atmosfera ulteriore CO2, perché queste foreste vergini sono anche imponenti siti di stoccaggio di carbonio.
In assoluto è il Brasile che perde il maggior numero di ettari di foresta primaria (1300 migliaia di ettari nel 2018 a fronte di una perdita totale di foresta stimata di poco inferiore alle 3000 migliaia di ettari).
Nonostante la ratifica di impegni internazionali che vincolano multinazionali e governi a limitare lo sfruttamento delle aree delle foreste tropicali, in alcuni paesi il tasso di perdita di foresta è in aumento, soprattutto in paesi dell’Africa quali Ghana, Costa d’Avorio, Angola e Liberia. Ma c’è anche un esempio virtuoso: l’Indonesia. Lo stato del sud est asiatico, che rimane pur sempre il terzo paese in assoluto per foresta primaria distrutta, registra però una drastica riduzione del tasso di perdita.
Guardando i dati della sola foresta primaria, dal 2017 questo valore è più basso del 40% rispetto alla media storica 2002-2016. Questi segnali, scrive GFW, sono forse i primi risultati concreti delle politiche del Governo e dei trattati di tutela del patrimonio forestale, tra cui la moratoria del 2011. Tale pacchetto di misure nei primi anni non aveva dato i risultati sperati - come scriveva la stessa GFW - ma oggi si è visto che nelle aree difese dalla moratoria la perdita di foresta primaria è calata del 45% nel 2018 rispetto alla media storica 2002-2016.
Discorso opposto per il Brasile, paese su cui gravano grandi preoccupazioni dovute alle politiche spregiudicate sul piano ambientale annunciate dal nuovo Presidente Jair Bolsonaro. Le statistiche presentate da GFW non tengono conto dei primi mesi dell’amministrazione Bolsonaro, visto che il nuovo leader carioca si è insediato solo il 1 gennaio 2019, per cui occorrerà aspettare il rapporto 2020 per vedere come è andata nel 2019. Nel frattempo, però, gli ultimi anni in Brasile non sono stati incoraggianti. 2016 e 2017 sono stati anni di grande perdita di foresta primaria (e in generale di superficie arborea) a causa di incendi che hanno aggravato una situazione già seria. Nel 2016 il Brasile ha perso 5600 migliaia di ettari di foresta, di cui la metà era foresta primaria.
Quali sono le cause della deforestazione?
Secondo Global Forest Watch quantificare i tassi di perdita di alberi è fondamentale per monitorare e capire il fenomeno della deforestazione (che, va specificato, non coincide tout-court con la perdita di superficie boschiva, di cui rappresenta lo stadio finale e più grave) ma non basta. Occorre anche capire quali sono i fattori che la incentivano.
Secondo uno studio di GFW pubblicato su Science lo scorso gennaio, i fattori che hanno guidato la perdita di superficie boschiva nel mondo tra il 2001 e il 2015 sono: produzione di merci, shifting agricolture, incendi, silvicoltura.
Lo studio identifica il primo fattore, la produzione di merci, come di poco maggioritario ma particolarmente dannoso, visto che la perdita di area forestale dettata da ragioni industriali e commerciali, come la produzione di olio di palma, attività estrattive, produzione di petrolio e gas, è quella che conduce alla deforestazione vera e propria, ovvero alla perdita definitiva di foresta tropicale.
Gli altri tre fattori, invece, possono danneggiare la foresta primaria creando danni alla biodiversità ma non escludono una successiva fase di ricrescita di foresta secondaria. Secondo GFW, inoltre, la caratterizzazione geografica è di primaria importanza: ogni continente ha motivi specifici che portano alla perdita di aree boschive, come si vede nell’infografica elaborata dal World Resources Institute.
Per quanto riguarda la zona dei tropici, il fattore predominante è sicuramente quello di produzione industriale e agricola di merci e beni su larga scala, così come nel sud-est asiatico e in Sud America, mentre in Africa - dove, abbiamo visto, in percentuale si perde sempre più foresta primaria - è la shifting agricolture a trainare la perdita di superficie boschiva. Nell’emisfero nord, invece, Nord America e Russia soffrono la piaga degli incendi. Anche la silvicoltura ha un forte impatto tra USA, Canada ed Europa ma, come detto nel caso della shifting agricolture, in questo caso la perdita di alberi è spesso compensata da piani di rimboschimento e di produzione sostenibile.