Quando si tratta di debito pubblico, tema molto caldo in queste ore per via della risposta della Commissione Europea all’Italia, è bene ricordare che c’è debito e debito. Per considerare eventuali fragilità o debolezze di un paese è rilevante sapere anche chi detiene quel debito. E, nel caso dell’Italia, chi possiede quel debito è soprattutto il mercato: questo “implica una maggiore dipendenza dagli investitori e, quindi, un maggior rischio di rifinanziamento”. Rischio che invece risulta attenuato nel caso in cui questo debito sia maggiormente in mano al settore istituzionale europeo.
Lo afferma una grafica di Prometeia, società di consulenza, ricerca economica e sviluppo software. Prometeia ha elaborato uno studio che scompone il debito pubblico di alcuni paesi dell’Eurozona, ovvero Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e, appunto, Italia dal dicembre 2004 al giugno di un anno fa. Questi paesi sono quelli che, nel 2010, furono maggiormente toccati dalla crisi del debito sovrano che colpì l’Eurozona.
Lo studio ha evidenziato la parte di debito detenuta da un lato dalle banche centrali e dal settore istituzionale europeo e sovranazionale (istituzioni come BCE, FMI e ESM, European Stability Mechanism) e dall’altro lato dagli operatori privati, nazionali ed esteri.
Quello che emerge è che in questi paesi, soprattutto dopo la crisi del debito, l’ammontare di titoli pubblici detenuti dal settore ufficiale europeo e nazionale è molto rilevante, anche se molto diverso da paese a paese. Dopo la crisi, Grecia, Portogallo e Irlanda dipendono fortemente dalle istituzioni europee, con il settore privato che risulta minoritario, in certi casi marginale.
Discorso diverso per Italia e Spagna, dove secondo l’analisi di Prometeia “le istituzioni europee detengono una quota minoritaria di debito sovrano. La maggior parte dei titoli pubblici è infatti detenuta dal mercato”. In termini di PIL, stiamo parlando dell’80% circa (60% in termini di debito complessivo), suddiviso tra il 53% in mano a operatori italiani e il 27% in mano a operatori esteri. Rispetto al triennio 2013-2015 la quota di debito italiano in mano al mercato è leggermente calato, soprattutto per una contrazione legata agli investitori esteri e a un aumento di acquisizione del debito soprattutto da parte della Banca d’Italia. Ciò non toglie che il settore privato rimane ancora nettamente maggioritario nel detenere il nostro debito rispetto a istituzioni europee e banca centrale.
“I titoli di debito pubblico, proprio come le azioni, possono essere liquidati velocemente, generando brusche oscillazioni nei prezzi e, quindi, nei rendimenti. Conoscere la composizione di chi detiene titoli sovrani è quindi utile a valutare la vulnerabilità degli Stati dovessero cambiare le preferenze degli investitori, nazionali ed esteri”, spiega nella nota Prometeia.
Debito/pil e le previsioni della Commissione
Con il 181,1% la Grecia detiene il rapporto debito-pil più alto tra questi cinque paesi dell’eurozona. Seguono a netta distanza l’Italia (132,2%), il Portogallo (121,5%), la Spagna (97,1%) e infine l’Irlanda (64,8%) che è riuscita a ridurre visibilmente la relazione dal 2013 a oggi. Per farlo le strade sono due: o agire sul numeratore, cioè ridurre la quantità di debito attraverso dei tagli alla spesa o l’aumento delle imposte, oppure incrementare il prodotto interno lordo che è al denominatore puntando al fattore crescita.
Secondo la Commissione europea che ha redatto le previsioni macroeconomiche di ciascun Paese dell’area euro, l’Italia non sta portando avanti delle politiche in grado in incidere positivamente sul rapporto debito-pil in entrambe le direzioni. Se non dovessero esserci degli aggiustamenti in corso attraverso una manovra correttiva o una congiuntura maggiormente favorevole all’economia del Paese, l’aumento del rapporto debito-pil consisterà in 1,5 punti percentuali sia nel 2019 sia nel 2020.
L’andamento preoccupa perché è in controtendenza rispetto a quello di Irlanda, Spagna, Portogallo e perfino della Grecia, che appunto secondo le stime di Bruxelles taglieranno il rapporto nei prossimi due anni. In dettaglio, la Spagna lo ridurrà dell’1,4%, il Portogallo del 4,9%, l’Irlanda dell’8,9% e la Grecia del 12,2%. Questo è uno dei motivi per cui i l’Italia è finita sotto la lente delle istituzioni europee negli ultimi mesi, fino a spingere la Commissione europea ad aprire alla possibilità di una procedura di infrazione per debito eccessivo.
Con una crescita economica praticamente ferma, la relazione tra il debito e il pil italiano aumenterà secondo le stime della Commissione a causa della lievitazione del debito che in termini assoluti oggi è pari a 2322 miliardi e che nel 2020 potrebbe diventare addirittura 2435,7 miliardi di euro. Rispetto a quello dell’intera Europa a 28 Stati, che ammonta a 12814 miliardi, si tratta di una fetta consistente.
Se poi il paragone viene fatto con gli altri cinque Paesi che hanno vissuto una crisi del debito la situazione delicata dell’Italia è particolarmente evidente. Il nostro debito pubblico è quasi sette volte più grande di quello della Grecia, considerata il malato d’Europa, undici volte di quello dell’Irlanda, nove del Portogallo e quasi il doppio della Spagna. Tuttavia, non è la quantità totale del debito a costituire di per sé il problema quanto, come si è spiegato, la sua entità in rapporto al pil.
Quello che preoccupa i mercati (a cui, come abbiamo visto, siamo profondamente legati in termini di debito) è l’effettiva capacità di un paese di ripagare gli investitori. Per questo, paesi come la Germania, che in assoluto ha un debito pubblico che supera i 2000 miliardi, non preoccupano perché, nello specifico, la Germania ha un rapporto debito-pil pari al 55.6%, un numero che conferma le aspettative fiduciose degli investitori nella solvibilità del debito sovrano tedesco.