Mentre a Katowice, in Polonia, la COP24, la conferenza Onu sul clima, è stata prolungata per tentare di giungere a un accordo, il Lancet Countdown, un organismo di monitoraggio mondiale e indipendente lanciato dalla rivista scientifica inglese The Lancet, punta l’attenzione alla misurazione degli impatti del cambiamento climatico sulla salute.
Peggioramento della qualità dell’aria, maggiore frequenza delle ondate di calore, aumento della diffusione di malattie infettive: queste alcune delle principali conseguenze dell’aumento delle temperature medie. In comune fra loro hanno la causa, i cambiamenti climatici, ma anche l’effetto: rappresentano un serio pericolo per la salute delle popolazioni di tutto il mondo.
I rischi si trovano nell’ultimo rapporto dell’organizzazione pubblicato in queste settimane e frutto della collaborazione tra 27 grandi università di tutto il mondo, l’ONU e altre agenzie intergovernative, lancia un messaggio chiaro. Dobbiamo considerare “il cambiamento climatico come un problema di salute pubblica globale” per trovare la risposta adeguata a questa sfida. “Un clima in rapido cambiamento” si legge nel rapporto, “ha effetti su ogni aspetto della vita, e la velocità e le modalità della risposta che daranno i Paesi di oggi determineranno la salute delle popolazioni nel futuro”.
Per il gruppo di scienziati guidato da Nick Watts, professore all’Institute for Global Health dell’University College di Londra, “persiste un atteggiamento di inerzia mondiale al problema dei cambiamenti climatici”. E anche se in molti settori la transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2 (principale responsabile dell’innalzamento delle temperature) è iniziata, i progressi registrati finora sono insufficienti.
Lo studio arriva subito dopo l’ultimo rapporto speciale dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che stima che abbiamo a disposizione solo un periodo di 12 anni per cercare di impedire l’aumento della temperatura media globale della Terra di 1,5 °C. Servono “cambiamenti rapidi, lungimiranti e senza precedenti in tutti gli aspetti della società”.
Cosa c’è in gioco? La sopravvivenza della specie umana, oltre che di molte specie animali. Lo studio del Lancet ha analizzato l’andamento di 41 indicatori in cinque ambiti diversi, tutti esaminati in relazione alla salute globale: gli impatti, l‘esposizione e la vulnerabilità umana di fronte al cambiamento climatico; le strategie di adattamento in campo sanitario; le misure di mitigazione e i benefici per salute; le ricadute economico-finanziarie; l’impegno pubblico e politico. Gli effetti dannosi non riguardano solo i popoli più vulnerabili che vivono in Paesi poveri. Molti li stiamo già subendo anche da questa parte del mondo.
I rischi per la salute
La vulnerabilità agli eventi estremi di caldo è aumentata costantemente dal 1990 in ogni regione. Nel 2017 sono aumentate di 157 milioni le persone esposte alle ondate di calore, rispetto al 2000. L’Europa è particolarmente a rischio, perché più del 40% della sua popolazione ha un’età superiore ai 65 anni, la fascia di età più colpita dalle conseguenze del caldo. Non sono solo le alte temperature a rappresentare un rischio, ma anche gli abbassamenti improvvisi. Gli sbalzi di temperatura rendono più vulnerabili anche le persone che hanno malattie cardiovascolari o quelle affette da diabete e da malattie respiratorie croniche (tra le più diffuse in Occidente). I dati raccolti negli ultimi anni mostrano chiaramente, nel grafico sottostante, che la mortalità (numero di morti ogni 100mila abitanti) è senz’altro più elevata in Europa che nel resto del mondo.
Oltre ai rischi diretti sulla salute, le ondate di calore generano anche rischi indiretti, come quelli di natura economica, come ad esempio la perdita di giornate di lavoro nelle aziende e negli uffici o quella dei capi di bestiame in agricoltura. Nel 2017, a causa del caldo, sono state perse 153 miliardi di ore di lavoro, l’80% delle quali proprio nel settore agricolo.
Ci sono poi specifiche patologie che possono aumentare proprio per via dei cambiamenti climatici. In Europa così come in America stanno ad esempio aumentando in modo significativo le morti causate dal tumore alla pelle, associato all'esposizione alle radiazioni solari.
Il clima è anche un fattore determinante per molte malattie infettive, perché modificando l’ambiente dove vivono i vettori (generalmente insetti) può facilitare la trasmissione del virus all’essere umano. Tra il 2011 e il 2016, la diffusione del virus che provoca la febbre dengue è aumentata nelle regioni più sensibili alla sua diffusione, soprattutto nel Sud-est asiatico, ma anche nelle Americhe e nella regione del Pacifico occidentale. Il 2016 è stato l'anno in cui si sono registrati i valori più alti. Le proiezioni suggeriscono che questa crescita continuerà di pari passo con le emissioni di gas serra.
E poi naturalmente c’è l’inquinamento, una delle prime cause di morte a livello globale. Si stima infatti che 7 milioni di persone muoiano ogni anno a causa dell'inquinamento atmosferico. La concentrazione di inquinanti è peggiorata, dal 2010 al 2016, in quasi il 70% delle città di tutto il mondo.
Sud America e Sud-est asiatico sono invece le regioni più esposte a rischio inondazioni e siccità. E infine, oltre alle morti dirette per conseguenza dei disastri naturali, si devono aggiungere quelle causate da malnutrizione e carenza di cibo, dovute alla perdita di terreno coltivabile ma anche di biodiversità marina.
La sfida per i sistemi sanitari
I pochi progressi fatti nella riduzione delle emissioni di gas serra minacciano anche la sopravvivenze dei sistemi sanitari nazionali. Il rischio è che le infrastrutture della sanità pubblica non siano in grado di affrontare le sfide imposte dai cambiamenti climatici. E questo settore dovrebbe essere in prima linea negli sforzi di adattamento.
Sono necessarie strategie o piani di adattamento specifici sui problemi sanitari legati al clima. E per la verità, l’indagine dell'Organizzazione Mondiale per la Salute, Climate and Health Country, fatta nel 2015 mostra che 30 su 40 dei paesi partecipanti ha previsto programmi di questo tipo. Le malattie maggiormente prese in considerazione sono quelle trasmesse per via alimentare, tramite l’acqua, oppure trasmesse da vettori, come gli insetti; seguite dalle ferite e dalle morti da eventi meteorologici estremi. Meno concrete sono le misure per la salute mentale, le malattie non trasmissibili (quelle cardiovascolari, il cancro, il diabete e i disturbi respiratori cronici) e lo stress da calore.
Globalmente, la spesa sanitaria per l'adattamento rappresenta il 4,8% di tutte le spese per l'adattamento. Ma il punto è che in generale, i finanziamenti per l'adattamento non sono all'altezza degli impegni presi: appena 472,8 milioni di dollari nel 2017 e solo il 3,8% dei quali destinato al settore sanitario. Molto meno dei 100 miliardi di dollari annuali promessi fino al 2020 negli accordi di Cancun del 2010. Chissà se da Katowice verrà fuori qualche impegno più concreto.