Svalbardi viene prodotta imbottigliando il ghiaccio degli iceberg delle isole Svalbard: intrappolata per millenni nel ghiaccio ritorna in circolo, con la sua “purezza superiore”, a 110 euro e 40 centesimi il litro. Giza, invece, viene dalla Nova Scotia (Canada), dove i ghiacciai hanno, in formazioni geologiche innervate d’oro, “lasciato un tesoro senza prezzo sotto alla superficie terrestre” che viene venduto a un più modesto 15 euro e 90 centesimi al litro. Sono due delle acque di lusso vendute dal principale sito specializzato, dove da poco si può trovare anche l’Evian griffata Chiara Ferragni che ha suscitato tante polemiche social, al punto da spingere Fedez in difesa della moglie citando proprio alcune acque che sono vendute a un prezzo ben più oltraggioso.
In effetti, sul sito si trovano anche acque da oltre 275 euro il litro. Sono quelle vendute da Fillico Jewelry Water che, come dice il nome stesso, è acqua liscia a prezzo da gioiello in virtù della serie di bottiglie da collezione in cui è venduta. Svalbardi, invece, è la più costosa in vendita sul portale tra le acque “normali”, nel senso che vengono vendute a un prezzo molto elevato per la particolare provenienza o le decantate qualità. In confronto a questi prezzi, in effetti, 8 euro e 40 centesimi (confezioni da 12 bottiglie in vetro da 0,75 a 72,50 euro) sono un prezzo tutto sommato popolare.
Un discorso a parte meritano due altre acque lisce. Il primo riguarda BLK, la più costosa tra quelle vendute in bottiglie di plastica: una confezione da 12 bottiglie da mezzo litro viene 89 euro. Il secondo, invece, la più costosa acqua minerale venduta nel brick di cartone. Si chiama Acquapax e viene venduta in confezioni da mezzo litro: 59 euro per 24 pezzi.
Le acque lisce costano di più
Un aspetto forse sorprendente del mondo delle acque di lusso è che le acque effervescenti sono sostanziosamente meno costose. In testa alla classifica si trova lo storico marchio del Vichy Catalan, un’acqua minerale effervescente di origine termale scoperta nel 1852, che viene viene venduta a 43 euro e 80 centesimi il litro quando la si acquista nella bottiglietta di vetro da un centilitro. Lo stesso prodotto, per esempio, viene venduto a 9 euro e 60 centesimi se acquistato nella versione da 25 cl. Anche per l’acqua di Armani il prezzo varia secondo la taglia della bottiglia, sempre di vetro: 8,5 euro il litro per le bottigliette da 33 cl e 7,3 euro il litro per la classica da 75 cl.
I numeri dell’acqua imbottigliata in Italia
In occasione della giornata mondiale dell’acqua (22 marzo), Legambiente e Altroconsumo hanno presentato il dossier Acque in bottiglia. Un’anomalia tutta italiana. Un documento che fornisce i numeri chiave per capire il fenomeno del successo della bottiglietta d’acqua che, anche se non griffata da marchi di moda o di tendenza, muove un giro d'affari, quello sì, di lusso. Secondo una stima ottenuta considerando un prezzo di vendita al pubblico tra 0,50 e 1,0 euro al litro, il giro d’affari oscilla tra i 7 e i 10 miliardi di euro. Di questi, solo una parte irrisoria finisce nelle casse pubbliche: secondo un’inchiesta di Repubblica citata da Legambiente, le Regioni incassano 18 milioni di euro contro i 2,8 miliardi fatturati dalle aziende che detengono la concessione di imbottigliare l’acqua delle fonti e delle sorgenti sul nostro territorio.
Legambiente individua il problema nei costi bassissimi delle concessioni. Come mostra il grafico sopra, le aziende concessionarie - che sono oltre 290 in Italia - arrivano a pagare al massimo 2,26 millesimi al litro in Lazio, ma addirittura 0,3 millesimi in Abruzzo. Se al supermercato paghiamo il prezzo di 50 centesimi per un litro, stiamo pagando 250 volte di più di quanto pagano le concessionarie nella provincia autonoma di Bolzano (2 millesimi al litro), 500 volte di più che nelle regioni dove l’acqua costa alle aziende imbottigliatrici 1 millesimo al litro: una discrepanza che non si colma certo anche tenendo in conto tutte le spese necessarie per portare l’acqua dalla fonte al consumatore. Legambiente vuole stabilire un criterio nazionale che obblighi le regioni a fissare a minimo 2 millesimi al litro il costo di imbottigliamento: se questo avvenisse, Legambiente stima un introito di 255 milioni di euro contro i 13,5 del 2017 (cifre ottenute su 15 regioni: Molise, Sicilia, Veneto, Toscana e Liguria non rientrano nel calcolo).
Nel 2016 sono stati 14 i miliardi di litri imbottigliati in Italia per un consumo di 206 litri annui pro-capite. Quest’ultima cifra rende l’Italia il paese in Europa dove si consuma più acqua in bottiglia e il secondo al mondo, dopo il Messico. Tra il 2010 e il 2016 in Italia si imbottigliano circa 2 miliardi di litri in più. I dati 2017 presentati dal dossier Legambiente, soltanto parziali poiché appunto mancano le risposte di cinque regioni, parlano di 12,8 miliardi di litri imbottigliati.
La Lombardia è la regione nella quale si imbottiglia più acqua: nel 2017 sono 3,7 i miliardi di litri di acqua del territorio lombardo finiti dentro un contenitore. Fanalino di coda delle 15 regioni censite da Legambiente è la Puglia, con 62,1 milioni di litri.
Questa diffusione dell’acqua imbottigliata ha ovvie ricadute sull’ambiente, visto che tra il 90 e il 95% delle bottiglie è di plastica, per un totale stimato di 7-8 miliardi di imballaggi di plastica utilizzati ogni anno. Legambiente fornisce anche i dati dell’impatto ambientale di questi contenitori: più del 90% di queste plastiche derivano da materie prime fossili vergini e contestualmente l’80% dell’acqua imbottigliata in Italia si muove su gomma e, a tal proposito, un autotreno immette nell’ambiente 1300 kg di CO2 ogni 1000 chilometri.
Le motivazioni del consumo
Legambiente affianca a questi numeri sulla diffusione dell’acqua in bottiglia, che come abbiamo visto è una passione molto italiana, un altro trend consolidato del nostro paese, ovvero lo scarso consumo di acqua del rubinetto. Secondo il dossier l’acqua dei nostri acquedotti è di buona qualità, una qualità tale da rendere decisamente sconveniente sul piano economico e ambientale il ricorso all’acquisto di acqua imbottigliata. È anche sicura? Il dossier di Legambiente risponde in modo assolutamente affermativo: solo sulla rete idrica della Capitale vengono eseguiti 250 mila controlli ogni anno. Ma se la qualità c’è e i controlli sono così numerosi, perché ci ostiniamo a bere dalla bottiglia?
L'analisi del Censis
A febbraio di quest’anno il Censis ha pubblicato i risultati di una ricerca sul valore sociale del consumo di acque minerali in Italia. Le risposte degli intervistati indicano chiaramente come siano più importanti gli aspetti legati al gusto e al piacere, rispetto a quelli ambientali. Anche l’aspetto della salute è di primaria importanza e il rapporto specifica come bere acqua minerale sia per gli italiani “una scelta libera, consapevole, legata all’esigenza soggettiva di stare meglio, di migliorare la propria qualità della vita anche attraverso un consumo minuto, quotidiano come quello di un bene come l’acqua minerale scelto fondamentalmente soddisfare per le proprie preferenze”.
Lo stesso documento Censis riporta un altro dato interessante per spiegare le abitudini degli italiani in fatto di consumo di acqua. Il 65,8% degli intervistati ha risposto che non bevono un’acqua qualsiasi, ma la loro. Chissà quanti ora si affezioneranno all’acqua di Chiara Ferragni.