In estate la piaga degli abbandoni di animali domestici finisce per acuire un problema, quello del randagismo, di cui si hanno pochi numeri e non molto strutturati. Per quel che si sa, il randagismo nel nord Italia è in flessione rispetto alle rilevazioni di dieci anni fa, ma rimane una questione seria al sud e nelle isole.
Le associazioni animaliste come Lega anti vivisezione (LAV) e l’Ente Nazionale per la Protezione Animali (ENPA) forniscono alcuni indicatori che possono aiutare a inquadrare a grandi linee il fenomeno, ma le due associazioni sono concordi nel constatare che siamo ancora ben lontani dall’avere tutti i dati di cui avremmo bisogno per affrontare la questione nel dettaglio che meriterebbe.
Secondo LAV un ruolo chiave è giocato dalle anagrafi degli animali d’affezione: se consideriamo solo i cani, tra 2006 e 2018 c’è stato un aumento delle iscrizioni del 57% a livello nazionale. +8% solo tra 2017 e 2018. Questo trend, se confermato, porterà benefici nei casi di smarrimento e potrebbe contribuire in modo rilevante a limitare gli abbandoni e le presenze prolungate di animali in canili rifugio.
Quanti sono i cani randagi in Italia?
In Italia si stimano tra i 500-700 mila cani randagi. I cani vaganti sono tali soprattutto per due ragioni: abbandono o nascita da animali in libertà. Secondo l’ENPA, questa valutazione numerica - presentata nel 2012 dal sottosegretario alla salute del Governo Monti Adelfio Elio Cardinale - è ancora valida per fornire un ordine di grandezza al problema, sebbene sia un numero da leggere certamente per difetto. Il dato viene riportato anche dalla LAV nel suo rapporto sul randagismo (il più recente è del 2018).
Anche il report LAV insiste sulla scarsezza dei dati a disposizione e auspica una maggiore sinergia tra regioni e Ministero per migliorare l’approccio al problema.
Gli animali vaganti sono solo una delle conseguenze dell’abbandono, che oltre a essere un atto moralmente riprovevole è anche un reato, come stabilisce l’articolo 727 del codice penale che prevede l’arresto fino a un anno e una multa tra i 1000 e i 10000 euro. La gestione dell’animale randagio recuperato è regolata dalla Legge 281/91, una norma che secondo ENPA è tra le più avanzate al mondo nella tutela dell’animale. Innanzitutto, la norma proibisce l’abbattimento del randagio se non per eutanasia in presenza di malattie incurabili o di grave e comprovata pericolosità.
Inoltre, la legge pianifica una rete di assistenza che fa capo ai Comuni e alla Polizia Municipale. Se hanno la fortuna di sopravvivere allo smarrimento o, peggio ancora, all’abbandono, i cani trovati sono portati in un canile sanitario. I cani semplicemente persi e dotati di tatuaggio o microchip possono tornare ai padroni, mentre quelli non riconosciuti e quelli abbandonati, una volta curati, vengono portati al canile rifugio. I più fortunati saranno adottati da nuove famiglie, gli altri rimarranno in canile.
Quanti cani vivono nei canili italiani?
Gli ingressi nei canili sanitari sono stimati intorno ai 90 mila annui: la LAV riporta che nel 2017 il numero esatto fornito dalle Regioni è di 91.021 cani, di cui 34.224 restituiti al legittimo proprietario (38%). La Lombardia è la regione che ha avuto più ingressi nei canili sanitari, 10.593. Anche nel 2016 era la regione con il numero più alto, 11.623. Questo non significa che la Lombardia sia la regione più afflitta dal randagismo: l’ENPA avverte di prendere il dato con prudenza. Più ingressi nei canili sanitari può voler dire una migliore efficienza nel recupero di animali, soprattutto in riferimento alla percentuale di cani poi restituiti ai proprietari.
Nel 2016, il Ministero della Salute aveva contato 88.862 cani entrati nei canili sanitari. Difficile comunque tracciare un trend: secondo LAV, negli ultimi dieci anni il fenomeno del randagismo è leggermente in calo ma sia LAV sia ENPA invitano alla prudenza nel leggere questa flessione come davvero strutturale. Queste cifre non forniscono il numero degli abbandoni: in questi ingressi possono esserci anche animali semplicemente smarriti che poi, una volta identificati, ritornano al proprietario. Il fenomeno dell’abbandono ha numeri maggiori, visto che tanti animali non vengono recuperati poiché morti, dispersi o tornati in uno stato selvatico, ingrandendo le fila degli animali randagi in stato di libertà che vagano per strada o nelle campagne.
Per quanto riguarda invece i canili rifugio, ovvero strutture adibite all’accoglienza del cane in attesa di adozione che non ha più bisogno di accertamenti o assistenza medica, la LAV ha contato per il 2017 una presenza di 114.866 cani (+9% rispetto al 2016). Questi cani sono collocati soprattutto al Sud: più di 82 mila cani (cioè il 72% sul totale della popolazione stimata) si trova nei canili rifugio del Mezzogiorno. Rispetto al 2006, però, il calo è sostanziale: quasi 35 mila animali in meno per un -23% sul piano nazionale.
Al sud e nelle isole è molto più bassa anche la percentuale di ritorno degli animali recuperati presso i padroni: come detto il dato nazionale è intorno al 40%, nel sud scende al 6%. Questo dato abbassa drasticamente la media nazionale, trainata dal nord con il 69% di restituzioni. Nel centro il dato si attesta al 39%.
I canili e i costi del randagismo
Secondo la LAV in Italia i canili sono circa 1200: 766 sono canili rifugio, 434 sanitari e i restanti 144 sono attrezzati per entrambe le esigenze. La maggioranza dei canili è al sud (44%), il 37% è al nord. Come detto, i cani ospiti dei rifugi sono circa 115mila, con ciascun animale che costa 3,50 euro al giorno (dato fornito a LAV dal Ministero della Salute) per un totale di circa 1300 euro di costo annuale. La spesa sui dodici mesi quindi si attesta di poco inferiore ai 150 milioni di euro a livello nazionale. Puglia e Campania sono le regioni che spendono di più per far fronte all’emergenza randagismo, rispettivamente 26,4 e 21,2 milioni nell’anno 2017.
La situazione dei gattili
Se ci sono pochi dati per valutare la situazione dei cani, per i gatti la situazione è ancora meno chiara: i dati sono disponibili in numero minore e sono meno strutturati, così come meno strutturata è la rete di accoglienza. L’ultima stima sui gatti randagi sul territorio nazionale risale al 2006 e consiste in oltre due milioni e mezzo di gatti liberi. Diverse regioni non hanno risposto al censimento proposto da LAV sulle strutture dedicate ai felini, che quindi presenta una stima parziale di 61.878 colonie riconosciute: qui è il nord a guidare il conteggio con poco meno di 30 mila colonie. Il centro segue a 24.289 e il sud è in netto ritardo, con 7900 colonie rilevate.
I gattili sono ancora più rari. La LAV ne ha contati solo 101 in Italia, di cui più della metà al Nord, 40 al centro e solo 7 al sud. Difficile anche stabilire quanti siano i gatti tra colonie e gattili. La LAV fornisce le cifre relative alle sterilizzazioni. Nel 2017 i gatti sterilizzati sono stati 69.094, mentre per il 2016 i dati del Ministero della Salute parlano di 61.093 esemplari.
I numeri delle anagrafi
Abbandoni e randagismo si possono limitare con una serie di iniziative. Una delle più rilevanti è l’iscrizione nelle anagrafi degli animali d’affezione. Il dato più aggiornato fornito dal Ministero della Salute parla di circa 12 milioni di animali registrati: 11 milioni sono cani, 500 mila gatti e 1600 di furetti.
L’iscrizione degli animali nell’anagrafe è obbligatoria per legge ed è il primo passo per proteggere gli animali dall’abbandono, oltre a essere fondamentale in caso di smarrimento, scrive la LAV. Tra 2017 e 2018 il report LAV riporta un aumento di registrazioni del 12,3%. Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna sono le regioni con il maggior numero di animali censiti. Secondo la LAV i benefici delle anagrafi sono già visibili: “All’aumento del numero dei cani iscritti all’anagrafe diminuisce il numero di cani in canile e contemporaneamente aumentano le restituzioni al detentore”.
Come si evince dai numeri ministeriali dell’anagrafe, inoltre, se l’iscrizione dei cani è ormai assai diffusa, quella dei gatti è ancora molto più limitata. Secondo LAV, anche per i felini l’identificazione tramite microchip dovrebbe essere resa obbligatoria come scritto nell’articolo 12 della Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia. Una diffusione dei microchip anche fra i felini sarebbe determinante per favorire i recuperi e porre un disincentivo agli abbandoni.