Roma - Il conflitto tra Facebook e il Brasile che ha portato oggi all'arresto del numero due della società in America Latina, l'argentino Diego Dzonan, è il terzo in un anno e replica la dinamica dei precedenti. In tutti e tre i casi l'azienda di Palo Alto si era rifiutata di girare agli inquirenti i dati personali di utenti di Whatsapp (la popolare applicazione di messaggistica controllata da Facebook) nonostante ripetute richieste. Lo scorso 16 dicembre l'app era stata bloccata per 48 ore in tutto il paese dopo che Facebook si era rifiutata piu' volte di fornire alla magistratura i dati di alcuni individui considerati coinvolti in un cartello criminale. La sospensione del servizio aveva mandato su tutte le furie milioni di utenti ed era stata presto annullata da un altro tribunale. Nel febbraio del 2015, invece, Facebook aveva addirittura negato a un giudice l'accesso ai dati personali di alcune persone indagate per pedofilia, nell'ambito di un'inchiesta che durava da ben due anni. Anche in quel caso il conseguente blocco era stato annullato in appello. Di natura ben diversa, invece, il contenzioso avvenuto nel 2012 con Google, il cui direttore generale per il Brasile, Fabio Josè Silva Coelho, era stato arrestato per non aver rispettato l'ordine di un giudice che aveva chiesto di rimuovere da Youtube alcuni video contenenti attacchi al candidato prefetto del Partido Progressista, Alcides Bernal. Il dirigente, in quel caso, torno' pero' in libertà nel giro di poche ore. (AGI)