di Nicola Graziani
Roma - Alla fine l'ha avuta vinta lui. Marco Pannella non è stato quello che si può definire uno statista: della cura dello Stato non si è mai occupato, in sessant'anni di carriera politica. Pannella ha voluto molto di più, ha voluto plasmare il Paese secondo i suoi intendimenti e i suoi convincimenti, con il risultato che l'ha trasformato, in profondo, a sua immagine e somiglianza. L'Italia del XXI Secolo somiglia molto più a come l'ha voluta Marco Pannella che non a quella pensata dalla Democrazia Cristiana, ma anche Bettino Craxi e tutti i politici della Seconda Repubblica messi insieme. Più laica, per non dire laicista, più libertaria (anche in economia), più disinibita e spregiudicata. In una parola: più radicale. E lo ha fatto a dispetto di un peso elettorale oggettivamente mai determinante. Il miglior risultato di una lista a lui riconducibile risale al 1999, anno di elezioni europee, quando la Lista Bonino ottenne tra lo stupore generale l'8,4 percento. Di certo non una valanga. Il suo peso però prescindeva da questi particolari, in fondo minimi. Dalla sua parte c'era la grande corrente che cambiava i comportamenti e la cultura di massa. Non è un caso che il Partito Radicale italiano abbia preso piede, con lui al timone, dalla metà degli Anni '70 in poi, sull'onda della trasformazione dei partiti socialisti europei, a partire dal Psf francese di Francois Mitterrand. Una sinistra che abbandonava l'impronta ormai obsoleta del marxismo rivisto in chiave riformista (Mitterrand liquidera' nel 1981 i comunisti transalpini, l'Spd tedesca aveva gia' avuto la sua Bad Godesberg), ma che proprio per questo aveva bisogno di un altro insieme di idee programmatiche cui fare riferimento. Esattamente quello che da noi è accaduto dopo la svolta della Bolognina.
In Italia Pannella arrivò alla notorietà, non a caso, con il referendum sul divorzio del 1974, promosso dai cattolici e sostenuto dalla Dc di Amintore Fanfani contro la legge voluta dal socialista Loris Fortuna insieme al liberale Antonio Baslini. La sconfitta del fronte abrogazionista fu bruciante quanto inaspettata. L'Italia, avrebbe detto lucidamente di li' a un paio d'anni il gesuita Padre Bartolomeo Sorge, non era più un paese cattolico. Sempre meno cattolico, sempre più pannelliano. Marco Pannella è fuori dei partiti. Anzi, è lui a coniare il termine "partitocrazia". Marco Pannella entra in Parlamento, ma usa il referendum come una clava a botte anche di 15 per volta. Arrivando, e la cosa non è positiva, a provocare una vera e propria ripulsa nell'elettorato per questo strumento di democrazia diretta. Se la prende con la caccia, il nucleare, l'ordine dei giornalisti, persino i sindacati. Ottiene - ma è una vittoria di Pirro - l'abolizione del ministero dell'agricoltura e del finanziamento pubblico dei partiti. Marco Pannella sa protestare: si incatena, va in tv imbavagliato, fa lo sciopero della fame (una volta, all'inizio degli anni '70, un cronista del "Giorno" lo vide addentare un cornetto, ma fu un'eccezione). Si piazza in una roulotte davanti al Pantheon, va a Porta Portese a distribuire spinelli nel nome dell'antiproibizionismo. E' anche propositivo: promuove la lotta contro la fame nel Mondo, costringendo i partiti ad aprire il dibattito, organizza le campagne per la moratoria sulla pena di morte. E non guarda in faccia a nessuno, nel senso che pur di ottenere il risultato è pronto anche ad andare a casa del diavolo, cioè ad allearsi ora con il centrodestra, ora con il centrosinistra. E a mandare in Parlamento chi vuole lui, e magari gli altri non candiderebbero mai: Ilona Staller detta in arte Cicciolina - nota pornostar venuta dall'Est - oppure Toni Negri, professore universitario condannato nell'ambito del processo "7 Aprile" per associazione sovversiva.
Quando poi scoppia la sanguinosa crisi della Jugoslavia, e i serbi bombardano Sarajevo, lui fa le conferenze stampa in divisa dell'esercito croato ("Ma senza essere armato", sottolineano all'epoca i suoi a chi fa notare che anche i croati non sono stinchi di santo). Da ultimo, la battaglia sull'eutanasia, da lui definita della morte con dignità. Una battaglia che, insieme a quella antiproibizionista, non gli è riuscito di vincere. Viene da chiedersi: come ha potuto fare tutto questo? La risposta sta nelle sue indubbie capacitàpolitiche: il Partito Radicale, con lui, è stata una gioiosa macchina da guerra di rivoluzionari di professione. Pannella al suo interno è tutto: segretario, fondatore, leader carismatico, selezionatore - grazie a un fiuto fuori del comune - di talenti. Stanzani, Spadaccia, Strik Lievers, oltre a una Emma Bonino con cui il rapporto è stato negli anni altalenante, sono una squadra micidiale di guastatori, contestatori pronti a sparare sul quartiergenerale. Ma senza furore, con la lucidità dei cavalli di razza. Pronti, su suo consiglio, a occupare la scena di un teatro romano tutti nudi (non è un bello spettacolo) contro il sistema dei partiti. Altra cosa sono invece gli eredi designati: il Maestro non lascia mai un delfino, ragion per cui Negri, Crippa e Cappato non assurgono alle vette della vera leadership. Discorso diverso per Francesco Rutelli, che però segue un percorso tutto suo, con un bagno clericale. E Pannella, a chi gli ricorda l'allievo che ha dirazzato, risponde con un sorriso di intima soddisfazione, perchè in fondo il ragazzo ha mostrato di avere della stoffa.
Sì, perché Marco Pannella persino con i cattolici ha un rapporto tutto suo. Loro lo considerano il padre di tutto quello che non hanno voluto, dall'aborto all'eutanasia alla droga libera alle coppie gay, e guardano inorriditi alla sua ammissione di bisessualità che giunge con la vecchiaia. Una sorta di Belzebù, se il nome non fosse gia' stato affibbiato ad altri fin dai tempi della Dc. Lui però sa aspettare, e quando a Roma piomba un gesuita venuto dagli estremi confini della Terra, è tra i primi a instaurarci un dialogo. Un giornale, tra lo stupito e il faceto, scrive di un Pannella convertito da Bergoglio. "Niente di tutto questo", dicono i suoi, "il fatto è che si capiscono al volo. Sono due credenti". Il che, c'è da giurarci, è vero, anche se la le professioni di fedi non collimano in molti punti. Non si può concludere, allora, il ricordo di Marco Pannella se non con uno spoiler (tecnica che a lui piaceva moltissimo). Inevitabilmente i giornali di domani, nelle loro vignette, lo rappresenteranno alle prese con San Pietro, che dovrà decidere se farlo entrare oppure no nel Regno dei Cieli. Non possiamo anticipare la decisione: appartiene al Mistero. Possiamo solo dire che non invidiamo per nulla il Principe degli Apostoli, perché con uno come Pannella come la metti, la metti male. Se lo tieni fuori, ti organizza subito un sit-in di protesta e ti blocca il Portone (come fece con "Il Messaggero" che nel 1994 lo aveva inserito tra le forze del centrodestra, in quanto elettoralmente alleato con il Polo delle Libertà). Ma se lo fai entrare, il caos tra le pecorelle è da dare per scontato. Temiamo che l'ultima parola la potrà dire solo Lui. A suo rischio e pericolo, sia chiaro. (AGI)