N on è la ricetta della pizza napoletana, rigorosamente disciplinata dall'attestazione di specificità Stg che definisce le materie prime e le modalità di cottura, ma sono bensì la cultura e l'identità di chi ci lavora a essere tutelati dal riconoscimento dell'Unesco. Dal 'masto pizzaiuolo', che insegna e tramanda la tradizione e sceglie i materiali per la lavorazione, al 'guaglione' che apprende e realizza le pizze, fino al 'masto fornaio', che sceglie la legna, controlla la temperatura del forno e gestisce le cotture con le diverse pale a disposizione, di legno e di ferro.
'Ammaccatura' e 'volo': le fasi della preparazione
Si trasmettono da generazioni le figure del rigoroso codice della preparazione della pizza. Una serie di passaggi a mano che comprendono lo 'staglio' (i panetti di pasta lievitata pronta a essere stesa), l''ammaccatura' (la prima spianata della pizza), il 'cornicione' (la creazione del bordo della pizza che delimita pizza e condimento) e lo 'schiaffo' (la seconda spianata con la pizza presa a schiaffi sul banco di lavoro, di marmo cosparso di farina). A questo si aggiunge per i pizzaioli piu' esperti il 'volo', che, facendo roteare la pizza in aria, permette di acquisire una maggiore ossigenazione e consistenza e che ha dato vita anche a gare di pizza acrobatica. Le fasi successive sono la distribuzione del condimento, partendo dal centro del disco di pasta secondo il caratteristico movimento a spirale, prima di posizionare la pizza nel forno a legna tradizionale con la fiamma fatta riavvampare grazie a trucioli e farla ruotare su se stessa per una cottura omogenea.
Lievito madre e mozzarella di bufala per ottenere l'Stg
La composizione della pasta, l'uso di lievito madre, la lenta e lunga lievitazione, l'impiego di olio evo e pomodoro di alcune varietà, sovrana tra tutte quella del San Marzano, e mozzarella di bufala o fior di latte di Agerola, nonché le attrezzature erano parte fondamentale del disciplinare per ottenere l'Stg (articoli 2 e 3), oltre alla storia antica del piatto, riconoscimento ottenuto dall'Ue il 5 febbraio 2010.
Una tradizione che risale al XVI secolo
Secondo stime di Coldiretti, che, insieme all'Associazione pizzaiuoli napoletani e la Fondazione Univerde guidata dall'ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio, ha concorso alla raccolta di oltre 2 milioni di firme per la candidatura dell'arte dei pizzaiuoli nella lista Unesco, solo a Napoli sono circa 3mila coloro che portano avanti una tradizione artigianale risale al 16esimo secolo. Il sito web di Coldiretti, tra l'altro, indica che per il 39% degli italiani la pizza è il simbolo culinario dell'Italia; pizza del resto è la parola italiana più conosciuta all'estero (8% del campione), rispetto a cappuccino e spaghetti (7%) ed espresso (6%), in un sondaggio on line della Società Dante Alighieri.
Un business da 12 miliardi di euro e 5 milioni di pizze al giorno
La pizza genera un business di 12 miliardi di euro in Italia, dove sono almeno 100 mila i lavoratori fissi nel settore, ai quali se ne aggiungono altri 50 mila nel fine settimana, secondo i dati dell'Accademia Pizzaioli. Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle circa 63mila pizzerie e locali per l'asporto, taglio e trasporto a domicilio, dove si lavorano in termini di ingredienti durante tutto l'anno 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro. La passione per la pizza nel mondo vede in testa alla classifica, secondo Coldiretti, gli americani che sono i maggiori consumatori con 13 chili a testa mentre gli italiani guidano la classifica in Europa con 7,6 chili all'anno, e staccano spagnoli (4,3), francesi e tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci che, con 3,3 chili di pizza pro capite annui, chiudono questa classifica.