S iamo lì, a pochi passi da un’opera secolare, custodita gelosamente in uno dei musei più controllati al mondo, un avviso ci diffida dall'avvicinarci l’oggetto ma noi non vorremmo fare altro che allungare la mano... toccarla. Perché? Fiona Candlin, professoressa di museologia del Birkbeck College di Londra, prova da anni a dare una risposta. E il motivo – come molti pensano – non è affatto legato al gusto del proibito.
Visitatori scatenati. Ecco cosa fanno
Candlin lavorava alla Tate di Liverpool agli inizi del 2000, quando fu approvata la legge contro le discriminazioni ai disabili. Grazie alla nuova normativa, i musei del Paese iniziarono a porsi delle domande su come rendere le opere accessibili ai non vedenti. Ma la professoressa non è soddisfatta del risultato. “La maggior parte delle cose che hanno fatto sono solo simboliche”. Tra il 2004 e il 2005, Candlin ha raccolto in un libro “Art, Museums and Touch” le sue osservazioni sulla tentazione delle persone di toccare le opere. La maggior parte dei visitatori della Tate, spiega:
- Tamburellano sugli oggetti
- Siedono sui basamenti
- Seguono con il dito il tratto dei geroglifici
- Danno una pacca sulla testa del cavallo di Alicarnasso
- Accarezzano la pancia di Settimio Severo
- Lasciano dolcetti al cane di Alcibiade
Fermarli è quasi impossibile: “Riesci a impedire a un centinaio di persone di toccare le opera e dietro ne arrivano altri 200”, ha spiegato a Candlin il guardiano di un museo.
Un’abitudine vecchia secoli
Le prime esposizioni di oggetti da collezione nacquero durante il Rinascimento. Si chiamavano “Camera delle meraviglie” o “delle curiosità” e attiravano persone che si radunavano davanti a questi tesori, li maneggiavano e ascoltavano i racconti dei collezionisti. E siccome il modello delle camere delle meraviglie influenzò anche le istituzioni pubbliche, fino a qualche tempo fa, nei musei era consentito toccare gli oggetti. “Nel XVIII secolo, i visitatori del British Museum prendevano in mano le opere d’arte”, assicura Candlin.
Oggi alcune gallerie offrono percorsi sensoriali, e alcuni dei più grandi musei hanno delle sezioni dedicate, come la Galleria del Tatto del Louvre e l’”Hands on desk” del British. Ma al di fuori di queste aree, toccare i capolavori dell’arte è assolutamente proibito.
Il nemico? Un esercito di mani sporche
Non potrebbe essere altrimenti, assicura Candlin. “Quando registri 4 milioni di visitatori all’anno non puoi lasciare che i visitatori facciano quello che vogliono”. Le persone “sono maldestre, hanno mani sporche e unte. Senza considerare che oggi amiamo indossare anelli, bracciali e orologi che al solo contatto danneggerebbero la superfice delicata delle opere”.
Ma perché lo facciamo?
Candlin lo ha chiesto direttamente ai trasgressori. Le motivazioni sono state delle più disparate:
- Senza toccarle non si riesce a percepire le opere come vere
- Colpa alla mancanza di vetri di protezione
- Nessuna giustificazione: “i sarcofagi sono duri. Sono fatti per durare”.
Ma per Candlin l’unico motivo reale è che “maneggiando un oggetto lo si comprende meglio. E’ tutta qui la differenza”. Nessuno è al riparo da questa tentazione: “Ho sempre il desiderio di toccare le opere. E a volte lo faccio”, ammette.