AGI - "Come funziona il cervello di un adolescente" è il nuovo libro del neuropsicologo e psicoterapeuta spagnolo, Alvaro Bilbao uscito in Italia per Salani.
El Pais definisce Bilbao "un fenomeno editoriale e punto di riferimento del parenting", già autore di libri di successo come "Il cervello del bambino spiegato ai genitori" e oggi pronto per accompagnare gli adulti nella fase più critica della crescita. AGI lo ha intervistato, provando a entrare nelle pagine di questo nuovo libro che attraverso metafore, racconti e riflessioni vuole aiutare i genitori a trovare le parole giuste per parlare con i ragazzi dei temi a loro cari.
Qual è stato lo spunto per questo nuovo libro?
Sono stati due. Il primo è che adesso i miei figli sono ormai adolescenti e quindi non ho più un’esperienza limitata alla mia professione di psicologo, ma ho anche un'esperienza come papà da poter raccontare. L'altro spunto è che sono più di dieci anni che tengo delle conferenze nelle scuole superiori che si rivolgono agli adolescenti e c'è una conferenza che ha lo stesso titolo del libro “Come funziona il cervello di un adolescente” e ogni volta che vado per una conferenza in una scuola superiore i professori, i direttori mi dicono 'ma guarda queste tematiche non interesseranno affatto ai ragazzi' e poi invece viene fuori che gli interessano e come. Molti genitori mi chiedono aiuto perché vedono che i loro figli soffrono in qualche modo e hanno bisogno di ricevere delle parole e dei consigli per aiutarli.
Lei parla di una generazione ansiosa, a cosa è dovuta questa ansia?
È dovuta a diversi fattori. Il primo crediamo che abbia a che fare con l'introduzione e l'avvento degli schermi che fanno sì che ragazze e ragazzi abbiano un'iperattivazione a carico dei circuiti della ricompensa cerebrale, che sappiamo sono strettamente legati all'ansia. Sappiamo anche che i ragazzi in questo caso hanno ricevuto un'educazione molto gentile, molto affettuosa, molto amorevole, ma senza disciplina, senza capacità di attesa e con poca capacità di persistenza, con poca tenacia. I social network da parte loro provocano una necessità di paragonarsi continuamente ad altri, ma non ad altre persone 'normali', ma a persone con le quali non è giusto paragonarsi, come gli influencer, i VIP, gli sportivi professionisti. Tutto questo sommato, fa si che i ragazzi sentano verso di loro ci sono maggiori aspettative, maggiori esigenze, si sentono angosciati e sentono di avere e hanno, di fatto, una capacità di affrontare le cose minore.
Più che angosciati forse dovremmo parlare di agitati, nervosi, neurologicamente più attivi, più propensi all'azione.
Lei divide il libro in temi. A queste cose che adesso ha appena raccontato possiamo imputare anche quella scarsa capacità decisionale che hanno i ragazzi di costruire il proprio futuro?
Quello che sappiamo determinare o danneggiare la capacità decisionale è il livello di iperprotezione messo in campo dai genitori. Abbiamo molti studi a disposizione che ci confermano, che dimostrano che maggiore la iperprotezione da parte dei genitori, inferiore è la capacità decisionale o maggiore l'insoddisfazione nei confronti delle decisioni prese. Ad esempio c'è uno studio molto interessante che ci dice come gli adolescenti i cui genitori che hanno ricevuto una maggiore influenza da parte dei genitori nella scelta per esempio degli studi universitari sono quelli che poi sono più insoddisfatti dagli studi intrapresi. Quindi bisogna separare bene, bisogna differenziare tra l'aiutare, sostenere e l'iperproteggere.
Lei mi raccontava che spesso incontra gli studenti e che gli studenti sono molto interessati a questi incontri.
È forse anche questa una richiesta di aiuto?
Io credo che gli adolescenti siano molto interessati ad apprendere come prendersi cura del proprio cervello. Di fatto, ragazze e ragazzi che hanno dei genitori che non hanno insegnato loro, per esempio su quanto dormire e sull'uso dei device, possono a un certo punto perdere interesse nei confronti di quello che i genitori hanno da dire loro.
E tuttavia, benché sembri contro-intuitivo, i figli che hanno genitori che mettono loro più limiti, che per esempio sanciscono delle norme sull'uso degli schermi in tempi a disposizione, che sono molto decisi nel prefissare il numero di ore di sonno necessarie, sono più legati ai loro genitori.
Quindi c'è una generazione che chiede di essere anche un po' guidata?
Ci troviamo di fronte a una generazione che ha delle difficoltà nell'orientarsi, nel trovare la strada. Perché la quantità di offerte in termini di formazione, la quantità di offerte a portata di mano con gli schermi fanno si che si sentano ansiosi.
Questo lo sappiamo grazie agli studi fatti molti anni fa, molto interessanti, in cui è stato possibile rilevare che se ragazze e ragazzi che devono scegliere o possono scegliere tra 20 sapori diversi di gelato, erano più nervosi e insoddisfatti rispetto a quelli che potevano scegliere fra sei gusti di gelato. A volte un grande ventaglio, una grande gamma di possibilità davanti a noi può, benché positivo, può creare ansia.
In Italia stamattina abbiamo registrato l'ultimo caso di un adolescente che si è suicidato per una challenge sul web. Si moltiplicano i casi di questo tipo. Come può un genitore accorgersi di quello che sta accadendo e intervenire?
Ci sono molte cose che potremmo fare e che spesso non facciamo. In primis, dobbiamo poter aver accesso ai telefono dei nostri figli. Poi bisogna posticipare la comparsa del cellulare nelle loro mani fino a un'età idonea e posticipare la comparsa dei social network fino a un'età ancora successiva. Faccio un esempio concreto, un bambino di 12 anni o una bambina di 12 anni non è pronto ad avere un cellulare, ma se limitiamo l'uso di questo cellulare al fine settimana e a whatsapp questa cosa può essere gestibile. Quando avrà 14-15 anni possiamo aumentare le applicazioni a cui possono avere accesso, tipo Instagram o altri social come Telegram o Snapchat. Devono arrivare più tardi i loro cellulari perché ognuno di questi social ha i propri rischi. Devono imparare a dominare e controllare i social più semplici prima di passare a questi. Ma è altrettanto importante avere un buon rapporto con i figli.
Qualche consiglio pratico per gli adulti?
Dobbiamo sapere che cosa fanno con gli amici e che cosa fanno sui social network. È normale che gli adolescenti abbiano comportamenti a rischio, che si tratti di andare troppo forte in bici o suonare citofoni, ma questi sono comportamenti a rischio in qualche modo tollerabili e noi dobbiamo fare la massima attenzione per vedere se per caso i vostri figli si trovano all'interno di questi limiti accettabili. Lo scorso fine settimana, mia figlia che ha 13 anni è andata al centro commerciale con delle amiche e al ritorno mi ha raccontato che alcune di loro avevano rubato dei dolcetti. Il fatto che mia figlia mi racconti un episodio del genere, mi dà fiducia nel senso che mia figlia è in grado, è pronta a raccontarmi queste cose, che ha fiducia totale in me per capire fino a che punto sono pericolose le azioni che compie.
A volte i genitori sono vittime di una società malata a causa dei social e non devono sentirsi colpevoli. Ma quello che sì dobbiamo fare è prestare davvero tantissima attenzione, essere molto vicino ai nostri figli, e cercare di avere una conversazione il più aperta possibile. Alcuni segnali d'allarme potrebbero risiedere nel fatto di non conoscere i loro amici, che abbiano solo amici virtuali e che passino tantissimo tempo nella loro stanza. Se prima di dormire continuano a stare sui social, se fanno fatica a condividere tempo con il resto della famiglia, lì dobbiamo mettere dei limiti e aumentare la vigilanza.