AGI - “Cielo!”, esclama uno dei Sette Nani quando Biancaneve gli rivela di aver appena saputo che suo padre, il re vedovo e risposato con la malefica ambiziosa impossessatasi del regno, è stato ucciso invece che essere in autoesilio nel Sud. Ecco, la battuta più infelice di questo remake in live action dell’indimenticabile film d’animazione Disney del 1937, che con “Fantasy” è il solo della categoria a vantare una stella nella Walk of Fame di Hollywood. Perché dà una dimensione da signora della porta accanto a un personaggio che, insieme con i sei comparetti, non è uno qualunque incontrato nel tran tran quotidiano sul pianerottolo di casa, ma un abitante dei boschi, minatore di favolose pietre preziose, a sua volta figura da incantesimo.
Questo “Biancaneve” 2025 insomma ha pochi sprazzi di fascino, e alla visione sul grande schermo (dal 20 marzo è nelle sale italiane, regia di Marc Webb, quello di The Amazing Spider-Man) conferma i dubbi e le polemiche che lo hanno accompagnato durante la sua faticosa gestazione: la lavorazione data dal 2016, ha sopportato parecchie riscritture, prolungatasi per interruzione del set a causa dello sciopero di Hollywood e per la contorta scelta dei protagonisti. In primis la regale fanciulla vittima della mela avvelenata: è Rachel Zegler (vista tra l’altro in West Side Story), origini colombiane, dunque dalla pelle ambrata invece che “bianca come la neve”, così recita l’originale dei Fratelli Grimm e così da sempre tutti i bambini sanno. Zegler che poi più volte sul suo account su X ha scritto a favore della Palestina, mentre la sua antagonista in questo remake Disney del film d’antan ma pur sempre uscito dalla fantasia sconfinata del capostipite Walt, la regina cattiva insomma, è Gal Gadot (Wonder Woman”), israeliana, che ha manifestato il suo sostegno a Tel Aviv dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Ma è tutta la filosofia di “Biancaneve” 2025 a fiaccare il remake. Vale a dire l’appiattimento sul “politicamente corretto”, sul “buonismo”, sulla subordinazione alla mania “woke” che ha contagiato gli States, conducendoli ad estremismi ideologici sconfinati nella cancel culture. Prendete appunto i Sette Nani (peraltro aboliti nell’odierno titolo): non sono in carne ed ossa ma corpi e facce ricreati in computer grafica, tenendo presenti le sembianze di quelli del 1937. Questo per scansare ogni appunto di “body shaming” e per non turbare la comunità dei “diversamente alti”. Epperò si escogita così una scorciatoia che comunque discrimina. Come hanno fatto notare attori nani, che hanno rivendicato di non aver avuto l’opportunità di essere ingaggiati in ben sette ruoli.
Ancora, il travisamento della favola si allarga a uno dei suoi colpi di scena più crudi sì, ma narrativamente importanti, a dire della malvagità di Grimilde: lei aveva chiesto al Cacciatore di uccidere Biancaneve e di portarle, a dimostrazione della missione compiuta, il suo cuore. Ma il sicario, preso da pietà, lascia libera nella foresta la principessa e al posto del suo cuore reca in un cofanetto quello di una cerbiatta. Ebbene, in questa “Biancaneve” nella scatola viene sistemata una mela, rossissima come un cuore, ma pur sempre una mela…Oltretutto uno di quei frutti che a profusione vengono colti nel reame, specie ai tempi del saggio e buon sovrano e della amata regina, con feste che coinvolgono tutto il popolo impegnato assieme ai coronati nella preparazione di torte di mele manco fossimo nella contea del Mulino Bianco.
Un regno “civile” ricorda con piglio da oratore Biancaneve quando, risvegliata dal bacio-antidoto, affronta la malvagia Grimilde. Così la tenera, romantica principessa si trasforma in leader, con una missione politica, riportare il buon governo in città e scacciare la reproba. Anche perché quello che l’ha risvegliata non è un principe ma un ladro, anzi Zegler lo ha definito uno “stalker” ( Andrew Burnap) che ruba per necessità in un regno impoverito dalla Matrigna, la quale peraltro prima di architettare il piano assassino aveva ridotto Biancaneve a sguattera impegnata a pulire i pavimenti della reggia con una sorta di improbabile mocho, invece che chinata in ginocchio a lustrare e lustrare. Poi Biancaneve incontra di nuovo il suo futuro bello nel bosco, a capo di una banda di briganti, una sorta di Robin Hood che ruba ai ricchi per donare ai poveri: e lui la punzecchia per le sue nobili origini e i suoi regali “problemucci” mentre il popolo è schiacciato e affamato…
Insomma, la favola senza magia. Ma con citazioni dell’opera originale: l’abito di Biancaneve è quello che tutti conosciamo, a parte le maniche lunghe e le scarpette rosse; la canzone dei Sette Nani (“Ehi-ho, ehi-ho, andiamo a lavorar…”) è ora come allora (le nuove canzoni originali invece sono di Benj Pasek e Justin Paul). Sono omaggi-boomerang. Infatti, a confermare che la rivisitazione 2025 regge se mantiene l’aura fantastica, i momenti più convincenti sono quelli appunto irreali. Il mascherone che si materializza nello Specchio Parlante, gli animaletti del bosco alleati di Biancaneve, la trasformazione della Regina in vecchia viandante, i fumi inquietanti della pozione che rende mortale la mela. L’incantesimo che appunto incanta.