AGI - C’era un pizzico di eccellenza italiana nella folgorante vittoria del Giappone sulla Russia nella battaglia navale di Tsushima (27-28 maggio 1905). È noto che gli incrociatori corazzati «Kasuga» e Nisshim» erano scafi della Classe Garibaldi, progettati in Italia e costruiti nei cantieri navali della Ansaldo di Genova-Sestri pochissimi anni prima, alla fine dell’Ottocento; assai meno noto, invece, che una delle chiavi del clamoroso successo dell’ammiraglio Togo fosse frutto dell’alta tecnologia italiana. Il conte Sigmund Fago Golfarelli, generale decorato di medaglia d’argento al valor militare scomparso nel 2005, nel 1995 rivelò che tra i cimeli pervenuti dalla sua famiglia conservava due preziosissimi vasi inviati a Roma dall’imperatore Mutsuihito il quale ne aveva fatto dono quale ringraziamento per aver contribuito a quella vittoria che rivelò il Sol Levante come potenza mondiale dopo essere uscito da pochi anni da una struttura medioevale. La guerra contro la Russia di Nicola II era divampata dal contrasto di espansione sullo scacchiere orientale. All’epoca il Giappone non era accreditato come militarmente competitivo, e gli strateghi di Pietroburgo troppo tardi si accorsero dell’errore di essere entrati in rotta di collisione col temibile impero del Sol Levante.
L’impresa impossibile di portare aiuto a Port Arthur partendo dal Baltico
Con la strategica base di Porth Arthur, nel Canale di Corea, attaccata e assediata dai giapponesi, che vi avrebbero distrutto l’intera Flotta del Pacifico zarista, i russi non trovarono di meglio che inviarvi in soccorso nell’autunno del 1904 la Flotta del Baltico agli ordini dell’ammiraglio Zinovij Rožestvenskij. Un’impresa epocale: una parte era entrata nel Mediterraneo da Gibilterra e poi attraverso il canale di Suez aveva fatto rotta sul Madagascar; un’altra aveva doppiato il Capo di Buona Speranza per circumnavigare l’Africa. Agli inizi di gennaio del 1905, centoventi anni fa, Rožestvenskij al largo del Madagascar aveva ricostituito la poderosa formazione, espressione della quinta marina del mondo, con 7 corazzate, 2 incrociatori corazzati e 6 leggeri, 9 cacciatorpediniere e naviglio d’appoggio. La notizia della fine dell’assedio di Port Arthur con la resa russa del 5 gennaio rendeva inutile quella gigantesca missione costellata sin dall’inizio da ogni genere di problema, a partire dall’aver cannoneggiato innocui pescherecci inglesi irritando Londra sino alle soglie del conflitto aperto, difficoltà di approvvigionamento di carbone e cibo fresco, scarso amalgama tra le navi e tra gli equipaggi, preparazione al combattimento approssimativa e scollamento tra ufficiali ed equipaggio. Persino la manutenzione era un‘impresa, per l’eterogeneità dei mezzi. I tempi lunghissimi di navigazione, poi, avevano sfaldato ogni coesione e ogni concetto di efficienza bellica. I russi potevano mantenere in media una velocità di crociera e di manovra che era la metà di quella della flotta giapponese, moderna e ben addestrata, oltre che ottimamente comandata dall’ammiraglio Togo che si era formato in occidente.
L’implacabile precisione delle batterie e il tiro al bersaglio contro la marina russa
Da Singapore, per raggiungere Vladivostok, unica base nel Pacifico a disposizione, Rožestvenskij era costretto a forzare il blocco nipponico sperando di riuscire a passare inosservato nel Canale di Corea, e delle tre rotte possibili scelse Tsushima: era l’opzione più logica, ma anche quella che Togo riteneva la più probabile. Fu una nave ospedale a essere intercettata dalla ricognizione giapponese e a far scatenare la battaglia, che Togo gestì magistralmente con manovre esemplari e un tiro di precisione che fece strame delle navi zariste. E proprio sulla precisione, oltre all’addestramento accurato, arrivava il contributo del conte Fago Golfarelli, il quale aveva elaborato un sistema di puntamento all’avanguardia realizzato dalle Officine ottiche Galilei. Era stato offerto alla Regia Marina affinché ne dotasse le sue artiglierie, ma essa declinò; il Giappone, invece, non si fece sfuggire l’invenzione e ne munì la flotta di Togo (4 corazzate e 26 incrociatori), assieme a un nuovo esplosivo creato dagli americani. La battaglia divenne un gigantesco tiro al bersaglio. Quando il cannone cessò di tuonare la Flotta del Baltico non esisteva più: 21 navi colate a picco dalle batterie nipponiche, 13 tra catturate e disarmate. Circa diecimila le perdite russe, tra marinai uccisi e feriti, dieci volte di più di quelle giapponesi, che peraltro non lamentavano alcun affondamento. Lo stesso Rožestvenskij era stato gravemente ferito nei combattimenti, e verso il quale Togo aveva tenuto un comportamento cavalleresco accogliendolo sull’ammiraglia «Mikasa». Quella di Tsushima sarebbe stata l’ultima grande battaglia navale tra corazzate.
La riconoscenza e il dono dell’imperatore al conte Fago Golfarelli
Il disastro zarista aveva fatto scattare l’allarme nelle cancellerie occidentali, anche perché era la prima volta che una potenza veniva battuta e umiliata da una nazione dell’estremo oriente, per di più di recentissima modernizzazione. Le diplomazie si attivarono per limitare i danni, anche d’immagine, e le ripercussioni. Il trattato di Portsmouth, con la mediazione interessata del presidente statunitense Theodore Roosevelt e della Gran Bretagna, fu sfacciatamente dalla parte di Pietroburgo, ridimensionando il successo giapponese e mitigandone le pretese di espansione territoriale col pretesto di voler salvaguardare i diritti della Cina. Nel Sol Levante la vittoria, che ne aveva rivelato la potenza militare, aveva avuto un alto prezzo in vite umane e aveva aperto una voragine nei conti pubblici; ma nello stesso tempo lo choc aveva fatto entrare ancora più in profondità nella società della Russia zarista il cuneo rivoluzionario, con l’ammutinamento dell’incrociatore «Potëmkin», le rivolte militari e contadine soffocate nel sangue, e la sollevazione di Mosca e di altre città minori stroncate con la forza. L’imperatore giapponese non aveva dimenticato però quanto fosse stato prezioso l’apporto delle ottiche di precisione realizzate in Italia e ordinò di inviare a Roma nel palazzo del conte Fago Golfarelli due antichissimi vasi artistici come segno tangibile della sua riconoscenza.