AGI - Se ne andò in anonimato così come era vissuto nella sua breve stagione sul trono, durata nemmeno due anni. L’ultimo re di Napoli aveva certificato la fine di un regno antico che non aveva saputo cogliere il vento della modernità per la sua stessa sopravvivenza. Francesco II di Borbone si spegneva il 27 dicembre 1894 ad Arco, nel Trentino allora Impero austro-ungarico, agli sgoccioli del XIX secolo, a oltre trent'anni dall’esilio. Nella storia che l’aveva travolto non ha lasciato tracce significative perché alla storia non ha dato alcuna impronta, né a quella personale né a quella del Regno delle Due Sicilie che gli si disintegrò tra le dita, forse il meno colpevole tra tutti quelli che gli stavano attorno. Tradito, illuso, ingannato o abbandonato da coloro che dovevano consigliarlo e guidarlo, che invece avevano fiutato il vento della storia alzando le vele in favore.
Timido, taciturno e di rigida educazione religiosa, da subito fu Franceschiello
In privato, come faceva il popolo, lo chiamavano Franceschiello: in quel diminutivo c’era la sua dimensione. Il suo esercito che ne 1860 o non si batté o si batté male contro le camicie rosse garibaldine, venne da subito chiamato “esercito di Franceschiello”, che nella lingua italiana è l’archetipo dell’armata Brancaleone dii Mario Monicelli. Generali pusillanimi, incapaci o venduti al prezzo di gradi e privilegi da mantenere col nuovo corso sabaudo avviarono il destino del re e della monarchia al disastro.
Francesco quasi sempre gli eventi li subì e non li determinò. Sposò per procura, come si usava allora, la diciottenne principessa Maria Sofia di Baviera, e gli andò di lusso, ma forse non lo capì: la futura regina, sorella di Sissi andata in sposa a Francesco Giuseppe d’Asburgo, era bella e intelligente, e aveva pure quel carattere che difettava al marito. Mentre lui era sopportato e trattato con sufficienza, lei era proprio osteggiata dalla decadente corte napoletana. Nell'intimità era tenuta anche lontana dal talamo regale dal consorte, affetto da una fimosi che per nove anni gli impedì di consumare le nozze. A matrimonio appena celebrato, nel 1859, il re Ferdinando II si ammalò e morì, e il figlio taciturno, introverso, tristanzuolo e pio salì sul trono, come era scritto.
L’acquasanta del Papa e l’acqua salata dominata dalla sua flotta non lo protessero
Non comprese o non gli fecero comprendere le prospettive dell’offerta di Cavour per un’alleanza “italiana” che prevedeva la spartizione di buona parte dello Stato della Chiesa, ipotesi per lui, cattolicissimo, inaccettabile. Come i suoi avi riteneva che il suo regno fosse protetto a nord dall'acquasanta del Papa e per il resto dall’acqua salata dominata dalla potente flotta napoletana da guerra e commerciale; e poi Vittorio Emanuele II era suo cugino, e non ne intravide la minaccia portata invece in via indiretta attraverso Giuseppe Garibaldi (se le cose fossero andate male, Cavour lo poteva scaricare in un attimo).
Quanto alle riforme per modernizzare lo Stato, ne aveva qualcuna in mente ma non erano in cima alle sue preoccupazioni, e quando si decise era troppo tardi. La sua flotta non fu in grado di intercettare il “Piemonte” e il “Lombardo” con a bordo i mille in camicia rossa, che sbarcarono a Marsala senza che le batterie potessero inquadrarli e affondarli perché sulla linea di tiro si erano piazzate navi inglesi per caricare vino. L’Inghilterra aveva interesse alla creazione di un regno d’Italia non abbastanza forte da preoccupare il suo dominio nel Mediterraneo ma sufficiente a dare fastidio alla rivale Francia. Garibaldi, poi, godeva di ampio credito e Londra e, essendo massone, pure tra i liberi muratori.
Franceschiello vide il dilagare di quegli irregolari contro un esercito che avrebbe dovuto farli a pezzi, e vide tutte le crepe che annunciavano il crollo, irreversibile con l'arrivo in forze dei piemontesi del cugino Savoia. Napoli venne abbandonata per evitare un inutile spargimento di sangue e Garibaldi se ne proclamò dittatore; giusto il tempo di fare arrivare i piemontesi che evitarono la deriva repubblicana e misero le mani sul tesoro del Banco di Napoli che andava a rimpinguare le esauste casse torinesi dissanguate da due costosissime guerre d’indipendenza.
La fiera regina Maria Sofia eroina a Gaeta assediata dai piemontesi
La nobiltà, come accaduto in Sicilia, era passata in blocco dalla parte dei Savoia, e in anticipo sul Gattopardo di Tomasi di Lampedusa cambiò tutto affinché non cambiasse nulla. A Gaeta, cinta d’assedio per tre mesi, i pantaloni li indossò Maria Sofia, e non per modo di dire. Fu lei l’anima della resistenza, instancabile nel dare coraggio ai soldati rimasti fedeli e a curare le loro ferite, eroina di una battaglia simbolica persa in partenza. L’inutilmente complicatissima bandiera delle Due Sicilie veniva ammainata sul Tirreno ma rimaneva a garrire al vento nei lontani Abruzzi, a Civitella del Tronto: mentre il 17 marzo 1861 in parlamento a Torino veniva proclamato il Regno d’Italia, la fortezza difendeva il passato combattendo.
Poi finì tutto il regno, che non era né quello dei fiori secondo l’agiografia e neppure la negazione di Dio eretta a sistema di governo, stando alle parole di Lord Gladstone. I generali passarono come un sol uomo sotto il tricolore e i soldati che si rifiutarono di cambiare bandiera finirono al nord nel famigerato carcere delle Fenestrelle che anticipò alcuni temi dei lager e dei gulag. Molti di essi vennero liberati per essere “regalati” agli americani impegnati nella guerra civile, e infatti gli italiani combatteranno sia nelle fila unioniste sia in quelle confederate per una causa che non era la loro.
Il lungo esilio e il sogno di tornare nell’amata Napoli
Franceschiello e la moglie troveranno rifugio dapprima a Roma, dove alla regina ammirata in tutta Europa per il coraggio dimostrato a Gaeta non sarà risparmiato l’oltraggio della diffusione di fotomontaggi pornografici; quindi a Parigi, sognando una improbabile restaurazione che non avverrà né alimentando il brigantaggio (vi verranno impiegate più truppe e si conteranno più vittime che nelle tre guerre di indipendenza) né in altro modo. Dell'aristocrazia che ai prostrava e sdilinquiva di fronte ai reali, solo il modesto duca di Popoli li seguirà in esilio nella tappa intermedia del lago di Starnberg, in Baviera. Francesco e Maria Sofia si illuderanno anche sulla continuità dinastica, ma la loro unica figlioletta Maria Cristina Pia sopravviverà solo tre mesi.
Non ci sarà nessun altro Borbone in linea diretta, anche se non mancheranno i pretendenti al trono virtuale, così come accadrà peraltro con i Savoia dopo il 1946. La figura di Francesco, battezzato nel segno esplicito del Santo di Assisi (faceva parte del nome), sarà rivalutata dalla Chiesa nel 2000 con la proclamazione a Servo di Dio. Maria Sofia si spegnerà il 19 gennaio 1925 a Monaco di Baviera. Quasi nessuno l’aveva riconosciuta, invecchiata com’era, quando durante la prima guerra mondiale prestava assistenza ai soldati italiani prigionieri nei campi di concentramento, si rivolgeva loro in un italiano irrigidito dalla pronuncia tedesca e ingentilito da espressioni napoletane, e chiedeva sempre da dove provenissero, per illuminarsi quando riconosceva località del suo regno perduto.
Il nemico Vittorio Emanuele III, quando era nato, come erede al trono aveva ricevuto il titolo di principe di Napoli, per la prima volta in alternanza con il tradizionale principe di Piemonte. Non ce ne sarà nessuno altro. I resti degli ultimi Borbone, riuniti nella pietà della morte, riposano a Napoli nella basilica di Santa Chiara.