AGI - È stato l’uomo delle grandi vittorie e delle grandi sconfitte, delle decisioni giuste e delle decisioni sbagliate. È stato l’uomo che ha battuto Hitler ed è stato battuto nelle elezioni. Se esistesse una classifica dei grandi statisti di ogni epoca, un posto sul podio spetterebbe di certo a Winston Churchill. Con tutte le sue contraddizioni ha fatto la storia, e il mondo lo deve ringraziare per averlo salvato dall’incubo nazista, anche se non gli riuscì di scacciare quello comunista che avversava con altrettanta determinazione.
Gli inglesi ripagarono con l’ingratitudine nell’urna il premier che aveva promesso loro solo fatica, sudore, sangue e lacrime nella guerra per la sopravvivenza contro la Germania, e al Terzo Reich che non si sarebbe mai arreso: era stato di parola, come sempre nella vita, anche nei paradossi, anche nelle frasi sferzanti e nell’acume dell’aforisma. Fu primo ministro solo per 9 anni, e cinque furono quelli del secondo conflitto mondiale, ma la politica britannica per mezzo secolo, e quella mondiale, non sarebbero state le stesse senza di lui. Giornalista di vaglia, scrittore generosamente insignito nel 1953 del Premio Nobel per la letteratura, militare caparbio ma non sprovvisto di buon senso e di lungimiranza, era nato per comandare, su di sé e su gli altri.
Antica nobiltà inglese e sangue americano
Winston Leonard Spencer Churchill venne alla luce il 30 novembre di 150 anni fa, nel 1874, discendente da una antica famiglia nobile (i duchi di Marlborough) e di madre statunitense di ottima famiglia, Jennie Jerome. Era l’esempio vivente che, come diceva lui, inglesi e americani erano popoli separati dalla stessa lingua, e lui alla lontana aveva pure gocce di sangue in comune con George Washington e alcuni presidenti degli Usa.
Non dimostrò né precocità negli studi né disciplina, ma costanza e profitto nelle materie che davvero lo interessavano, come la storia, e in seguito colmerà le lacune culturali studiando i classici e tutto quanto gli piaceva. Fu il padre a indirizzarlo alla carriera militare, non intravedendo per lui un futuro accademico, e Churchill riuscirà a diplomarsi cadetto di cavalleria. In uniforme ha lo stesso sguardo fiero che aveva mostrato nella foto a sette anni, e che faceva intravedere in lui un leader. Neanche lo spirito d’avventura gli difettava: corrispondente di guerra a Cuba dalla parte degli spagnoli, poi in India, in Egitto, in Sudan al seguito dell’esercito e quindi in Sudafrica nella guerra angloboera, ufficialmente come giornalista. Quando posava la spada prendeva la penna e scriveva. Fatto prigioniero da una Legione italiana che combatteva al fianco dei coloni olandesi, finì in carcere a Pretoria ed evase. Invece di tornare in patria si unì alle truppe britanniche e partecipò alla battaglia che valse la vittoria in quella guerra che raccontò con le sue cronache pubblicate in volume.
Il Novecento tra istanze sociali e politica internazionale
Il nuovo secolo fu per lui quello dell’ingresso in parlamento e della consacrazione politica, nelle fila del partito conservatore prima e di quello liberale poi, denotando uno stile efficace e rare qualità retoriche, arrivando a essere sottosegretario, quindi ministro. Pragmatico e decisionista, non fu estraneo a una sensibilità sociale ed è sua l’istituzione del salario minimo e delle otto ore lavorative giornaliere per i minatori. Era l’uomo nuovo, che attirava critiche e polemiche, capace di gestire con piglio gli affari interni e con delicatezza la creazione dei servizi segreti, tanto da scavalcare il parlamento. Artefice dell’ammodernamento della flotta per renderla sempre superiore a quella imperiale tedesca, nonché dello sviluppo dell’aviazione, dal 1911 al 1915 ricoprì il ruolo di primo lord dell’ammiragliato.
L’eclatante fallimento dello sbarco a Gallipoli, di cui era stato strenuo promotore, l’obbligò alle dimissioni. Ritornerà sulla scena politica nel 1917 come ministro degli approvvigionamenti. Vinta la guerra contro la Germania predicò moderazione con gli sconfitti, per timore di una rivoluzione comunista sul modello bolscevico russo che a suo dire andava «strangolato nella culla». Nel 1919 divenne ministro della guerra e si adoperò nel sostenere le armate bianche antibolsceviche e la Polonia impegnata nella guerra contro l’Armata Rossa. Con vigore combatté pure gli indipendentisti irlandesi, col quale però raggiungerà nel 1921 un accordo per la nascita dello Stato Libero. Era apertamente sfavorevole allo smantellamento dell’impero ottomano e scettico nel fare della Palestina terra di immigrazione degli ebrei, ai quale comunque andava la sua simpatia. Fu artefice della nascita dell’Iraq e della Giordania e diventerà anche cancelliere dello Scacchiere.
L’irriducibile protagonista della lotta al nazismo
Sembrava che Churchill avesse mancato l’appuntamento con la storia nella grande crisi che sfocerà nella seconda guerra mondiale. Era infatti all’opposizione quando a Monaco nel 1938 Gran Bretagna e Francia consegnarono la Cecoslovacchia a Hitler innescando il conflitto di lì a pochi mesi: con lucidità pronunciò le profetiche parole «potevate scegliere tra la guerra e il disonore, avete scelto il disonore e avrete la guerra».
Nell’ora più buia venne chiamato a succedere come premier al debole e malato Neville Chamberlain, artefice e simbolo dell’appeasement, e si dimostrò il “leone di Gran Bretagna”. Resistette alle spallate di Hitler con la battaglia aerea d’Inghilterra che impedì lo sbarco dei tedeschi, accolse i governi in esilio dei Paesi occupati dalla Wehrmacht, guidò la lotta dei popoli liberi. Col sigaro all’angolo della bocca e due dita a simboleggiare la “v” di vittoria, divenne simbolo di irriducibilità. Finché poté si oppose anche a Stalin e al suo disegno di predominio in Europa, ma la realpolitik che una volta tanto subì invece di determinarla lo portò a tradire quella Polonia per la cui libertà e indipendenza l’Inghilterra era entrata in guerra nel 1939. Neanche col popolo italiano fu tenero, pur avendolo blandito con la propaganda di Radio Londra insistendo sulle responsabilità di Mussolini e del fascismo. Disse e scrisse che gli italiani sapevano fare tutto ma insistevano con l’unica cosa che non sapevano fare, ovvero la guerra, dove andavano come a una partita di calcio, e alla partita di calcio come alla guerra. Gli inglesi che aveva difeso dal nazismo lo mandarono a casa dopo la vittoria, quando l’impero britannico inizierà a scricchiolare e l’Inghilterra perderà il ruolo di superpotenza mondiale.
A casa dopo le elezioni e il ritorno in un mondo nuovo
Leader dell’opposizione dal 1945, l’indomito Churchill sarebbe tornato premier nel 1951 e sarebbe rimasto in sella fino al 1955, in un mondo cambiato, dov’era scesa la cortina di ferro, un’immagine letteraria da lui stesso coniata, bipolare e con gli spasmi della decolonizzazione. I sigari, l’alcol che beveva smodatamente ma senza mai perdere di lucidità, la passione per il gioco d’azzardo e per l’azzardo in politica mantenendo sempre una visione razionale delle cose, assieme a difetti caratteriali e anacronismi che si inserivano nella capacità di analizzare e affrontare i problemi, non ne avevano però mai intaccato il ruolo e l’autorevolezza di gigante delle relazioni internazionali. Quando morirà, nel 1965, la regina Elisabetta II gli farà tributare solenni funerali di stato.