AGI - Tra le tante esperienze della sua vita avventurosa Camillo Ricchiardi aveva anche quella di giornalista corrispondente di guerra; quando gli avevano condotto davanti un “collega” inglese accusato di spionaggio e destinato alla fucilazione aveva dato l’ordine di lasciar perdere. Il colonnello della Legione volontaria italiana, che con una fulminea operazione militare aveva immobilizzato e catturato un treno blindato britannico con pochi colpi di fucile indirizzati contro i finestrini, quel 15 novembre 1899 risparmiò un giovane destinato a fare la storia: Winston Churchill, che avrebbe compiuto venticinque anni due settimane dopo.
Era in abiti civili e si era disfatto della pistola semiautomatica Mauser C96 che portava con sé alla vista dei fucili spianati dagli italiani, ma la mossa non era passata inosservata: era stato perquisito ed erano spuntati fuori due caricatori. Le pallottole all’interno erano le famigerate dum dum, proiettili esplosivi ideati per la caccia agli elefanti e ai rinoceronti, ripugnanti per i soldati che solitamente passavano per le armi chi veniva sorpreso a usarli (saranno proibiti nelle convenzioni internazionali); il fatto che fosse in possesso di un’arma, come i militari, lo faceva pure considerare una spia. Churchill negava con forza di essere un agente segreto e Ricchiardi gli aveva creduto, o aveva voluto credergli.
Al comando di una Legione tricolore schierata al fianco dei coloni olandesi
L’ufficiale italiano aveva 34 anni, indubbie doti di comando e tanto buon senso. Quel giorno gli bastava la soddisfazione del cocente smacco inflitto agli inglesi con la presa di quel convoglio blindato in marcia da Ladysmith a Colenso, nel Natal, dopo che i suoi legionari avevano fatto saltare i binari provocando il deragliamento della locomotiva, e sorpreso la guarnigione che non aveva potuto far altro che arrendersi.
Oltre ai militari c’erano anche alcuni civili, una sessantina di persone in totale, tra cui il corrispondente del Daily Mail, che invece di essere messo al muro era stato avviato assieme agli altri e ai soldati a un campo di prigionia a Pretoria. Da qui Churchill sarebbe pure riuscito a evadere, ma nelle sue memorie, pur non tacendo l’episodio, stranamente ometterà di scrivere che a farlo prigioniero erano stati i volontari italiani. Non erano tantissimi, un paio di centinaia, su una colonia di immigrati in Sudafrica di 5-6.000 persone.
Nella seconda guerra anglo-boera l’Italiaansche Verkennings Corp, come era chiamato in afrikaans lingua dei coloni olandesi, era un’unità di ricognizione specialista di colpi di mano. I legionari erano infatti fucilieri provetti, ottimi cavalieri, con esperienza militare, per di più assai abili nel maneggiare gli esplosivi perché molti di loro avevano lavorato nella fabbrica Nobel di Avigliana, nel Torinese, e dopo la crisi molti addetti avevano trovato un’occupazione nello stesso settore a Johannesburg e altri centri.
Una vita avventurosa dal Siam alle Filippine e quindi in Sudafrica
Anche Ricchiardi era piemontese, di Alba. Già tenente di cavalleria nell’esercito sabaudo, dopo il congedo aveva raggiunto il lontano Siam per entrare al servizio del re Rama V, che oltre all’addestramento del suo esercito gli affidò l’educazione del figlio e pure di rappresentare nel 1893 il suo Paese all’Expo di Chicago. Inseguendo lo spirito d’avventura aveva raccontato come giornalista la guerra tra Cina e Giappone, nel 1895, e pure la guerra d’Abissinia culminata nella bruciante sconfitta italiana ad Adua a opera di Menelik.
Dopo una breve esperienza a Shanghai per conto dell’Unione industriali, Ricchiardi la guerra l’aveva fatta veramente combattendo al fianco dei filippini di Emilio Aguinaldo nella lotta per l’indipendenza dalla Spagna, e nel 1899, giunto in Sudafrica, aveva offerto la sua spada alla repubblica dei boeri di cui condivideva la causa. Col grado di colonnello aveva guidato la Legione italiana in operazioni di guerriglia specializzandola nelle tattiche che poi saranno adottate proprio dagli inglesi con la creazione del corpo dei commandos. Durante la guerra aveva conosciuto la nipote del presidente boero Paul Kruger, Myra Francisca Guttmann, che diventerà sua moglie e gli darà due figlie. Rientrato in Italia si dedicherà nuovamente ad attività commerciali, poi sposterà la residenza a Monte Carlo e infine a Casablanca, in Marocco, dove morirà nel 1940.
Da un campo di concentramento all’altro
La guerra anglo-boera si era chiusa nel 1902 con il prevedibile successo britannico, che aveva cancellato le repubbliche del Transvaal e dello Stato libero dell’Orange, ma a caro prezzo. Per gli italiani che non erano rimpatriati dai territori sudafricani assorbiti dall’Impero britannico si erano aperte le porte dei campi di concentramento, come peraltro accaduto a migliaia di civili boeri, anche perché il governo di Roma in quel conflitto era apertamente dalla parte di Londra.
La presenza italiana in Sudafrica diminuirà sensibilmente. I soldati italiani torneranno durante la seconda guerra mondiale in Sudafrica ma come prigionieri di guerra degli inglesi guidati da Winston Churchill, ex tenente di cavalleria ed ex giornalista divenuto premier britannico e irriducibile nemico dell’Asse, che quaranta anni prima doveva la vita all’avventuroso colonnello Camillo Ricchiardi.