"Non è mai troppo tardi": la lezione del maestro Manzi
"Non è mai troppo tardi": la lezione del maestro Manzi

"Non è mai troppo tardi": la lezione del maestro Manzi

Marco Patricelli
maestro manzi tv non e mai troppo tardi
di lettura

AGI - Forse l’omaggio più significativo gliel’ha dedicato il piccolissimo paese di Tufo, sull’Appennino aquilano, da cui proveniva la madre Rina che lo diede alla luce il 3 novembre 1924 a Roma. Alberto Manzi è stato “il” maestro, non uno dei tanti maestri elementari, e il murale a colori lo ricorda in un borgo di poco più trecento anime, uno dei tanti che all’inizio del secolo scorso lottava contro gli elementi di una Natura non sempre benigna e dove l’analfabetismo era diffuso. Manzi, si stima, alfabetizzò non legioni di scolari vocianti ma circa un milione e mezzo di italiani adulti, ai quali insegnò a leggere e scrivere utilizzando un mezzo che aveva appena cominciato mostrare le sue straripanti potenzialità: la televisione.

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Un programma in onda dal 1960 al 1968 e copiato all’estero

«Non è mai troppo tardi» era il titolo di una trasmissione e un’esortazione a recuperare il tempo perduto, per non sentirsi emarginati e isolati nel non saper decifrare le lettere e nell’esprimersi in una lingua diversa dai tanti dialetti locali che imperversavano lungo la Penisola e che non comunicavano nulla l’uno all’altro. Non era affatto tardi, come aveva intuito il maestro Manzi, convinto di poter fare qualcosa per chi la scuola non aveva potuto frequentarla e non aveva potuto imparare. Correva il 1960, e il 15 novembre la Rai da Torino, in collaborazione col Ministero della Pubblica istruzione, faceva conoscere un insegnante garbato e originale nel suo metodo didattico. Si racconta che in quella prima occasione si liberò immediatamente del copione affidandosi alla naturalezza di una lezione in classe, senza pedanteria, per accendere la curiosità e coltivare l’interesse. In trenta minuti, prima dell’ora della cena, andava in onda una lezione di stile e di servizio pubblico educativo, non solo per modo di dire. Quel maestro si faceva seguire, faceva scattare la scintilla del sapere e conduceva per mano e con sicurezza nel labirinto della lingua scritta e parlata in cui il mondo degli adulti, soprattutto nelle aree rurali, pensava di non potersi più orientare.

Uno stile originale e accattivante e ospiti come Bartali e Fabrizi

Al suo “Corso di istruzione popolare per adulti analfabeti” c’era la lavagna, come in ogni aula, e un grande blocco di fogli su un sopporto, dove Manzi scriveva e disegnava persino in favor di telecamere: immagini esplicative corroborate da filmati e da audio, spiegando cose e concetti secondo un sistema innovativo. Non mancavano le battute, gli sketch comici, i racconti, gli ospiti famosi, come l’attore Aldo Fabrizi per la puntata sulla lettera “F” e il campione di ciclismo Gino Bartali per quella sulla “B”, e persino gli alunni di una certa età in studio. E a casa, intanto, si imparava. Alla prima puntata rivoluzionaria, rigorosamente in diretta, ne seguirono altre 483 firmate da Manzi, Oreste Gasperini e Carlo Piantoni, fino al 1968. Un anno cruciale, dal punto di vista sociale, ma in cui le iscrizioni e la frequenza delle scuole elementari erano cresciute in maniera esponenziale. Su «Non è mai troppo tardi» scendeva il sipario, ma su quell’esperienza di lotta all’analfabetismo e di unificazione linguistica non si spegnevano le luci, perché era rimasto un esempio, tant’è che era stato ovunque lodato e ripreso pari pari da 72 Paesi nel mondo.

Il «gran rifiuto» del giudizio e la provocazione del timbro uguale per tutti

Il maestro Manzi, insignito quasi subito del titolo di cavaliere della Repubblica, tornò a fare quello che voleva e sapeva fare: insegnare e scrivere testi didattici e libri per ragazzi. Tra i suoi titoli, «Orzowei, del 1955, che la Rai tradurrà in serie televisiva negli Anni ’70 con grande successo di pubblico. Non era stato affatto dimenticato, ma tornò in primo piano nella cronaca, da maestro nella scuola elementare «Fratelli Bandiera» di Roma dove rimarrà fino alla pensione, perché nel 1981 si rifiutò di sostituire i voti con i giudizi, introdotti con le schede di valutazione da una delle tante riforme. Lo sospesero dall’insegnamento e dallo stipendio, poi qualcuno si accorse che non era stata una decisione molto intelligente e allora cercò di mediare. Lui, con fine senso dell’umorismo scese a patti coniando un giudizio unico, «Fa quel che può, quel che non può non fa», da scrivere su un timbro, e quando da Ministero eccepirono il sistema si limitò a “correggersi” dicendo che allora avrebbe scritto a mano.

L’omaggio di una fiction Rai e un murale nel borgo di Tufo

I tempi erano cambiati ma come negli Anni ’60 non era mai troppo tardi per istruirsi. Nel 1992 la Rai pensò a lui per un programma di alfabetizzazione destinato agli immigrati stranieri. Nel 1995 ebbe pure una breve esperienza politica come sindaco di Pitigliano, in provincia di Grosseto. Il maestro Alberto Manzi si spense il 4 dicembre 1997, a 73 anni. Se il borgo di Tufo (Carsoli) gli ha dedicato un murale, la Rai ha reso omaggio alla sua memoria nel 2014, facendolo interpretare da Claudio Santamaria. Una fiction in due puntate, che all’epoca di «Non è mai troppo tardi» si chiamava sceneggiato televisivo: Anton Giulio Majano con questa formula portò i grandi classici della letteratura nelle case degli italiani, dalla «Freccia nera» di Robert Louis Stevenson a «E le stelle stanno a guardare» di Archibald Joseph Cronin. D’altronde il ramo della Rai che ha raccolto quell’eredità culturale ed educativa, divenuta purtroppo del tutto marginale nel palinsesto, si chiama Educational: un altro anglicismo segno dei tempi, in una contemporaneità in cui l’analfabetismo è scomparso grazie a figure come Manzi, ma riaffiora qua e là sotto la subdola forma di ritorno e di incultura.

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