AGI - Si dice che arrivare alla mezza età significhi, tra tante cose, confrontarsi con il proprio passato quando i ricordi scappano via. E se ne può leggere ne ‘Il figlio di Forrest Gump’ (Mondadori) di Angelo Ferracuti, romanzo/memoir che incarna la metafora del tempo che fugge nella figura di un padre marciatore e corridore capace di imprese straordinarie. La trama è autobiografica: a partire dai primi anni ’70 l’autore ripercorre la propria personale storia giovanile di contrasto con il genitore intrecciandola a quella del nostro Paese, e finendo per miniaturizzare in versione domestica l’urto tra il pragmatismo borghese della DC e la spinta al nuovo dei movimenti anarchici di sinistra.
Il figlio di Forrest Gump è oggi uomo maturo in cerca di pacificazione con la memoria, costretto dalla stessa ribelle inclinazione artistica che da ragazzo l’aveva reso antagonista del papà a scavarsi dentro un finale di duello accettabile, attraverso la scrittura. Dalla profonda provincia marchigiana all’estremo Nord d’Europa, seguiamo così le tracce di uno spettro irraggiungibile, proprio come il tempo, ritrovando per via sentimenti inespressi, speranze disattese, incomprensioni non sanabili.
Pur riconoscendo di averlo amato tanto da dedicare un libro alle sue imprese sportive in giro per l’Italia e il mondo, il figlio non riesce a praticare scontri al padre: erano antitetici, e paiono destinati a restarlo per sempre. Ma intanto gli anni giocano a favorire somiglianze, fanno apparire allo specchio e nel carattere tratti via via più condivisi. Cosa resta degli scontri fisici e ideologici che hanno plasmato il Paese negli scorsi decenni, rendendolo ciò che è? Chi ha vinto la gara? Inghiottito da una natura dalla bellezza accecante quanto monotona, nelle pagine finali Ferracuti sembra trovare la verità ultima viaggiando ai confini tra Finlandia e Russia, sull’orlo della nuova guerra.
Nessuno, ha vinto. Rimane solo la scoperta intima che correre, anche arrivando da nessuna parte, è vivere. E che continueremo anche se costretti, come Ferracuti, a metterci a nudo dall’esaurirsi dell’irruenza delle nostre energie giovanili. Aveva ragione il padre: la lotta vera è con la capacità di resistere mentre tutto cambia, immemore, incurante di ciò che sei stato. E l’unica vittoria, suggerisce questo libro, può celarsi in una scelta solidale: trasformare la casa familiare teatro di tanti conflitti in un rifugio per richiedenti asilo e rifugiati.
Angelo Ferracuti (Fermo, 1960) ha scritto romanzi e ibridi narrativi, tra cui ‘Le risorse umane’ (Feltrinelli, 2006, premio Sandro Onofri), ‘Il costo della vita’ (Einaudi, 2013; con un inserto fotografico di Mario Dondero; premio Lo Straniero), ‘Andare, camminare, lavorare’ (Feltrinelli, 2015), ‘Addio’ (Chiarelettere, 2016), il memoir ‘La metà del cielo’ (Mondadori, 2019), la biografia narrativa ‘Non ci resta che l’amore’ (Il Saggiatore, 2021), con il fotografo Giovanni Marrozzini il reportage dall’Amazzonia ‘Viaggio sul fiume mondo’ (Mondadori, 2022, nuova edizione Oscar Mondadori Baobab, 2024). Collabora con “La Lettura” del “Corriere della Sera”, “Azione” e “Il Manifesto”, ed è tra i fondatori della Scuola di fotografia e letteratura Jack London