AGI - I bombardieri B-24 Liberator decollati dall’aeroporto Castelluccio di Foggia avevano come obiettivo i capannoni industriali dell’Alfa Romeo, della Breda, dell’Isotta Fraschini e pure della Pirelli (che operò aveva decentrato la produzione). Quel 20 ottobre 1944 la missione di guerra sembrava semplice per gli aviatori americani, grazie anche al cielo senza nuvole e senza la presenza di caccia intercettori. Invece i quadrimotori del 451°, 461° e 484° squadrone della 15ª Air Force americana non colpiranno obiettivi bellici, ma distruggeranno una scuola, a Gorla, alla periferia di Milano, durante le lezioni. Errori tecnici e una disinvoltura che sfocia nell’atto criminale di una strage di innocenti nell'attacco a un centro abitato.
La “vacca incinta” in missione in una giornata in cui va tutto storto
Il B-24 è soprannominato dai piloti “vacca incinta” per la sua forma sgraziata dovuta a un ventre capiente per le bombe. È un aereo robusto, buon incassatore, ma quel giorno non ha bisogno di difendersi da nessuno perché i cieli non sono attraversati dai caccia Messerschmitt della Luftwaffe e neppure dai Macchi dell’Aeronautica repubblicana. In teoria ci sono tutte le condizioni per compiere quella missione in tranquillità, puntare, sganciare e tornare indietro. Invece va tutto storto. Uno squadrone di Liberator, all’altezza di Saronno, aveva sbagliato i calcoli e aveva sganciato le bombe da 500 libbre (circa 250 kg di esplosivo) in campagna; gli altri due erano riusciti a individuare la Breda di Sesto San Giovanni ma anche in questo caso era stata impostata male la traiettoria di bombardamento e non ci sarebbe stata la possibilità di ripercorrerla per cogliere l’obiettivo. E allora, per non sprecare il carico di morte, poiché era impossibile atterrare con le bombe a bordo, si era deciso di colpire un obiettivo civile, un bersaglio tattico, uno dei tanti di quel periodo dove valeva la regola di ripiego del “target of opportunity”. Al segnale di sgancio, tutto quello che è sotto il ventre spalancato dei Liberator non ha scampo.
Una bomba si infila nella tromba delle scale delle elementari “Crispi”
A terra è scattato l’allarme aereo. Quello piccolo, che indica i bombardieri in avvicinamento, è risuonato alle 11.14. I bambini dai 6 agli 11 anni che frequentano la scuola elementare “Francesco Crispi” fanno quello che le maestre hanno loro detto e ripetuto tante volte, e pure i genitori a casa, ma già alle 11.24 echeggia il sinistro allarme lungo che preannuncia l’attacco imminente. Tre minuti dopo si scatena l’inferno su Gorla. Nonostante le esortazioni delle maestre a fare presto non c’è stato il tempo materiale per raggiungere i rifugi antiaerei. Poi il destino ci ha messo di suo. Tra le centinaia di bombe sganciate dai B-24, una intraprende una traiettoria che la manda a infilarsi esattamente nella tromba delle scale della scuola. Quindi la destante esplosione. Dell’edificio non resta nulla, e nell’abbraccio mortale dei calcinacci e delle rovine rimangono i bambini, i docenti, i bidelli, i genitori accorsi per riportare i figli a casa e altri bambini che erano con loro. Quando gli squadroni dell’Air Force statunitense si allontanano da quel luogo che hanno devastato intervengono le squadre di soccorso e dei vigili del fuoco, e pure i civili che vogliono aiutare a scavare inseguendo l’illusione della speranza. Per tre giorni dove c’era la “Francesco Crispi” formicolano gli uomini che a mani nude spostano mattoni, travi, calcinacci e frugano in quella montagna di orrore per strappare alla terra i corpicini devastati di 184 scolari, 18 bambini dai dodici mesi ai 13 anni d’età, della direttrice, dei maestri, del personale ausiliario, di uomini e donne accorsi per prendere i figli.
A mani nude tra le macerie per salvare quattro bimbi. Gli unici superstiti
I corpi sono stati smembrati dalle esplosioni e dai crolli, bruciati e ustionati dalle fiamme degli incendi. Uno scenario raccapricciante, che si spezza per quattro volte appena, quando dal carnaio vengono tirati fuori tre bambini e una bambina ancora in vita. Una specie di miracolo lì dove non c’è stata grazia per tutti. Anche la scuola di Precotto è stata cancellata da quel bombardamento folle, ma in quel caso era stato possibile per gli scolari e i loro accompagnatori raggiungere per tempo il rifugio e nessuno aveva perso la vita. Quando si farà il conteggio delle vittime negli abitati di Gorla, Precotto e Turla, il totale ammonta a 635 persone censite, alle quali vanno aggiunte quelle di passaggio e quelle di cui non era stato possibile rinvenire i corpi. Probabilmente i morti sono più di 700, e centinaia sono i feriti e i mutilati. Gorla entra nell’immaginario collettivo come simbolo della brutalità cieca della guerra, «Ecco la guerra – 20-X-1944» è iscritto sul monumento dello scultore Remo Brioschi che da 1952 sorge in piazza dei Piccoli martiri a Gorla, con l’ossario che sorge dove c’era la scuola elementare “Francesco Crispi”, monito perenne alla pietà per gli innocenti e alla crudeltà degli uomini.