AGI - Ce la ricordiamo comparire sullo schermo all’ora di pranzo o cena per mostrarci il fronte di uno dei luoghi caldi del mondo, magari con addosso un giubbotto antiproiettile. Ora la giornalista e documentarista Monica Maggioni è in libreria con ‘Spettri’ (Longanesi), opera di genere difficile da definire con cui ci riporta ancora lì, proprio in quei luoghi (ma non solo), per restituire alla memoria storie irrisolte e rimosse che in realtà, però, non erano mai andate via.
Il titolo ibseniano del libro si riferisce a conti non fatti, o fatti male, dalla coscienza dell’Occidente, che per l’autrice si sono trasfigurati in ricordi personali di visi mai dimenticati il 7 ottobre 2023, quando l’attacco a Israele ha risvegliato lei e il mondo dall’illusione del controllo. La ricerca di motivi al riemergere di un orrore che sa di spartiacque, ha spinto l’ex Presidente della Rai a recuperare da vecchi taccuini e teche le tracce di un vissuto giornalistico non comune. Come quelle del suo incontro a Gaza con Ahmed Yassin, capo spirituale di Hamas, o dell’intervista fatta a Jenin con una bomba in mano all’addestratore di attentatori suicidi Mahmoud Tawalbe. Poi dal Medio oriente il raggio d’indagine si allarga al cuore oscuro dell’America spostandosi in Pennsylvania, nel camper del suprematista ariano August Kreis, ed a quello dell’Europa, con lo sbarco sull’isola di Utøya dove Andres Breivik fece strage di 77 persone nel 2011. La ricerca prosegue dentro le mura di Raqqa, capitale del Califfato, attraverso le parole di una foreign fighter ora pentita che ripercorre l’ascesa al potere di Abu Bakr al-Baghdadi, e subito dopo si sposta nella Tehran del capo della polizia e torturatore Morteza Talaei, a respirare la paura del carcere di Evin dove ogni aspirazione al cambiamento è repressa nel sangue. Il finale, non a caso, spetta di diritto a Kabul, da cui vanno aiutate a fuggire intere famiglie al ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan.
Ci sono momenti della vita in cui occorre fermarsi per dare ordine emotivo alle esperienze vissute, specie scoprendo che violenza e disperazione rimaste in sospeso nel ricordo sono tornate quotidianità. Così, da testimonianza, l’idea di un reportage può virare in romanzo per lunghe pagine, dando corpo ad un testo meticcio, di docufiction, che ridesta vittime e carnefici al compito di ingiungerci di non voltare la testa. Gli inferni sono in terra sotto forma di prigioni, campi profughi ed antiche città sotto regime, dove può formarsi la chimica del male o quella del più puro eroismo mentre noi sediamo a guardare la Storia da casa senza riuscire a ricordare i suoi perché.
L’Afghanistan è stato liberato e poi restituito a quello che prima era il nemico ed ora, inspiegabilmente, non lo è più: come è successo, e
quante vite ha condannato quella scelta? Nel tempo di una domanda, alcune di esse possono essere sparite in un buco nero. Spettri da servizio tv di un minuto e mezzo che negli anni si sono fatti personaggi angelici o mostruosi a cui bisogna scrivere un finale, se non lieto quantomeno accettabile. Perché a loro e noi sia possibile trovare pace.