AGI - Tornato in Austria nel 1985 da uomo libero Walter Reder dirà che non aveva nulla di cui pentirsi, e che la domanda di grazia inoltra il 30 aprile 1967 nella quale dichiarava il suo rimorso per quanto fatto nel 1944 con l’uniforme delle SS era solo un’iniziativa del suo avvocato. Il 29 settembre 1944 era stato il responsabile della strage di Marzabotto che lui stesso definiva invece asetticamente così nel rapporto operativo: «718 nemici uccisi, di cui 497 banditi e 221 favoreggiatori; 174 fabbricati ridotti in cenere, 21 scontri a fuoco talvolta molto forti. Nostre perdite, 7 morti, 29 feriti di cui 8 gravi». Non parlava di 50 bambini trucidati sotto gli occhi dei genitori, decapitati con le baionette, gettati vivi tra le fiamme, né di mitragliati e impalati, e neppure delle donne stuprate, sventrate se incinte e poi uccise, e taceva delle persone anziane di cui non aveva avuto pietà e dei civili freddati con un colpo alla nuca, e fatti saltare in aria con le granate o bruciare negli incendi delle case, delle cascine, delle scuole. Uno spietato crimine contro ogni concetto di umanità.
Nella “marcia della morte” non c’è pietà per donne, bambini e anziani
Il maggiore SS Walter Reder della 16ª divisione granatieri corazzati, detto “Il monco” per la sua mutilazione, aveva fatto trucidare dai suoi criminali in divisa a Marzabotto chiunque gli fosse capitato a tiro nei rastrellamenti. Già il 12 agosto, a Sant’Anna di Stazzema, aveva massacrato uomini donne e bambini, e la scia di sangue aveva segnato Valla, San Terenzo, Vinca, Fivizzano. La “marcia della morte” arrivò a Marzabotto dove quel giorno iniziò un orrore trascinatosi nel sangue fino al 5 ottobre, e in cui la ferocia era stata, se possibile, ancora su più grande scala. Un eccidio che fa ancora oggi rabbrividire. L’ufficiale aveva applicato il bando antipartigiano del 12 agosto del Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo sul fronte italiano, che autorizzava a tenere in ostaggio i civili nelle zone in cui operavano le formazioni partigiane e «a passare per le armi detti ostaggi tutte le volte che nelle località stesse si verificassero atti di sabotaggio; di compiere atti di rappresaglia fino a bruciare le abitazioni poste nelle zone in cui siano stati sparati colpi d’arma da fuoco contro reparti o singoli soldati germanici, di impiccare nelle pubbliche piazze quegli elementi riconosciuti responsabili di omicidi e capi di bande armate». I nazifascisti impegnati nella lotta antipartigiana nell’inverno 19434-1944 avevano fatto diffondere un volantino col disegno di una mano in cui si intimava alla popolazione di rispettare cinque precetti, ognuno riferito a un dito: «nessun appoggio; nessun vettovagliamento; niente alloggio; nessuna assistenza; negate a loro la vostra simpatia!».
Le autorità repubblichine smentiscono l’eccidio sui giornali: «Fantasie»
Tra le SS, va sottolineato, c’erano anche fascisti repubblichini in uniforme tedesca. E c’erano delatori, informatori, guide e persino traditori. Eppure le autorità della RSI fecero pubblicare sul Resto del Carlino, l’11 ottobre 1944, questo agghiacciante resoconto: «Le solite voci incontrollate, prodotto tipico di galoppanti fantasie in tempo di guerra, assicuravano fino a ieri che nel corso di un'operazione di polizia contro una banda di fuorilegge ben centocinquanta fra donne, vecchi e bambini, erano stati fucilati da truppe germaniche di rastrellamento nel comune di Marzabotto. Siamo in grado di smentire queste macabre voci». Dalle stesse colonne il 17 settembre era stato lanciato ultimo avvertimento ai sabotatori (...) foraggiati da Mosca» annunciando «le più severe sanzioni (...) poiché in alcune regioni d'Italia questi non solo vengono tollerati, ma anche dai cittadini!», preannunciando le modalità delle rappresaglie: le località che davano supporto ai ribelli sarebbero state date alle fiamme, le case distrutte, i responsabili degli attentati impiccati in pubblico. Reder, se possibile, va anche oltre. Nella zona operava la brigata partigiana “Stella Rossa” agli ordini di Mario Musolesi, detto “Lupo”, caduto in uno scontro a Marzabotto proprio il 29 settembre, (la sua fidanzata Livia sarà uccisa dai tedeschi lo stesso giorno nel corso della strage), decorato alla memoria con medaglia d’oro al valor militare, stessa onorificenza concessa al gonfalone del Comune di Marzabotto nel 1948.
I processi, le condanne e il giudizio di Wiesenthal: «Perfidia miserabile»
Estradato in Italia nel 1948, Walter Reder verrà processato a Bologna del 1951 per la serie di omicidi di civili: 360 in Toscana, a Bardine San Terenzio (53), Valla (107), Granola-Monzone-Ponte Santa Lucia-Vinca (200); 262 nei dintorni di Monte Sole (Marzabotto) tra Casaglia (80), Cerpiano (19), Caprara (24), San Giovanni di Sopra e di Sotto (70), Ca’ di Bavellino (49), Casoni di Riomoneta (20). A Marzabotto le vittime risulteranno dagli incroci anagrafici 1.830. Verrà condannato all’ergastolo il 31 ottobre 1952. Nel 1967 la domanda di grazia inoltrata da Reder proclamando pubblicamente un pentimento che in seguito rinnegherà viene respinta il 16 luglio da 282 dei 288 scampati alla strage di Marzabotto e dai parenti delle vittime. Un nuovo tentativo nel 1984, e ancora una volta un no. In libertà condizionale nel 1980, per un periodo di cinque anni, l’ex maggiore delle SS sarà autorizzato al rimpatrio il 24 gennaio 1985, il giorno dopo l’emissione del decreto di liberazione sollecitato più volte dai governi austriaco e tedesco. Morirà a Vienna in un letto di ospedale il 2 maggio 1991. Altri processi ai responsabili materiali verranno intentati nel 2007 a La Spezia, con dieci condanne all’ergastolo di ex militari SS del 16° battaglione esplorante corazzato, tutti contumaci. Nell’immediato dopoguerra la Corte d’Assise di Brescia aveva condannato due italiani, i repubblichini Lorenzo Mingardi e Giovanni Quadri, rispettivamente alla pena di morte (commutata in ergastolo) e a 30 anni di reclusione (ridotti a 10 anni e 8 mesi), in seguito amnistiati e liberati. Simon Wiesenthal, il cacciatore di criminali nazisti, scriverà: «In nessuna nazione d’Europa il nazismo si comportò come sul suolo del suo ex alleato, in nessuna nazione la perfidia fu così miserabile».