AGI - Al servizio della Cecoslovacchia, della causa comunista e di quella di Israele, e visto che c’era anche della sua personale. Per almeno tre anni ha esercitato un potere assoluto nel suo Paese avvalendosi di una rete internazionale di relazioni e di protezioni che saprà mettere a frutto al momento opportuno. Il nome di Zoltan Toman (1909-1997) in Occidente dice poco o nulla, ma la sua vita è degna di una spy story di alto livello. Nasce Asher Zelig Goldberger nell’allora Ungheria dell’Impero asburgico e poi Cecoslovacchia, in una poverissima famiglia ebraica. Da vero Zelig ante litteram cambia più volte nome e diventa Zdeněk, Zoltán o Zolo Toman (altre volte Thoman), oppure Zoltan o Zdeněk Goldberger. Si laurea in Legge a Praga, esercita per breve tempo l’avvocatura e appena dopo l’occupazione nazista della Cecoslovacchia nel 1939 si rifugia in Gran Bretagna assieme alla moglie Pesla Gutmanová.
Il signore onnipotente dei rimpatri nel cuore dell'Europa
Qui trova un impiego al Ministero della previdenza sociale dove si occupa di rimpatri, e diviene un’autorità in materia, tant’è che il Governo cecoslovacco in esilio alla fine del conflitto lo manda in Patria come capo della Commissione per il rimpatrio. Sospettato di forti simpatie comuniste (si è iscritto al partito durante gli anni dell’Università svolgendo attività di propaganda col nome di Vasil), anche se lui a Londra sosterrà di essere solo socialdemocratico, verrà comunque nominato dal PCC vice responsabile del Dipartimento di intelligence del Ministero dell’Interno, e lui dal 1945 al 1948 scalerà ogni gradino diventando Capo dei servizi segreti ed esercitando un potere quasi assoluto che appare inscalfibile, grazie anche alla protezione del segretario del Partito Rudolf Slánský. Parallelamente dimostra un eccezionale fiuto per gli affari.
Un “tassa di transito” per quasi 300.000 ebrei e i fondi segreti
Gestisce il transito degli ebrei di mezza Europa e racimola danaro e beni preziosi per la tesoreria irregolare del Partito comunista cecoslovacco che in parte finiscono sui suoi conti esteri. Si calcola che in un anno e mezzo almeno 200.000 ebrei provenienti dalla Polonia e dall’Unione sovietica con questo sistema siano riusciti a espatriare in Israele (saranno oltre trecentomila fino al 1948), e non si contano coloro che erano disposti a tutto pur di ottenere un passaporto cecoslovacco dopo i rimescolamenti territoriali e di frontiere a seguito della seconda guerra mondiale. A chi poteva pagare Toman assicurava documenti immediati per Germania, Austria e Italia dove c’erano campi profughi, fuggire dai pogrom, rifarsi una vita o andarsene in Palestina: ha un canale diretto a Praga con l’organizzazione umanitaria American Jewish Joint Distribution Committee che sa di poter contare su di lui versando una semplice “tassa”. La polizia sovietica NKVD sospetta di lui e di quei traffici, perché comunque gli ebrei sono cittadini dell’Urss, ma il velo di protezione del ministro dell’Interno lo mette al riparo. Toman intanto si muove in Cecoslovacchia e all’estero per affari, fa e disfa identità, sposta agenti e ne crea di nuovi in Gran Bretagna costituendo una rete spionistica, utilizza disinvoltamente la posta diplomatica e le valigie diplomatiche esentate dai controlli doganali, e poiché crea fondi segreti per il Partito questo chiude ambedue gli occhi.
Armi tedesche e cecoslovacche per Israele
Nel 1947 Toman è protagonista nella fornitura di armi al neonato Stato di Israele, rifornendolo militarmente con le prede belliche della Wehrmacht e la produzione nazionale, secondo la direttiva segreta del Governo cecoslovacco (e soprattutto del ministro dell’Interno Jan Masaryk), nonostante i forti attriti con la Gran Bretagna. Gli israeliani piloteranno nella guerra con gli arabi i caccia Messerschmitt 109 e utilizzeranno le mitragliatrici Mg42 dell’odiato nemico nazista artefice della Shoah. Ben Gurion affermerà in seguito che senza queste armi Israele non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere e una targa apposta nel Quartiere ebraico di Praga sta ancora oggi a testimoniare la riconoscenza del popolo ebraico. Per Toman questa è un’autentica età dell’oro, perché traffica pure con la valuta e le riserve dell’ex Reichsbank nella zona d’occupazione americana della Germania. A un passo dalla conquista del potere, avvenuta nel 1948, il Partito comunista cecoslovacco ritiene imbarazzante la figura di Toman, e i sovietici instillano il dubbio che durante gli anni a Londra sia diventato un agente britannico; la paura che possa scalzare qualcuno della nomenklatura comunista nella conquista dello Stato fa il resto.
L’arresto, il suicidio della moglie e la scomparsa del figlioletto
Anche Slánský lo lascia al suo destino e così il 12 gennaio 1948 Toman è raggiunto da un mandato di arresto. Sottoposto ai domiciliari gli vengono recisi tutti i contatti esterni, compreso quello con la moglie Pesla. Toman sa tutto di tutti, sa di dirigenti e funzionari con case lussuose e provviste di ogni comodità, perché il tramite per gioielli, pellicce, quadri, tappeti, whisky e sigari era sempre lui. E poteva aver scritto un memoriale precostituendo un’assicurazione sulla sua vita. Comunque sia la polizia segreta lo preleva e lo porta in carcere a fine aprile, quando suo figlio Ivan ha solo sei mesi, dove viene sottoposto a duri interrogatori per reati puniti con la pena di morte. Toman non collabora e resiste, ma non resiste la moglie Pesla che a maggio si suicida gettandosi dalla finestra della sua casa al quarto piano, lasciando una lettera in busta chiusa per il comandante della polizia segreta Jindřich Veselý pregandolo di adottare Ivan e crescerlo come un buon comunista. Toman non rivedrà mai più suo figlio, che morirà nel 1961 a 14 anni in un ospedale militare a Praga.
Un’evasione spettacolare e la fuga in Germania
Con la corruzione, l’audacia e la spregiudicatezza che sempre l’avevano contraddistinto, Toman riesce a evadere da Palazzo di Giustizia attraverso una finestra del bagno dov’era di servizio, rientrando nell’edificio da un’altra e, simulando indifferenza e sicurezza, aveva guadagnato l’uscita mentre tutti lo cercavano. Con i suoi contatti aveva racimolato danaro e dopo pochi giorni aveva raggiunto la zona d’occupazione americana in Baviera: era il primo prigioniero politico della Cecoslovacchia comunista a chiedere asilo in occidente. Quella fuga faceva comodo anche ai pezzi grossi del regime e non è improbabile che abbiano di proposito sabotato la caccia all’uomo, perché sapeva troppo di tutti loro.
La seconda vita in Venezuela e i lasciti milionari
Toman inizia quindi la sua collaborazione con i servizi segreti statunitensi, mentre in Cecoslovacchia era condannato a morte e la sorella Aranka veniva torturata e condannata a 16 anni di reclusione. Un’altra sorella, Lenka, si trovava già negli Stati Uniti, mentre altre tre sorelle erano state uccise dai nazisti ad Auschwitz nel 1944. Ritroviamo Toman in Germania, in Francia, poi ancora a Londra, quindi in Venezuela dove ha alcuni parenti e il fratello Armin che ha fatto fortuna con il commercio. La fa anche lui come imprenditore di successo e diventa ricchissimo. Invia con continuità danaro e fondi in Israele, con contributi e donazioni anche di quadri antichi, si impegna nella beneficenza e lascia in eredità all’Università Ben Gurion di Beer Sheva ben 5 milioni di dollari, nonostante la seconda moglie Maria Marinadi cercherà di invalidare il testamento con un lungo contenzioso giudiziario. Solo poco prima della morte Toman apprende della sorte del figlio Ivan che in tutti i modi aveva cercato di rintracciare. Dopo la riconquista della libertà si era rifiutato di tornare in Cecoslovacchia.