AGI - Altro che “riso patate e cozze”, il pur meraviglioso tradizionale piatto pugliese nel quale immeritatamente mi sono cimentata in un concorso riservato ai giornalisti organizzato dal Centro Renoir di Taranto! Il mitile coltivato nel Mar Piccolo di Taranto da ventiquattro anni è fonte di ispirazione per una sequenza lunghissima di chef, italiani e non. Sicché è stato coniugato con la polenta, in zuppe fantasiose presentate dentro vasetti con il tappo chiuso dal gancio di metallo, simili agli esemplari d’antan per le conserve. Ancora: cozze gratinate ai ceci, farcite con bacon e albicocche, in foglia di mela verde con nero di seppia. Fino alle più raffinate invenzioni, come quella qui illustrata, che si deve alla fantasia di Gianfranco Anzini, chef executive presso il ristorante Tamatete a Castiadas, Sardegna meridionale, che ha firmato la ricetta “Tagliolino al mirtillo con cozza tarantina, zest di lime corallo allo zafferano, bottarga di muggine e gel ai frutti rossi”.
Il palcoscenico di cotante prelibatezze, dall’anno Duemila, è il Festival di Cucina Italiana con Cozza Tarantina, ideato, realizzato e diretto dal presidente del Centro Culturale Renoir del capoluogo pugliese, cavalier Cosimo Lardiello. Il quale è animato da spirito di servizio e passione encomiabili a favore della propria terra: promuovere la cozza tarantina attraverso un concorso itinerante in svariate città italiane e straniere. Durante ciascuna tappa gli chef propongono i loro manicaretti, che, giudicati da esperti gastronomi, passano il turno fino ad arrivare alla serata della finalissima. È un giro non solo di promozione culinaria, ma turistico tout court, svolgendosi in scenari italiani incantevoli, ancorché in alcuni casi meno gettonati, come Grado o Civitanova Marche, o Agnano. E in castelli, come il Bevilacqua di Verona. “Ma abbiamo portato la nostra gara anche a Parigi, a Malta, a Monaco di Baviera, con circa 240 serate in Italia e in Europa”, ricorda Lardiello, che per l’avvio dell’edizione 2024 ha scelto Gallipoli.
L’attenzione per il frutto di mare ha una doppia ragione. La particolarità, prima di tutto. E’ una cozza tenera, piccola, ma dal sapore particolare, legato al posto nel quale si coltiva, il Mar Piccolo di Taranto (la laguna costiera di venti chilometri quadrati, circondata da ambienti umidi frequentati da molte specie di flora e fauna, e così chiamato per distinguerlo dal contiguo Mar Grande, che si collega direttamente al Golfo nello Ionio e caratterizzato, nell’ingresso in città, dal Ponte Girevole). Ebbene, il Mar Piccolo, oltre a essere lo sbocco di piccoli fiumi tra cui il Galeso descritto da Virgilio e Orazio, ha nelle sue profondità una serie di sorgenti di acqua dolce, i citri, che mischiandosi all’acqua salata rendono delicata al palato la cozza locale. L’altro motivo è l’exploit che, anche grazie al Festival, la cozza tarantina è tornata ad avere dopo la purificazione delle acque e i controlli rigorosissimi che le hanno reso la certificazione di prodotto di classe A.
Lardiello, perché è nato il Festival?
“L’obiettivo è stato scegliere il prodotto di punta per rilanciare l’immagine della città e, senza alcun dubbio, quello tipico del nostro territorio è, glielo dico con il nome scientifico, il mytilus galloprovincialis. Così, attraverso, la cozza, si è voluto anche promuovere l’immagine di Taranto”.
Ma qual è il passato e quale il presente di questo frutto di mare?
“Di certo i nostri antenati se ne nutrivano, arricchendo la dieta di proteine nobili ed elementi preziosi. Non le allevavano… ma semplicemente le raccoglievano durante il periodo di bassa marea strappandole dalle rocce. Oggi Taranto rappresenta il più antico e famoso centro mediterraneo di mitilicultura, attualmente praticata da circa 1200 addetti con produzione lorda vendibile di oltre 600.000 quintali annui. Un ricavato di 16 miliardi di euro annui. Una produzione che si raddoppia a 32-33 miliardi per la sua commercializzazione”.
Qual è il ciclo vitale della cozza?
“Quando i mitili, che sono a sessi separati, si riproducono (più o meno da novembre ad aprile ma anche oltre), la larvetta che ne deriva deve trovarsi in breve tempo, alle nostre temperature, un posto dove andare ad insediarsi, altrimenti muore. Il veliger, cioè la larvetta, è piuttosto esigente: non va bene un substrato qualunque e, un po’ spinta dalla corrente e un po’ nuotando, cerca finché non trova. A morire non ci pensa proprio! Secondo i veliger del mitilo, la fune vegetale - piena di nicchie tra i trefoli, tutta pelosa, ricoperta di microalghe - è un ottimo posto dove andare a metter su casa e crescere tranquillamente: una sorta di apprezzato quartiere residenziale. Il veliger del mitilo impiega meno di 18 mesi nelle acque del Mar Piccolo di Taranto per arrivare a 5 centimetri: quella che noi consideriamo la taglia commerciale”.
È soddisfatto dei risultati raggiunti con la sua manifestazione itinerante di alta cucina?
“Il Festival sulla cozza tarantina ha conquistato risonanza nel panorama delle manifestazioni di interesse nazionale e continua a catalizzare intorno a sé presenze emblematiche nel settore dell’industria, uno per tutti Giovanni Rana, che ne è stato il presidente, conosciuto nel mondo per le sue confezioni di pasta fresca ripiena. I piatti inediti degli chef in gara sono stati gustati da personaggi della cultura, del cinema, delle tv. Ricordo con piacere la serata con la Stampa Estera negli Studios di Cinecittà, sullo sfondo dello scenario del film Gangs of New York di Martin Scorsese: una mega tavolata che si snodava lungo i palazzi di cartapesta realizzati dalle maestranze della più famosa fabbrica di film del mondo”.
A Roma siete spesso presenti.
“Abbiamo inaugurato nella Capitale una catena di ristoranti, con duecento ospiti, tra pubblico e commissari. Oggi il nostro lavoro è esaltato e riconosciuto dal presidio Slow Food della Regione Puglia”.
Intanto le cozze continuano a prosperare nel Mar Piccolo, dandogli particolari scorci: sullo sfondo screziato dal volo degli uccelli, i pali emergono dall’acqua e formano barriere alle quali si appendono le funi di fibra naturale, colorate dal lucido nero dei gusci che vi si abbarbicano e si riflettono nell’azzurro. Mentre piccole barche si avvicinano, i marinai che le guidano staccano grappoli di cozze, le aprono col corto coltello, ci spruzzano sopra mezzo limone e lo offrono ai visitatori, destinatari odierni di un rito antico.